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Approfondimenti

Il Fondo di ristoro di Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti e delle Banche Venete. Alcune osservazioni.

31 Ottobre 2018

Enea Franza e Maria Sofia Gasperini, Consob

Di cosa si parla in questo articolo

Le opinioni espresse dagli Autori sono personali e non impegnano la Consob, Autorità di appartenenza

 

Premessa

I Fondi di solidarietà e di ristoro finanziario recentemente istituiti per indennizzare i risparmiatori/investitori coinvolti nella vicenda delle c.d. Banche Venete (i.e. Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) e di Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti si inseriscono, con le peculiarità che si avrà cura di segnalare, nel quadro degli strumenti di tutela dei soggetti danneggiati da situazioni, latu sensu, di crisi degli intermediari bancari. L’esistenza di una pluralità di sistemi di indennizzo suscita, in chi si accinga a studiare la materia, quantomeno un problema e, soprattutto, un interrogativo. Il problema attiene alla – comprensibile – difficoltà di districarsi all’interno di un composito (se non, direttamente, complicato) insieme di interventi legislativi; l’interrogativo dice relazione all’an ed al quomodo dell’intervento pubblico in ambito creditizio. Entrambi i profili meritano di essere trattati ed a tanto si procederà nell’ordine prospettato. Così, ad una – seppur breve – ricostruzione del quadro normativo in cui si inseriscono i richiamati Fondi e delle loro specifiche caratteristiche (e degli altri istituti di indennizzo vigenti) seguirà il tentativo di indagare – e, se possibile, spiegare – le ragioni che hanno spinto il legislatore ad intervenire nella materia de qua. E ciò, si badi, senza la pretesa di voler fornire alcuna soluzione definitiva ma, piuttosto, con l’auspicio di dar avvio ad una riflessione problematizzante delle questioni che si tratteranno.

1. La vicenda dell’indennizzo a favore dei “risparmiatori/investitori” di Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti e delle c.d. Banche Venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca)

1.I. Seguendo l’ordine prospettato, si prenderanno le mosse dall’analisi del Fondo di solidarietà e di quello di ristoro finanziario, rispettivamente istituiti ad opera della L. 28 dicembre 2015, n. 208,recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” e dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”. Il primo dato da cui partire è, come noto, il decreto c.d. “salva banche” (D.L. 23 novembre 2015, n. 183, recante “Disposizioni urgenti per il settore creditizio”) con cui il Governo ha, tra l’altro, anticipato l’applicazione della nuova disciplina comunitaria delle crisi bancarie (in vigore dal 1 gennaio 2016), tentando di evitare l’applicazione del meccanismo del bail in, ma soprattutto – ai fini che in questa sede interessano – ha dato avvio al processo di ristrutturazione di Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti nonché all’attivazione del fondo risoluzione. Con la successiva L. 208/2015, il legislatore ha posto parziale rimedio alla carenza di tutela dei risparmiatori delle banche dichiarate in dissesto. Allo scopo, ha istituito il “Fondo di solidarietà” a favore degli investitori – persone fisiche, imprenditori individuali, imprenditori agricoli o coltivatori diretti – che, alla data di entrata in vigore del D.L. 22 novembre 2015, n. 183, detenevano strumenti finanziari subordinati emessi dalle Banche dell’Italia centrale (art. 1, co. 855).

Il Fondo è alimentato, sulla base delle esigenze finanziarie connesse alla corresponsione delle prestazioni, nonché gestito, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi di cui all’art. 96 T.U.B. (Fondo noto anche con l’acronimo “FIDT”; cfr. art. 1, co. 856 e 860, legge di stabilità 2016)[1]. Ad integrare la disciplina ora esposta è, poi, intervenuto il D.L. 3 maggio 2016, n. 59, recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e individuali, nonché a favore degli investitori in banche in risoluzione”, conv. modif. dalla L. 30 giugno 2016, n. 119. Nel fornire la nozione di “investitore”, la legge del 2016 ha anzitutto ampliato la platea di coloro che possono beneficiare del Fondo[2]. Si tratta dei successori mortis causa dei soggetti già annoverati dall’art. 1, co. 855, l. 208/2015, nonché il coniuge, il convivente more uxorio ed i parenti entro il secondo grado dell’investitore qualora, a seguito di trasferimento per atto tra vivi, si trovino a possedere strumenti finanziari rilevanti ai sensi e per gli effetti della richiamata normativa (art. 8, co. 1, lett. a, L. 119/2016). Il legislatore ha inoltre precisato che deve trattarsi di strumenti finanziari subordinati acquisiti entro il 12 giugno 2014 (oltre che, ma si è già visto, detenuti alla data della risoluzione delle Banche) e, di più, acquistati“nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi” (artt. 8, co. 1, lett. a) e 9, co. 1, L. 119/2016). Ancora, la L. 119/2016 ha previsto che possano domandare l’indennizzo i risparmiatori che vantino uno dei due requisiti: il primo, di tipo reddituale; il secondo, patrimoniale[3]. Circa il quantum della somma conseguibile, si tratta di un indennizzo forfetario, pari all’80 % del corrispettivo pagato per l’acquisto degli strumenti finanziari al netto degli oneri e delle spese connesse all’operazione di acquisto nonché della differenza positiva tra il rendimento degli strumenti finanziari subordinati ed il rendimento di mercato individuato secondo specifici parametri (cfr., art. 9, L. 119/2016).

L’adesione al Fondo e, di conseguenza, la richiesta di indennizzo forfettario, si pongono come alternative rispetto al ricorso alla procedura arbitrale, prevista e disciplinata dalla sopra richiamata legge di stabilità 2016 (cfr., in particolare, art. 1, co. 857-860)[4]: l’attivazione della procedura arbitrale successiva alla richiesta di accesso al fondo deve essere dichiarata improcedibile (art. 9, co, 10, L. 119/2016). I risparmiatori che, invece, ritengano di poter utilmente dimostrare di essere stati danneggiati dalla violazione delle regole sul collocamento dei prodotti da parte delle banche, e dunque intendano conseguire il rimborso integrale delle somme investite (in ogni caso, al netto delle eccedenze di plusvalenza), potranno e/o dovranno dunque far istanza, ab origine, al Collegio arbitrale. Con la precisazione che, in questo caso, la corresponsione delle prestazioni è subordinata all’accertamento della responsabilità dell’intermediario per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal T.U.F. nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati (art. 1, co. 858, legge di stabilità 2016). Più chiaramente: il risparmiatore in possesso dei requisiti per accedere alla procedura diretta, dovrà scegliere se intraprendere la via del rimborso forfettario – e, tendenzialmente, automatico – oppure adire il Collegio, con i costi e i rischi – anche in punto di mancato accertamento della responsabilità dell’intermediario – che ciò comporta. La nomina degli arbitri, ovvero la definizione dei criteri per la loro identificazione, nonché la definizione delle regole di funzionamento e di supporto organizzativo del Collegio de quo sono state demandate ad un emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri; al Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con quello della Giustizia, è stata invece delegata la definizione delle modalità di gestione del Fondo; delle modalità e condizioni di accesso; dei criteri di quantificazione delle prestazioni conseguibili; delle procedure da seguire.

Il D.P.C.M. ha visto la luce il 28 aprile 2017 ed ha previsto che il Collegio sia composto da un Presidente, individuato nella persona del Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e da due componenti, scelti dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze tra persone di comprovata imparzialità, indipendenza, professionalità e onorabilità, nonché tra magistrati ordinari, amministrativi, contabili, avvocati dello Stato collocati in quiescenza non prima del 31.12.2013 (art. 3)[5]. Il secondo decreto, quello interministeriale, è stato adottato il successivo 9 maggio 2017. In primo luogo, ha stabilito che la pubblicazione, ad opera del Collegio, dell’offerta di determinazione arbitrale della prestazione, ha valore di offerta al pubblico. Alla presentazione del ricorso al Collegio da parte dell’investitore è stato specularmente riconosciuto valore di accettazione irrevocabile di tale offerta (cfr. art. 3, co. 3 e 7). Nel disciplinare il procedimento, è stato garantito che esso si svolga secondo il metodo del contradditorio tra le parti (cfr. art. 6). Per il caso in cui, all’esito del procedimento, venga accertata la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti dal T.U.F., la prestazione liquidata al ricorrente dovrà essere determinata in via equitativa dal Collegio (il decreto, all’art. 6, rinvia all’art. 2056 c.c.) ma non potrà superare la perdita subita dall’investitore, al netto degli oneri, delle spese e del differenziale tra il rendimento degli strumenti finanziari percepito dall’investitore e quello di mercato di un Buono del Tesoro poliennale in corso di emissione di durata finanziaria equivalente (oppure quello ricavato tramite interpolazione lineare di Buoni del Tesoro poliennali in corso di emissione aventi durata finanziaria più vicina).

Il sistema così delineato presentava (e presenta tuttora), però, un vuoto di tutela che non può essere taciuto. I due decreti cui si è fatto ora riferimento, che hanno consentito al Collegio arbitrale di iniziare ad operare, sono stati approvati a distanza di oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore del D.L. “salva banche”. In quell’arco temporale – invero non insignificante – gli investitori che, al 23 novembre 2015, detenevano strumenti finanziari subordinati nelle banche dell’Italia centrale sopra menzionate e che non hanno voluto e/o potuto ricorrere alla procedura semplificata di indennizzo forfettario sono rimasti privi della possibilità di ottenere il risarcimento.

Quanto ai risparmiatori/investitori delle Banche Venete, l’accesso al Fondo di Solidarietà è stato loro esteso con il successivo D.L. 25 giugno 2017, n. 99, recante “misure urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio nonché per la liquidazione coatta amministrativa di Banco Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.”, conv. con modif. dalla L. 31 luglio 2017, n. 121[6].

1.II. Venendo a trattare del Fondo di ristoro finanziario, si tratta di una dotazione finanziaria che, come anticipato, la L. 205/2017 ha inserito nello stato di previsione del Ministero dell’Economia e delle Finanze. A novellare la L. 205/2017 è, poi, intervenuto il D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (cd. “decreto milleproroghe”, conv. con modif. dalla L. 21 settembre 2018, n. 108). Il sistema che ne risulta è volto a ristorare i risparmiatori delle banche poste in liquidazione o sottoposte a liquidazione coatta amministrativa che abbiano subito un danno ingiusto in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal T.U.F. nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento di strumenti finanziari. Il primo elemento cui preme prestare attenzione è la platea dei soggetti che possono accedere al “Fondo di ristoro”. Lo strumento di garanzia è stato infatti esteso sino a ricomprendervi coloro che abbiano effettuato investimenti in capitale di rischio[7]. Quanto al Fondo, è stato previsto che, per accedervi, debba sussistere un preventivo “riconoscimento” del danno sofferto dall’investitore/risparmiatore. In quest’ottica, viene dato valore di “riconoscimento” alle sentenze giurisdizionali, alle pronunce dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) o a quelle degli arbitri presso la camera arbitrale ANAC. Non solo, è stato altresì previsto un incremento pari a 25 milioni di euro del Fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori istituito dalla Consob presso il proprio bilancio, previsto dall’art. 32-ter.1, TUF (di cui meglio si dirà appresso, v. infra,par. 4). L’incremento de quo è posto a carico del Fondo di ristoro. Nelle more dell’emanazione del D.P.C.M. di attuazione delle norme in esame (il termine è fissato per il prossimo 31 gennaio 2019), i risparmiatori destinatari di pronuncia favorevole già adottata o che sarà adottata entro il 30 novembre 2018 dall’ACF, possono avanzare istanza alla CONSOB, secondo le modalità che questa ha stabilito, al fine di ottenere tempestivamente l’erogazione dell’importo liquidato[8].

La somma effettivamente conseguibile dall’investitore/risparmiatore sarà pari al 30 % della somma riconosciuta e, di più, non potrà eccedere i 100.000 Euro (cfr. art. 1, co. 1107, L. 205/2017). A ciò si aggiunga che dall’ammontare della misura di conforto è in ogni caso dedotta ogni eventuale diversa forma di risarcimento, indennizzo o ristoro di cui i risparmiatori abbiano già beneficiato.

2. La protezione del “risparmiatore/investitore”

Fornite, nei termini di cui sopra, le imprescindibili coordinate temporali e giuridiche dei due Fondi di più recente introduzione, è già possibile compiere alcune considerazioni circa l’operazione politica con cui Governo e Parlamento hanno inteso porre rimedio alle conseguenze dei ben noti default bancari[9].

L’elemento che, a parere di chi scrive, appare degno di maggior interesse attiene alle categorie di investitori/risparmiatori cui si riferiscono le norme e, in particolare, all’estensione di tutela che il legislatore ha operato quando – oltre ai portatori di strumenti finanziari subordinati (già contemplati dalla L. 208/2015) – ha ammesso anche i portatori di (semplici) strumenti finanziari ad accedere al Fondo di ristoro. Per comprendere appieno il ragionamento che si intende svolgere, giova richiamare – seppur brevemente – le caratteristiche dei titoli ora menzionati. In questo senso, sarà sufficiente ricordare che con la locuzione “strumenti finanziari subordinati” si fa riferimento a titoli che, in caso di liquidazione o fallimento dell’emittente, sono rimborsati dopo la soddisfazione dei creditori ordinari. Essi presentano, pertanto, un significativo rischio di rientro e, infatti, sono caratterizzati da un maggior rendimento. Pur appartenendo, quantomeno a livello formale, al genus dei titoli di debito, gli strumenti subordinati sono, de facto, assimilati ad investimenti in capitale di rischio (è noto che la loro emissione rappresenta spesso, per l’emittente, una valida alternativa al – più costoso – collocamento di azioni). La (più ampia) nozione di “strumento finanziario” fa invece riferimento ad ogni strumento idoneo alla raccolta del risparmio, comunque denominato (e dunque al di là della forma che lo strumento, di volta in volta, assume), purché rappresentativo dell’uso finanziario del capitale, per tale intendendosi l’impiego del capitale effettuato a fronte dell’attesa di un rendimento[10]. Così, per tutti, le azioni: il tipico strumento con cui investire (direttamente) in capitale di rischio. In entrambi i casi si è dunque in presenza di investimenti “che hanno a che fare” con capitale di rischio, sebbene in modo diverso. Nel caso delle azioni, direttamente: qualora si verifichi una crisi, come nelle vicende che si vanno considerando, le partecipazioni dirette al capitale sono le prime ad essere erose. Nello specifico ambito bancario, quanto ora detto trova un’importante conferma all’art. 34, par. 1, lett. a), BRRD: tra i principi cui devono attenersi le autorità nazionali di risoluzione, si legge che “gli azionisti dell’ente soggetto a risoluzione sopportano per primi le perdite”. Nel caso di strumenti finanziari subordinati, il collegamento con il capitale di rischio è di tipo, invece, soltanto indiretto e, per di più, potenziale. Con buona pace della sostanziale assimilazione che, nella coscienza comune, di tali strumenti viene fatta al genus dei titoli di debito, è innegabile che nello schema dell’obbligazione subordinata ricorra comunque un elemento di rischio (che assume maggiore o minore intensità a seconda della particolare species di obbligazione subordinata di volta in volta considerata)[11]. A fronte di un simile – ed evidente – dato, non possono che colpire le previsioni di legge che istituiscono una garanzia di ritorno economico per gli investimenti non andati a buon fine. Quel che si intende dire è che le norme, pur frutto delle migliori intenzioni, istituiscono una serie di tutele per operazioni di investimento che, per loro stessa natura, rivestono invece carattere speculativo. Ciò che non può che apparire – quantomeno – contraddittorio. E, di più, potrebbe prestare il fianco ad operazioni di moral hazard[12]. È infatti evidente che la possibilità di recuperare, seppur in misura parziale, l’investimento effettuato influisce sulla stessa scelta di impegnare il capitale. L’esistenza di una garanzia di rientro potrebbe, infatti, invogliare ad eseguire operazioni (anche altamente) speculative.

Il rischio ora segnalato, seppur non meramente astratto, è tuttavia superato, nel caso di specie, da una serie di circostanze. La prima, e più evidente, deriva dalla stessa littera legis: l’efficacia delle norme sopra richiamate è limitata alle situazioni che le stesse sono chiamate a sanare. Tali previsioni rivestono, pertanto, carattere eccezionale e, di più, non possono e non potranno essere invocate per soddisfare eventuali pretese riparatorie da parte di soggetti convolti in vicende diverse da quelle più volte citate. La seconda considerazione, anch’essa evidente, è di tipo cronologico. Gli interventi del legislatore volti ad introdurre nuovi strumenti di indennizzo e ad allargare il novero dei risparmiatori/investitori che ne possono beneficiare, è successivo alle scelte di investimento e, soprattutto, al verificarsi delle situazioni di default degli intermediari. Si tratta, dunque, di misure essenzialmente remediali. L’istituzione delle garanzie di rientro non poteva, pertanto, rappresentare un elemento su cui alcun risparmiatore avrebbe potuto basare (o comunque orientare) la scelta in ordine all’impiego dei propri risparmi. Vi è, poi, un terzo elemento che attiene allo schema negoziale in cui si è, a suo tempo, inserito, l’acquisto della partecipazione sociale nelle note Banche da parte dell’investitore retail. Si è infatti trattato di operazioni c.d. “baciate”, in cui l’acquisto o la sottoscrizione della partecipazione è coincisa con l’erogazione di un finanziamento da parte della banca emittente. Circostanza, quest’ultima, che ha giustificato la sottoscrizione o il collocamento della partecipazione sociale. Ne deriva che il ristoro istituito ex lege non afferisce tanto al rapporto societario che normalmente lega l’investitore all’emittente (seppur bancario), essendo semmai volto a sanare l’anomalia del rapporto di investimento instauratosi con la banca, nelle vesti di intermediario[13].

Le considerazioni ora svolte concorrono tutte a scongiurare il rischio di cui si è detto: le vicende delle Banche venete e di quelle dell’Italia centrale hanno carattere eccezionale cosicché gli interventi “sananti” del legislatore sono limitati ad esse. Al contempo, però, tutte e tre si prestano ad essere lette anche da un altro punto di vista. Si è detto, nell’ordine, della limitazione testuale e cronologica dell’intervento politico di ristoro. E infatti, giova richiamarlo, per espressa previsione normativa, il ristoro è circoscritto ai risparmiatori/investitori che, alla data della messa in liquidazione o risoluzione degli istituti, detenevano strumenti finanziari emessi dalle banche de quibus entro il 12 giugno 2014. Se, però, si considera – come è irrevocabile in dubbio – che lo scopo del legislatore era quello di intervenire sugli investimenti fatti (rectius,indotti dagli intermediari in violazione delle regole di condotta) in costanza della crisi degli istituti bancari, sarebbe stato ragionevole attendersi l’indicazione anche di un dies a quo, di un momento cioè a partire dal quale l’investimento non avrebbe potuto, e dovuto, essere suggerito come “conveniente” dall’intermediario, dal momento che vi erano oggettivi segnali di allarme circa la redditività dell’operazione (e, di più, la stessa possibilità di rientro del capitale). Solo l’indicazione di due punti precisi (i richiamati dies a quo e ad quem), infatti, avrebbe consentito di tracciare il segmento temporale (tendenzialmente) coincidente con il manifestarsi della crisi degli istituti bancari e, per l’effetto, avrebbe fatto emergere quegli investimenti che – dichiaratamente – il legislatore intendeva ristorare. La legge, invece, si limita ad indicare un (doppio) termine finale e tace, invece, su quello iniziale. Rendendo, pertanto, astrattamente risarcibili anche investimenti “di lunga data” – in origine, magari, anche “fruttuosi” – e consentendo all’investitore, oggi insoddisfatto, la garanzia del ristoro.

Senza tacere, ma si tratta solo di un cenno, dei dubbi che la manovra politica sopra descritta fa sorgere con riferimento alla sorte di altri e diversi istituti – e, parallelamente, di altri e diversi risparmiatori/investitori – di cui è, ormai, noto lo stato di “difficoltà”/“dissesto” (si pensi, solo per citare un caso ormai all’attenzione delle cronache finanziarie, a Banco Popolare di Bari). Anche per costoro, e in particolare per quegli investimenti che si stanno perfezionandomedio tempore, si dovrà attendere (ciò che in ogni caso ci si auspica non accada, e cioè) l’ufficialità del default, il dilagare dell’insoddisfazione e i lunghi tempi del legislatore per approntare un rimedio?

Venendo, infine, a trattare delle peculiarità delle operazioni ristorate (o ristorabili), sopra si è richiamata la natura “baciata” dei complessivi schemi negoziali che hanno legato l’investitore alla banca. A ciò si aggiunga che, nelle vicende all’attenzione delle cronache finanziarie, le offerte degli intermediari bancari sono state realizzate nei confronti di una clientela di tipo, perlopiù, retail. Circostanza, quest’ultima, che ha comprensibilmente indotto il legislatore ad approntare le tutele che si sono dianzi esposte, ma che, da un altro punto di vista, induce a leggere l’intervento di legge come “interferenza” in un rapporto – quello tra intermediario e clientela retail – di tipo fiduciario. Quest’ultimo, se inteso per quel che è, pare essere stato – quantomeno – “sottovalutato” – se non direttamente obliterato – dal legislatore dell’ “emergenza”. L’elemento fiduciario, come è noto, non esime, ma anzi impone, per l’intermediario il rigoroso rispetto delle regole di comportamento di cui al T.U.F. (che, se violate, rendono doverosa la “sanzione”). Per converso, neppure legittima un completo affidamento del cliente, seppur retail (che, magari, senza opportuno discernimento e, forse, con leggerezza era convinto di poter continuare a “fare un affare”) nell’attività della Banca. A maggior ragione quando, come nel caso in esame, si tratti di investimenti altamente speculativi. Questo per dire che l’articolato impianto degli strumenti di rientro economico costruito ad hoc dal legislatore degli ultimi anni va chiaramente a vantaggio dell’investitore (prima fiducioso della propria banca, oggi invece insoddisfatto). Ed è ulteriormente rafforzato dalla tutela semplificata del ricorso all’ACF nonché, come si è detto, dall’attribuzione di un’efficacia particolarmente vincolante alle sue decisioni (e, infine, dal merito delle pronunce che, sovente, riconoscono la responsabilità dell’intermediario).

Il tutto, senza considerare che l’ordinamento interno già annoverava altri strumenti di tutela e indennizzo. Di questi ultimi, infatti, ci si accinge a trattare, onde consentire una costruzione, il più possibile, completa dei “pezzi” di questo composito “puzzle”.

3. Il Fondo nazionale di garanzia. Gli artt. 32-ter e 32-ter.1, T.U.F.

Prima dell’introduzione dei due Fondi di cui si è detto (v. supra, par. 1), l’ordinamento annoverava già un “sistema di indennizzo” a tutela degli investitori. Si tratta del Fondo nazionale di garanzia, istituito dall’art. 15, L. 2 gennaio 1991, n. 1.

Il Fondo è un ente di diritto privato con personalità giuridica autonoma e autonomia patrimoniale cui è stato riconosciuto valore di “sistema di indennizzo” ai sensi e per gli effetti dell’art. 59 T.U.F.[14]. L’intervento del Fondo nazionale di garanzia è subordinato a situazioni di crisi dell’intermediario: i.e. l’adozione di un provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, di una sentenza dichiarativa di fallimento o di una sentenza di omologazione del concordato preventivo. Tale istituto indennizza gli investitori per i crediti chirografari o derivanti dalla mancata restituzione integrale del denaro e degli strumenti finanziari o del loro controvalore che siano stati riconosciuti in via definitiva dagli organi della procedura concorsuale[15]. L’indennizzo è calcolato per ciascun investitore sulla base dell’importo complessivo dei crediti ammessi allo stato passivo, al netto di eventuali riparti parziali effettuati dagli organi della procedura concorsuale, fino ad un massimo complessivo di ventimila euro. Per ottenere l’indennizzo, gli investitori i cui crediti siano stati ammessi allo stato passivo devono presentare al Fondo nazionale di garanzia apposita istanza – opportunamente documentata – a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, entro i termini previsti dal regolamento operativo del Fondo. Quest’ultimo, sulla base delle istanze pervenute entro 190 giorni dalla data in cui è stato depositato e reso esecutivo lo stato passivo, procede all’accertamento delle proprie disponibilità finanziarie destinate a copertura degli interventi ed alla quantificazione degli impegni per il pagamento degli indennizzi relativi ai crediti ammessi allo stato passivo (sono inclusi i crediti ammessi con riserva o che siano oggetto di opposizione o di impugnazione).

Lo statuto del Fondo nazionale di garanzia dispone che la copertura finanziaria delle spese di funzionamento e degli interventi istituzionali siano – essenzialmente – a carico dei soggetti aderenti (artt. 3, co. 1, lett. a) nonché 18, 21 e 22 dello Statuto); sono contemplate anche le somme rinvenienti dall’esercizio del diritto di surroga del Fondo (art. 3, co. 1, lett. b) dello Statuto e 59, co. 4, T.U.F.), i proventi della gestione e l’investimento delle disponibilità liquide (art. 3, co. 1, lett. c) dello Statuto) e ogni altro provente di carattere ordinario e liquido (art. 3, co. 1, lett. d) dello Statuto). In particolare, il contributo annuale a copertura delle spese di funzionamento – costituito da una quota fissa uguale per tutti i soggetti aderenti – è fissato dall’Assemblea, su proposta del Comitato di gestione formulata in base al preventivo di spesadell’esercizio di riferimento (art. 18 dello Statuto che, sul punto, rinvia al Regolamento operativo). Il contributo relativo alla copertura finanziaria degli interventi istituzionali è, invece, calcolato applicando l’aliquota percentuale (deliberata dal Comitato di gestione in funzione dei mezzi necessari per gli interventi da effettuare) sugli aggregati della base contributiva individuale rappresentata dai proventi lordi che agli intermediari derivano dalla prestazione dei servizi e attività di investimento (art. 21 dello Statuto).La disciplina ora brevemente richiamata, alla prova degli scandali societari che agli inizi del nuovo millennio hanno scosso la fiducia del mercato e danneggiato soprattutto i risparmiatori più deboli (si pensi ai casi “Cirio” e “Parmalat”, nonché all’opacità dell’informazione bancaria negli investimenti ad alto rischio come è ad esempio avvenuto con la vicenda dei Bond argentini) ha reso necessario un ripensamento dell’istituto del Fondo di garanzia.I cases sopra citati hanno fatto emergere, con prepotenza, ed a livello generale, la necessità di una rilettura delle normative in punto di tutela del risparmio e di controllo dell’esercizio del credito. Nel primo senso, si è manifestata l’esigenza di istituire degli strumenti di garanzia ed indennizzo dei risparmiatori, nonché l’opportunità di prevedere apposite procedure di conciliazione e arbitrato per la decisione delle controversie tra risparmiatori e intermediari.

Questi i motivi per cui, con l’art. 27, comma 2, L. 28 dicembre 2005, n. 262, recante “disposizioni per la tutela del risparmio e disciplina dei mercati finanziari”, il Parlamento ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’istituzione di un fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori[16].

Il D. Lgs. 8 ottobre 2007, n. 179, recante “istituzione di conciliazione e arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori in attuazione dell’art. 27, commi 1 e 2, della legge 28 dicembre 2005, n. 262”, ha poi confermato i principi contenuti nella legge delega relativi alla gestione del Fondo (attribuita alla Consob) ed alla possibilità del medesimo di surrogarsi nei diritti dell’indennizzato, alla legittimazione della Consob ad agire in giudizio in sua vece nonché alle modalità di finanziamento del Fondo stesso (art. 8, D. Lgs. 179/2007).

Il decreto ha inoltre provveduto a individuare i soggetti beneficiari dell’intervento del Fondo: gli investitori diversi dai clienti professionali di cui all’articolo 6, commi 2-quinquiese 2-sexies, T.U.F. (art. 1, lett. a), D. Lgs. 179/2007).

Alla Consob è stato affidato il compito di: definire i criteri di determinazione dell’indennizzo, fissandone anche la misura massima (al netto delle somme percepite dal soggetto danneggiato a titolo di risarcimento del danno per la medesima violazione ovvero dell’indennizzo cui l’intermediario è stato condannato a seguito della procedura arbitrale semplificata); disciplinare le modalità e le condizioni di accesso al Fondo nonché emanare le ulteriori disposizioni per l’attuazione del Fondo medesimo (art. 9, co. 1, D. Lgs. 179/2007).

Venendo ad oggi, con il D.Lgs. 3 agosto 2017, n. 129 (con cui è stata data attuazione, in Italia, alla ben nota Direttiva MiFID II, Direttiva 2014/65/UE), il legislatore ha abrogato il D. Lgs. 179/2007 – di attuazione dell’art. 27, D. Lgs. 262/2005 per il quale è stato previsto il mantenimento sino alla data di applicazione delle nuove disposizioni – ed introdotto nel T.U.F. gli artt. 32-tere 32-ter.1 che disciplinano – rispettivamente – la risoluzione stragiudiziale delle controverse e il Fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori.

Come rappresentato da illustri commentatori, tale modifica è stata favorita dal recepimento dell’art. 75 della direttiva MiFID II (Direttiva 2014/65/UE) che prevede l’obbligo, per le imprese di investimento, di adottare procedure efficaci ed effettive per la risoluzione stragiudiziale delle controversie anche transfrontaliere aventi ad oggetto la prestazione di servizi di investimento[17].

In particolare, il nuovo articolo 32-ter.1 T.U.F. prevede che il Fondo rientri nel bilancio della Consob. Ciò al fine di semplificare l’accesso dei risparmiatori e degli investitori alle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie di cui dal nuovo articolo 32-ter T.U.F.

La disposizione mira infatti a garantire che, nei limiti della capienza, l’accesso dei risparmiatori e degli investitori diversi dai quelli professionali alle procedure sia gratuita, esonerandoli quindi dal versamento delle relative spese amministrative.

4. Considerazioni conclusive. Il “futuribile” dei Fondi.

Giova infine dar conto di un ulteriore istituto che è all’attenzione delle cronache di questi giorni. Si tratta del Fondo per la gestione dei depositi dormienti, per il tramite del quale – nei termini che appresso si diranno – si era da più parti ipotizzato di indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di crisi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito. Istituito con L. 23 dicembre 2005, n. 266 ed inserito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il Fondo in parola è alimentato dagli importi provenienti dai conti correnti e dai rapporti bancari, definiti “dormienti” all’interno del sistema bancario, assicurativo e finanziario (art.1, comma 345, Legge finanziaria 2006), nonché dagli importi degli assegni circolari non incassati, delle polizze vite prescritte e dei buoni fruttiferi postali non riscossi (art.1, commi 345-ter, 345-quater 345-quinquies, Legge finanziaria 2006)[18]. Il D.P.R. 22 giugno 2007, n. 116, ne ha dettato il Regolamento di attuazione, individuando i rapporti contrattuali che rientrano nella definizione di deposito dormiente e varando le regole per le comunicazioni che gli intermediari devono effettuare nei confronti deititolari di conti e depositi dormienti nonché le norme per il trasferimento delle somme così individuate al fondo.Quanto ai rapporti che debbono considerarsi “dormienti”, si tratta dei depositi di somme di denaro o dei depositi di strumenti finanziari in custodia ed amministrazione, con un saldo superiore a 100,00 €, in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme e degli strumenti finanziari (art. 1, D.P.R. 116/2007). Nel disciplinare, poi, gli obblighi di comunicazione dell’intermediario, vengono distinti quelli che sorgono in relazione ai titoli nominativi da quelli che, invece, attengono i titoli al portatore (art. 3, D.P.R. 116/2007).

Quanto ai primi, si prevede che l’intermediario debba inviare al titolare del rapporto, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’invito ad impartire disposizioni entro il termine di 180 giorni dalla data di ricezione avvisandolo che, decorso tale termine, il rapporto verrà estinto e le somme e i valori relativi a ciascun rapporto verranno devoluti ad un fondo pubblico istituito per indennizzare i risparmiatori.

Per i rapporti al portatore, a causa dell’evidente impossibilità per l’intermediario di conoscere il titolare pro tempore di un titolo che può circolare mediante semplice consegna, la Banca dovrà esporre nei locali aperti al pubblico e sul proprio sito web, un elenco contenente i numeri identificativi dei rapporti al portatore divenuti dormienti nel periodo di riferimento. Il titolare di tale rapporto, che voglia evitare l’estinzione dello stesso e la conseguente devoluzione delle somme al un fondo pubblico, è tenuto a movimentare il rapporto o in alternativa a compilare e sottoscrivere presso la filiale la dichiarazione con cui attesta di voler considerare attivo il rapporto entro il termine di 180 giorni dalla data di affissione e pubblicazione dell’avviso.

Il D.P.R. pone inoltre l’obbligo, sempre per gli intermediari, di inviare al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Consap S.p.A., entro il 31 marzo di ogni anno, l’elenco dei rapporti per i quali, nell’anno precedente, si siano verificate le condizioni per l’estinzione, per la pubblicazione sui relativi siti web. Contestualmente dovrà essere pubblicato, su almeno un quotidiano a diffusione nazionale, un avviso che informi dell’avvenuto invio del citato elenco (art. 4, D.P.R. 116/2007).

Entro il 31 maggio di ogni anno, gli intermediari sono inoltre tenuti a riversare al menzionato fondo, oltre che il denaro, gli strumenti finanziari ed i titoli relativi ai rapporti contrattuali per cui si è verificata la dormienza (art. 4, D.P.R. 116/2007)[19].

L’attenzione che si è riversata sul fondo in esame, specialmente in questi giorni, è dovuta all’imminente scadenza del termine fissato per la richiesta di restituzione delle somme che, per legge, vi sono confluite e, di conseguenza, dagli interrogativi circa la sorte di tali importi. Tutto ciò interessa in questa sede giacché da più parti, e in più occasioni, è stata proposta (financo promessa) la devoluzione (in tutto o in parte) dei valori del Fondo alla soddisfazione dei risparmiatori/investitori “traditi” dalle crisi delle Banche Venete e dell’Italia Centrale. In questo senso, e anzitutto, si segnala che il cd. “Contratto di governo” siglato tra le forze di Governo il 18 maggio 2018, prevedeva di attingere a questo Fondo per finanziare gli istituti di indennizzo di recente introduzione. Nella parte dedicata alla “Tutela del risparmio” si legge infatti che: “per far fronte al risarcimento dei risparmiatori “espropriati” si prevede anche l’utilizzo effettivo di risorse, come da legge vigente, provenienti da assicurazione e polizze dormienti. La platea dei risparmiatori che hanno diritto a un risarcimento, anche parziale, deve essere allargata anche ai piccoli azionisti delle banche oggetto di risoluzione”. La L. 108/2018 non fa, però, alcun riferimento alle somme rivenienti dai cd. fondi dormienti ma, semmai, precisa che il Fondo di ristoro opera “entro i limiti della dotazione finanziaria e fino al suo esaurimento secondo il criterio cronologico della presentazione dell’istanza corredata di idonea documentazione”.

Non solo. Al momento in cui si scrive, e nonostante le indiscrezioni anticipate da numerose testate giornalistiche, non risulta che una simile destinazione delle risorse del Fondo in esame sia stata disposta neppure all’interno della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza che, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 27 settembre 2018 e poi presentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, è stata infine approvata dal Parlamento l’11 ottobre scorso.



[1] Sui rapporti tra il Fondo di solidarietà ed il Fondo interbancario di tutela dei depositi, in chiave critica, cfr. S. Maccarone, Le anomalie del Fondo di solidarietà, in Il Sole 24 ore, Milano, 20 luglio 2017.

[2] Ricordiamo che, sotto il profilo della classificazione della clientela, rilevano in particolar modo la Direttiva 2014/65/UE (allegato II “Clienti professionali ai fini della presente Direttiva”) ed il Regolamento Delegato (UE) 2017/565 della Commissione del 25 aprile 2016 che, nel confermare la tripartizione della clientela di MiFID I, avendo la crisi finanziaria messo in evidenza i limiti della capacità dei clienti non al dettaglio di valutare il rischio dei loro investimenti, hanno inteso estendere alcune tutele previste per la clientela al dettaglio anche alla clientela professionale e alle controparti qualificate, calibrando così meglio i requisiti applicabili alle diverse categorie di clienti.

[3] Il primo requisito – quello reddituale – è individuato dall’art. 9, co. 1, lett. a), ove si prevede un “ammontare del reddito complessivo dell’investitore ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche nell’anno 2014 inferiroe a 35.000 euro”; il secondo – quello patrimoniale – risulta dal combinato disposto dell’art. 9, co. 1, lett. a) (ove si fa riferimento al “patrimonio mobiliare di proprietà dell’investitore di valore inferiore a 100.000 euro”) e del successivo co. 2 (che individua la nozione di “patrimonio mobiliare” rilevante rinviando ai criteri ed alle istruzioni approvate con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze del 29 dicembre 2015, n. 363, recante “Approvazione del modello tipo di dichiarazione sostitutiva unica (DSU)” e delle relative istruzioni.

[4] Specificamente sulla procedura arbitrale, cfr. F. Corsini, La procedura arbitrale per accedere al Fondo di solidarietà, in Banca, Borsa e Titoli di Credito, Milano, 2018, n. 4, pp. 491 ss.

[5] Le successive disposizioni del Regolamento, cui si rinvia per la disciplina di dettaglio, si occupano delle modalità di funzionamento dei collegi arbitrali (art. 4), delle sedi dei collegi (art. 5) e dei costi dei procedimenti (art. 6).

[6] La nozione di investitore rilevante ai sensi e per gli effetti del richiamato D.L. coincide con quella già enucleata dalle disposizioni cui si è fatto già riferimento nel testo riguardo alle c.d. Banche dell’Italia centrale.

L’art. 6, D.L. 99/2017, conv. modif. dalla L. 121/2017, prevede infatti che “1. Gli investitori che siano persone fisiche, imprenditori individuali, nonché imprenditori agricoli o coltivatori diretti o i loro successori mortis causa che, al momento dell’avvio della liquidazione coatta amministrativa di cui al presente decreto, detenevano strumenti finanziari di debito subordinato emessi dalle Banche e acquistati nell’ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime Banche emittenti, possono accedere alle prestazioni del Fondo di solidarietà previsto dall’articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, secondo quanto stabilito dall’articolo 1, commi 856, 857, 858, 859, 860 e 861, e successive modificazioni, della medesima legge. Ai fini di cui al periodo precedente si intendono per investitori anche il coniuge, il convivente more uxorio e i parenti entro il secondo grado in possesso dei predetti strumenti finanziari a seguito di trasferimento con atto tra vivi. Il presente comma si applica solo quando gli strumenti finanziari di debito subordinato sono stati sottoscritti o acquistati entro la data del 12 giugno 2014; in caso di acquisto a titolo gratuito si fa riferimento al momento in cui lo strumento è stato acquistato dal dante causa.

2. Agli investitori di cui al comma 1 si applicano le disposizioni in materia di accesso al Fondo di solidarietà con erogazione diretta di cui all’articolo 9 del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119. L’istanza di erogazione dell’indennizzo forfettario di cui al comma 6 del citato articolo 9 deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il 30 settembre 2017”.

[7] Sul tema si è già espressa anche autorevole dottrina, così G. Santoni, L’estensione del Fondo di ristoro finanziario in favore degli azionisti danneggiati dalle crisi bancarie del biennio 2015-17, in Diritto Bancario, Settembre 2018.

[8] La Consob ha prontamente provveduto ad adempiere all’obbligo di legge. Sul sito internet dell’Authority (ww.consob.it) si legge infatti: “Come si può leggere sul sito della Consob: “È al nastro di partenza la procedura per la richiesta di ristoro da parte dei risparmiatori danneggiati, che hanno perso i propri soldi investendo in titoli emessi dalle banche poste in risoluzione a fine 2015 (Banca delle Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti) e in liquidazione coatta amministrativa nel giugno 2017 (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Sul sito della Consob (www.consob.it) sono stati pubblicati, infatti, in home page l’Avviso e il relativo modulo per fare domanda. L’avvio della procedura è effetto dell’entrata in vigore, il 22 settembre scorso, di una norma di legge contenuta nel cosiddetto decreto “Milleproroghe” (articolo 11, comma 1-bis del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito con la legge n. 108 del 21 settembre 2018). Beneficiari sono i risparmiatori che hanno già presentato ricorso all’Arbitro per le controversie finanziarie (Acf), istituito presso la Consob e che abbiano ottenuto, ovvero otterranno entro il 30 novembre prossimo, una decisione a loro favorevole. In base alla disposizione di legge, il rimborso è pari al 30% del danno liquidato dall’Acf, con un tetto massimo di 100.000 euro. Le domande possono essere presentate anche dai risparmiatori che abbiano sottoscritto titoli emessi da Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca tramite le loro rispettive controllate, Banca Nuova e Banca Apulia”.

[9] Vedi, R. N. McKean, The Unseen Hand in Government, in American Economic Review, 1965, vol. 55, n. 3, pp. 496-506, con riferimento all’idea di fallimento dello Stato e all’idea che, nonostante la difficoltà che in determinati settori economici si realizzino le condizioni che garantiscono la c.d. “concorrenza perfetta”, l’intervento governativo finisce sovente per peggiorare, invece di migliorare, la situazione problematica su cui interviene.

[10] Cfr. F. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, G. Giappichelli Editore, Torino, 2017, pp. 354-356; R. Costi, Il mercato mobiliare, G. Giappichelli Editore, Torino, 2016, pp. 11-14; A. Perrone, Il diritto del mercato dei capitali, Milano, 2016, pp. 20 ss.

[11] Vedi per un approfondimento, A. Mazzoleni, Il finanziamento all’impresa. La scelta tra debito e capitale, Franco Angeli, Milano, 2016.

[12] Sul punto, cfr. F. Squintani, Moral hazard, renegotiation and forgetfulness, in Discussion paper, vol. 1269, Northwestern University, Center for Mathematical Studies in Economics and Management Science, 21 marzo 2011.

[13] Secondo i dati forniti da Unioncamere Veneto, per Veneto Banca si tratterebbe di circa 87 mila soci, con perdite pari a circa 3,8 miliardi di euro (attribuendo alle azioni il prezzo di 30,5 euro, quello cioè indicato nell’assemblea dei soci del 2015); per Banca Popolare di Vicenza, i soci coinvolti sarebbero circa 119 mila, con perdite pari a circa 4,8 miliardi di euro (il valore assunto a base della stima è pari a 48 euro, assegnato alle azioni dall’assemblea dei soci del 2015).

[14] L’adesione obbligatoria a un sistema di indennizzo riconosciuto in Italia è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 1997, a seguito dell’attuazione della direttiva (97/9/CE) sui sistemi di indennizzo. Attualmente aderiscono al Fondo le banche italiane e UE, le società di intermediazione mobiliare (SIM), le società di gestione del risparmio (SGR), società di gestione UE, le società fiduciarie, gli intermediari ex art. 18, comma 3 del TUF, le imprese di investimento UE, le imprese di paesi terzi, i gestori di sistemi multilaterali di negoziazione, i gestori di portali per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali nonché le succursali insediate in Italia di banche, imprese di investimento UE e società di gestione UE limitatamente all’attività svolta in Italia, al fine di integrare la tutela offerta dal sistema di indennizzo del paese d’origine.

[15] In particolare i crediti sono rappresentati da strumenti finanziari e/o da denaro connesso con operazioni di investimento e derivano dalla prestazione di servizi di investimento nonché di alcuni servizi accessori (custodia e amministrazione di strumenti finanziari).

[16] La legge di delega individuava i seguenti principi e criteri direttivi:

a) destinazione del fondo all’indennizzo, nei limiti delle disponibilità del fondo medesimo, dei danni patrimoniali causati dalla violazione, accertata con sentenza passata in giudicato, delle norme che disciplinano le attività di cui alla parte II di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, detratti l’ammontare dell’indennizzo di cui al comma 1 eventualmente al soggetto danneggiato e gli importi dallo stesso comunque percepiti a titolo di risarcimento;

b) previsione della surrogazione del fondo nei diritti dell’indennizzato, limitatamente all’ammontare dell’indennizzo erogato, e facoltà di rivalsa del fondo stesso nei riguardi della banca o dell’intermediario responsabile;

c) legittimazione della CONSOB ad agire in giudizio, in rappresentanza del fondo, per la tutela dei diritti e l’esercizio della rivalsa ai sensi della lettera b), con facoltà di farsi rappresentare in giudizio a norma dell’articolo 1, decimo comma, del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni, ovvero anche da propri funzionari;

d) finanziamento del fondo effettuato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni irrogate agli intermediari per la violazione delle norme di cui alla lettera a);

e) attribuzione della gestione del fondo alla CONSOB;

f) individuazione dei soggetti che possono fruire dell’indennizzo da parte del fondo, escludendo comunque gli investitori professionali, e determinazione della sua misura massima;

g) attribuzione del potere di emanare disposizioni di attuazione alla CONSOB”.

[17] Per tutti, si veda E. Pezzuto – R. Razzante, MiFID II: Le novità per il mercato Finanziario, G. Giappichelli Editore, Torino, 2018.

[18] Ai benefici del fondo sono ammessi anche i risparmiatori che hanno sofferto il predetto danno in conseguenza del default dei titoli obbligazionari della Repubblica Argentina. Con successivi interventi legislativi il fondo è stato anche destinato a iniziative di carattere sociale e, da ultimo, con il decreto legge n. 134 del 28 agosto 2008, a indennizzare i piccoli azionisti ovvero obbligazionisti della società Alitalia.

[19] Con successive Istruzioni e Circolari del Ministero dell’Economia e delle Finanze sono state dettate le modalità di rimborso delle somme versate al suddetto Fondo per i titolari dei depositi, nonché degli assegni circolari, dei contratti di assicurazione sulla vita e dei buoni fruttiferi postali non prescritti (in allegato sono forniti tracciati record da utilizzarsi per la comunicazione dei Rapporti dormienti). Con comunicato del 3 marzo 2011, successivamente integrato con comunicato del 2 marzo 2012 e del 6 giugno 2014, sono state dettate nuove istruzioni sulle modalità di adempimento degli obblighi informativi a carico degli intermediari finanziari in materia di conti dormienti. Infine, con circolare del 25 ottobre 2011, rivolta agli intermediari di cui all’art. 1, lett. a) del DPR n. 116/2007, sono stati indicati i criteri da applicarsi riguardo ai costi di pubblicazione sui quotidiani a diffusione nazionale dei dati riguardanti i conti dormienti.

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