1. Premessa
Nel presente articolo ci proponiamo di svolgere una prima analisi della proposta di direttiva“Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on credit servicers, credit purchasers and the recovery of collateral” [1] (la “Proposta”) la cui lettura lascia subito intravvedere il rilevante impatto che, ove approvata, si determinerebbe sul mercato finanziario italiano, venendo ad incidere profondamente sul vigente articolato sistema di riserve di attività, con un sostanziale effetto di liberalizzazione del mercato e di sua apertura ad investitori (anche e forse soprattutto stranieri) oggi ingolositi dalle enormi e non ancora sfruttate “vene aurifere” che essi intravvedono luccicare nei bilanci delle banche italiane; liberalizzazione ma al contempo ri-articolazione di soggetti e di riserve di attività di cui gli operatori dovranno tener sin d’ora conto nella definizione dei loro assetti organizzativi e nel loro posizionamento strategico sul mercato dei NPL. Si tenga presente che, essendosi prescelto lo strumento normativo della direttiva, il quadro normativo di ciascuno Stato Membro dovrà dunque essere opportunamente adeguato attraverso una serie di misure di recepimento che, nel testo della Proposta, dovrebbero essere adottate entro il 30 dicembre 2020, con entrata in vigore dal 1 gennaio 2021 (v. art.41 della Proposta).
La Proposta da conto di considerare i NPL innanzitutto come un problema per le banche (occorre “ripulire” i bilanci delle banche dalla presenza dei crediti deteriorati che determina evidenti effetti negativi sull’economicità della gestione), pur nella consapevolezza che essi rappresentino oggi una “ghiotta” opportunità per gli “investitori” (i crediti deteriorati da “smaltire” rappresentano oggi un asset da comprare, spesso a prezzi di stralcio, e dal quale poter poi estrarre un norme valore latente; da questo punto di vista l’assimilazione anche linguistica col fenomeno dello “smaltimento” dei rifiuti – vero “oro” per chi li sappia trattare – è certamente paradigmatica e suggestiva). Regolatori e policy-makers sono chiamati a mediare tra queste esigenze, facendosi carico di tutelare – anche con interventi “di sistema” – beni primari collettivi, quali la stabilità del sistema bancario ma anche la tenuta del tessuto imprenditoriale, evitando che opacità del mercato, asimmetrie informative e fenomeni di free-riding determinino destabilizzanti e occulte traslazioni di ricchezza tra debitori e creditori, tra risparmiatori inconsapevoli, equity-holders delle banche e lungimiranti investitori, il tutto con ricadute (dirette e indirette) in campo sociale che non possono essere ignorate.
In conclusione al presente articolo – nel paragrafo 5 – avanzeremo allora alcune prime osservazioni critiche (o “perplesse”) di natura più “politica” su alcune discutibili scelte di fondo adottate nella Proposta che – se non opportunamente riconsiderate nell’ambito del percorso legislativo che dovrà ancora compiersi per arrivare all’approvazione della Direttiva – potrebbero aver ripercussioni rilevanti sul sistema imprenditoriale italiano. Ove si arrivasse, infatti, ad una brusca, improvvisa e indiscriminata apertura agli “investitori stranieri” del mercato di quella particolare categoria che chiameremo “NPL Ristrutturabili” (vedi paragrafo 5 ii.), si determinerebbe assai prevedibilmente un altrettanto improvviso e brusco cambio di paradigma nella relazione banca -“impresa in crisi”, in assenza di un ponderato e maturato ri-orientamento culturale di quello; la medesima fenomenologia a cui – in una paradossale eterogenesi dei fini – abbiamo assistito, sebbene in un diverso ambito, con l’improvvisa (improvvida?) introduzione del bail-in rischierebbe di riprodursi con effetti altrettanto destabilizzanti[2]? Anche in tal caso sarebbe allora opportuna una più attenta ponderazione degli effetti, soprattutto nella fase di transizione?
2. Percorso e quadro di riferimento dell’iniziativa normativa in esame
A ottobre 2017 la Commissione[3] aveva proposto di integrare il processo di completamento dell’Unione Bancaria con misure di riduzione dei crediti deteriorati mediante la condivisione e, parallelamente, la riduzione del rischio, trovando il favorevole riscontro del Parlamento europeo e del Consiglio. Nella citata comunicazione e nella prima relazione sui progressi compiuti del 18 gennaio 2018, la Commissione si era impegnata a dare attuazione concreta agli elementi del Piano d’Azione[4] di sua competenza.
La Commissione ha dunque varato nei giorni scorsi un pacchetto normativo assai articolato proponendosi così l’ambizioso obiettivo di affrontare il nodo dei NPL[5] in ambito europeo che, nonostante i considerevoli progressi compiuti nel corso degli ultimi anni, rappresenta tuttora uno dei grandi rischi residui per il sistema bancario europeo, dando seguito, come detto, al Piano d’Azione del Consiglio concordato dai ministri europei delle finanze a luglio 2017, finalizzato a gestire l’ingente stock di crediti deteriorati e a prevenire un ulteriore aumento di posizioni deteriorate nel futuro. Nell’ambito della medesima iniziativa, la Commissione ha inoltre presentato la seconda relazione sui progressi compiuti nella riduzione dei crediti deteriorati in Europa[6].
L’articolata e ambiziosa iniziativa normativa si inserisce nel percorso verso una piena Unione dei mercati dei capitali (CMU) e una realizzata Unione Bancaria, entrambi da ritenersi passaggi centrali nella direzione di un rafforzamento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa.
L’iniziativa normativa in esame affronta quattro, complementari, snodi centrali della tematica dei NPL che delineano una articolata strategia di intervento ad ampio raggio:
- il profilo prudenziale, attraverso un intervento normativo finalizzato a rafforzare le politiche di accantonamento dei fondi a copertura dei rischi associati ai prestiti futuri che dovessero deteriorarsi in NPL, con l’obiettivo di evitare un ulteriore accumulo di NPL nei bilanci bancari; l’obiettivo è perseguito attraverso un Regolamento modificativo del Regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR)[7] che introduce livelli comuni di copertura minima per i prestiti di nuova erogazione che dovessero passare a “crediti deteriorati”; in caso di mancato rispetto dei livelli minimi di provision, verrebbero operate deduzioni ai fondi propri della banca;
- la creazione di un efficiente e trasparente mercato secondario unico e armonizzato dei NPL di natura e/o origine bancaria, attraverso un intervento normativo e regolamentare che, tramite lo strumento di una direttiva ad hoc, crei le condizioni per il suo sviluppo; complementare a questo obiettivo è quello di sviluppare un mercato dei connessi servizi di gestione/recupero dei medesimi NPL da parte di c.d. “credit servicer” che dovranno esser sottoposti ad un regime comune e armonizzato di regole di procedure autorizzative e di vigilanza, oltreché di regole di comportamento. Regime che conferirebbe poi un “passaporto europeo” per operare in tutta la UE; viceversa, i soggetti di paesi terzi che acquistino crediti nei confronti di soggetti consumatori, saranno tenuti ad avvalersi di servicer dell’UE autorizzati. Vengono poi previsti obblighi di comunicazione alle autorità di vigilanza di tutte le operazioni che abbiano ad oggetto il trasferimento di NPL di natura bancaria con l’obiettivo di monitorare costantemente e in tempo reale il mercato;
- nell’ambito della stessa Proposta si persegue altresì l’obiettivo di rendere più incisivi i meccanismi di recupero dei crediti deteriorati attraverso un intervento normativo che integra la Proposta di Direttiva su insolvenza e ristrutturazione delle imprese, presentata nel novembre 2016; l’obiettivo è quello di agevolare percorsi di esecuzione stragiudiziale accelerata dei crediti assistiti da garanzie reali – limitatamente ai prestiti erogati a imprese e con esclusione del credito ai consumatori – prevedendo che banca e debitore possano concordare in anticipo meccanismi accelerati di recupero dei beni costituiti in garanzia;
- predisporre un quadro di riferimento, non vincolante, per gli Stati Membri che, ripercorrendo iniziative già sperimentate nel corso dell’ultimo decennio in varie parti del mondo, intendano far ricorso a c.d. “good bank” nazionali, e cioè asset management companies (AMCs) dedicate alla gestione di attivi nel rispetto delle norme UE vigenti nel settore bancario e in materia di aiuti di Stato.
3. I tratti salienti della Proposta finalizzata alla creazione di un mercato unico e armonizzato dei NPL e dei “servizi creditizi” prestati in relazione ad essi[8]
La Proposta di Direttiva muove dalla considerazione che un elemento centrale per la soluzione del problema dei NPL, considerato tuttora centrale per la stabilità e razionalizzazione del sistema bancario europeo e per la piena realizzazione di una Unione Bancaria, sia la creazione di efficienti e trasparenti mercati secondari. A tal fine viene ritenuta centrale: (i) la rimozione dei vincoli che si frappongono, a livello di singoli Stati Membri, al trasferimento di NPL dalle banche ad altri soggetti; (ii) la semplificazione e armonizzazione dei requisiti di accesso e di operatività per i soggetti (“credit servicers”) che prestano connessi servizi di gestione/incasso/recupero di crediti (“credit services”, locuzione che potremmo qui tradurre sinteticamente e preliminarmente come “servizi creditizi”[9]).
Le barriere di accesso al mercato dei NPL da parte di investitori non bancari, generano la scarsità di domanda e la debolezza di concorrenza che oggi il mercato evidenzia, esprimendo quel rilevante gap nei prezzi di domanda e di offerta che disincentiva le banche dal procedere allo “smaltimento” dello stock accumulato; questo ritenendosi l’obiettivo primario che la normativa dovrebbe oggi incentivare e agevolare (presupposto su cui potrebbero anche esprimersi dubbi, come vedremo oltre al par. 5.). Un fattore che viene ritenuto ulteriormente scoraggiante per l’accesso di nuovi investitori al mercato europeo dei NPL viene poi individuato nell’assenza di un mercato sviluppato di credit servicers. L’apertura, anche a investitori terzi, di un mercato europeo dei NPL e dei servizi creditizi – allargando i confini dei singoli mercati nazionali, altrimenti asfittici e frammentati, eliminando vincoli e barriere legali e regolamentari – viene ritenuto dalla Commissione un obiettivo prioritario per dare efficienza e trasparenza ad esso, per consentire il raggiungimento di economie di scala, incentivare la competizione, aumentare i volumi di transazioni in NPL, incrementarne i prezzi bid e ridurre il gap bid-ask, abbattere i costi dei servizi creditizi.
La Commissione mostra di aver considerato e attentamente ponderato più opzioni di intervento, valutando attentamente per ciascuna di esse impatti quantitativi e conseguenze sul mercato; di tutto ciò può aversi approfondita conoscenza con la lettura del ponderoso e pregevole, per profondità e ricchezza analitica[10], documento elaborato a supporto della iniziativa normativa : il Commission Staff Working Document – Impact Assessment[11], in particolare, la Part1/2 (di cui è disponibile anche una versione sintetica, l’Executive Summary[12]). Come può ben leggersi in tali documenti, una possibilità di intervento avrebbe potuto essere quella di prevedere un set di principi comuni non vincolanti volti solo ad intaccare le più significative barriere di ingresso oggi vigenti; tale strada pur riducendo le vigenti restrizioni al trasferimento di NPL e alla connessa prestazione di “servizi creditizi” non avrebbe però consentito di sviluppare un mercato unico. Una strada alternativa era quella di una Direttiva che prevedesse un sistema di passaportazione, pur mantenendo in capo agli Stati Membri specifiche discipline nazionali. Più radicale sarebbe infine stata la scelta di operare attraverso un Regolamento, adottando un “single rule book” che prevedesse al contempo un regime di passaportazione ma anche di disciplina uniforme di ingresso al mercato e di comportamento su di esso, sia con riferimento agli investitori interessati ad acquisire NPL dalle banche, sia ai services providers interessati a prestare “servizi creditizi” in relazione ad essi. Questa soluzione avrebbe certamente facilitato la creazione di un mercato unico, pur potendo mostrare rigidità di adeguamento ai sistemi normativi vigenti nei singoli Stati Membri e potendo altresì ingenerare effetti contrari in quei mercati in cui, già oggi, l’accesso risulta più agevole. La scelta adottata risulta esser stata quindi quella intermedia di prevedere un quadro vincolante di armonizzazione (c.d. “common standards”), sia delle regole di accesso che delle norme di comportamento. Si è dunque fatto ricorso allo strumento della Direttiva – ai sensi e per gli effetti degli artt. 53 e 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione – che lascia quindi agli Stati Membri un margine di discrezione nel valutare le misure di recepimento che meglio possano conciliarsi con il loro vigente quadro normativo, attesa la molteplicità di ricadute e interconnessioni che tale operazione di recepimento presenta rispetto alla normativa anche di natura civile, commerciale e fallimentare, oltre a quella più strettamente regolamentare.
La Proposta in esame tiene conto e si concilia con l’art. 169 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea e con tutta l’ulteriore normativa finalizzata alla protezione dei consumatori nell’ambito dei servizi finanziari, garantendo che venga preservato lo stesso livello di protezione in tutta l’Unione, a prescinder da chi acquisti NPL di natura bancaria, o presti servizi creditizi in relazione ad essi. Vengono dunque espressamente fatti salvi e coordinati (v. i Titoli VI e VII della Proposta) i diritti e le tutele previste dalla Direttiva in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali[13], dalla Direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori[14] e dalla Direttiva relativa alle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori[15]. Similmente la Proposta si propone di coordinarsi con la Proposta di Direttiva sui processi di ristrutturazione c.d. Restructuring Proposal[16].
Occorre infine segnalare come la Proposta ometta consapevolmente e volutamente di disciplinare i delicati profili civilistici e internazional-privatistici (vedi Considerando (19) della Proposta) connessi, quali quello dei diritti dei debitori e della modalità di cessione dei crediti/contratti, oltre a quello della protezione dei dati personali.
1) Il Titolo I definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione della Proposta, chiarendo innanzitutto come essa si applichi, da un lato all’acquisto e, dall’altro ai “servizi creditizi” che abbiamo ad oggetto NPL di origine e/o di natura bancaria, in cui cioè: (i) il creditore originario – avendo riguardoal momento della sua “emissione” (“issuance”) – sia una banca (rectius, una “Credit Institution” come definita nel Regolamento (EU) n. 575/2013), e che; (ii) tale credito promani da un rapporto di natura creditizia (“credit agreement”), prescindendosi invece del tutto dalla qualità e dallo status del debitore. Può dunque subito osservarsi come per effetto del recepimento della Direttiva verrebbe a crearsi un “doppio regime” in relazione alla disciplina dell’acquisto e dei servizi che abbiano ad oggetto “crediti”, atteso che per ogni altro credito, di natura e/o origine diversa da quella bancaria, permarrebbe vigente l’attuale e diverso sistema di riserve ei di regole disciplinari.
Occorre però qui subito avanzare una osservazione di fondo e lo si fa quasi sommessamente, consapevoli degli effetti di tale osservazione, quasi increduli di doversi confrontare con un tema interpretativo di una simile magnitudine in quello che è il testo finale di una proposta normativa di tale portata. Nonostante tutta la Proposta e i suoi lavori preparatori vertano, come visto, sulla tematica dei NPL, e quindi dei “crediti” deteriorati, l’oggetto e l’ambito e della Proposta (rispettivamente agli artt. 1 e 2) si concentrano (invece?) sui “credit agreements”! Oggetto di regolamentazione sono infatti, da un lato, l’acquisto da parte di un credit purchaser di un “credit greement”; dall’altro la prestazione da parte di un credit servicer, di “servizi creditizi” in relazione ad un “credit agreements”. Oggetto di disciplina – nella sua dimensione circolatoria o con riferimento ai servizi creditizi che in relazione ad esso possono svilupparsi – è dunque non tanto un “credit”, ma un “credit agreement”, definito espressamente come “an agreement as originally issued, modified or replaced whereby a creditor grants or promise to grant a credit in the form of a deferred payment, a loan or other similar financial accomodation”. Così è poi ben chiarito nell’art. 2.1 che la Direttiva si applichi a ogni “credit servicer of a credit agreement issued by a credit institution…” e a ogni “creditr purchaser of a credit agreement issued by a credit institution…whereby the credit purchaser assumes the creditor’s obligation under the credit agreement…”(sic!); ancora, si stabilisce che “Borrower” è il soggetto che “has concluded a credit agreement” (v. definizione di cui all’art. 3 (3)) e così via. Ciò detto, non potrà non balzare subito all’occhio di qualunque giurista nostrano, così come a quello di qualunque operatore del mercato domestico delle cartolarizzazioni o delle altre operazioni con sottostante “crediti”, la problematica interpretativa che una lettura e una traduzione letterale e rispettosa del testo inglese della proposta, aprirebbe nel nostro contesto. Rilevante, irriducibile e densa di implicazioni pratiche e di disciplina è nella nostra tradizione civilistica la distinzione tra “credito” e “contratto (di credito)”[17]; ed è dato di esperienza comune come tutta la disciplina e l’operatività sia oggi incentrata, nel suo momento circolatorio, sul “credito” non sul “contratto (di credito)”; si pensi solo alla disciplina nostrana della cartolarizzazione, a quelle particolari tipologie di FIA che sono i Fondi di credito o i Fondi di Ristrutturazione[18] o all’istituto del factoring , così come a tutta la connessa operatività e ai relativi modelli negoziali e di analisi legale (due diligence, legal opinions etc.) ormai impostisi nella prassi. Il cambio di prospettiva – o una supposta intercambiabilità tra “credito” e “contratto (di credito)” – appare subito problematica, probabilmente inattuabile e si porterebbe comunque appresso tematiche giuridiche di difficilissima soluzione. Un dubbio sorge allora spontaneo: potrebbe forse ritenersi che sia solo una ambiguità derivante dall’utilizzo della lingua inglese, destinata a trovare soluzione in sede di traduzione ufficiale del testo della direttiva e/o in sede di recepimento, nell’ambito della discrezionalità lasciata agli Stati Membri proprio al fine di armonizzarne il recepimento della Direttiva in ogni singolo ordinamento che sarà chiamato ad ospitarla? Può dunque pensarsi che in quelle sedi la locuzione “credit agreement” possa essere facilmente rimpiazzata da quello di “credit”, nella sua traduzione in italiano come “credito”? Dai dati normativi sopra esposti l’aporia non sembra tuttavia affatto riconducibile ad un mero problema semantico o di traduzione di istituti giuridici – per cui la locuzione credit agreement debba semplicemente intendersi riferita al fenomeno, ben riconosciuto anche nella nostra tradizione civilistica, in base al quale il “credito” è comunque caratterizzato da una disciplina di matrice negoziale (oltreché legale) che ne conforma il concreto suo atteggiarsi[19] – ma ad una scelta consapevole. Tale pare la conclusione obbligata ove si rilegga il dato normativo già sopra illustrato con enfasi: “credit purchaser of a credit agreement issued by a credit institution…whereby the credit purchaser assumes the creditor’s obligation under the credit agreement…”. Ma se così fosse dovrebbe allora giungersi alla inverosimile conclusione che almeno nel nostro contesto la Direttiva avrebbe una applicazione ben misera, atteso che, come detto, la stragrande maggioranza delle operazioni aventi ad oggetto NPL si qualificano come operazioni che hanno ad oggetto “crediti” e non certo “contratti di credito”!
2) Il Titolo II definisce un quadro regolamentare uniforme applicabile ai “credit servicers”, tali dovendosi intendere tutti coloro che prestano “servizi creditizi”, e cioè – in virtù della definizione di cui all’art.3 (8) – i seguenti “servizi creditizi” aventi ad oggetto “credit agreemets”: monitoraggio, incasso, escussione delle connesse garanzie, informazione del debitore, recupero attraverso attivazione dei diritti di natura legale o negoziale, rinegoziazione, gestione dei reclami del debitore. Viene dunque previsto un regime autorizzativo che richiede alcuni requisiti in capo ai credit servicers (artt. 5 e 6) e che istituisce un albo pubblico (art. 8), prevedendosi poi regole sulla forma e il contenuto del contratto di servizio (art. 9) e regole per l’outsurcing dei servizi medesimi (art. 10). Il Capitolo II (artt. 11 e 12) disciplina poi la prestazione cross-border dei servizi creditizi, prevedendo un regime di passaportazione analogo a quello operante in ambito di servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio. Rimane da valutare con quale margine di discrezionalità possa essere conferita ed esercitata la delega gestoria dei NPL affidati ai servizi del credit servicer e in che termini, dunque, tale schema operativo potrà coincidere o meno con quella tipica di una “gestione attiva” – di natura collettiva o individuale- oggi oggetto di altre riserve di legge.
3) Il Titolo III si occupa invece di disciplinare l’attività dei credit purchasers, e quindi l’attività di acquisto dei NPL, non prevedendosi qui un regime autorizzativo, ma essenzialmente informativo (a favore dell’acquirente, in sede pre-negoziale (artt. 13 e 14) e da parte dell’acquirente all’autorità di vigilanza, (art.16, 18 e 19), con finalità statistiche e di monitoraggio del mercato). Con riferimento al contesto nostrano deve dunque osservarsi come ogni attuale riserva di legge – limitatamente all’”acquisto a titolo oneroso” di crediti, posto che ogni altra riserva ad es. relativa alla loro “gestione in monte” dovrebbe continuare ad operare – dovrà venir meno[20], come espressamente previsto dall’art. 15.2. della Proposta. Può poi osservarsi come, laddove i servizi di incasso siano svolti direttamente dall’acquirente o comunque dal titolare del credito (“credit agreement”!), non parrebbe applicarsi la disciplina di cui al Titolo I; sfuggono le motivazioni di riservare un trattamento diverso nelle due ipotesi – esercizio diretto ovvero delegato dei “servizi creditizi” – laddove la chiara opzione sottostante è stata quella di circondare la prestazioni di tali “servizi creditizi” con tutta una serie di cautele che ne garantiscano una prestazione secondo fit and proper criteria, anche nell’interesse del debitore, borrower. Nel caso di acquisto di NPL da parte di credit purchasers non stabiliti nella UE viene previsto l’obbligo di avvalersi di un credit servicer autorizzato, ma limitatamente al caso in cui il debitore risulti un consumatore (art. 15); inoltre ove l’acquisto di un NPL avvenga da parte di un acquirente di un paese terzo, questo dovrà designare un rappresentante stabilito nella UE che assicuri il rispetto delle obbligazioni previste dalla direttiva in capo ai credit purchasers (art. 17). Queste disposizioni avranno evidentemente una ricaduta diretta sull’operatività e gli assetti organizzativi di investitori extra-UE che si affacciano sul mercato dei NPL delle banche europee. Viene infine disciplinato un quadro uniforme dell’attività di vigilanza che dovrà essere svolto dalle autorità competenti designate dai singoli Stati membri (artt. 20 e 21).
4. Il quadro legislativo e regolamentare vigente in ambito domestico e il prevedibile impatto che avrebbe la direttiva su di esso.
L’attività di acquisto, gestione, recupero e cartolarizzazione di crediti – deteriorati o meno, di natura e/o origine bancaria o meno – è oggetto nel nostro vigente Ordinamento finanziario di una fitta e intricata trama di riserve di attività e di discipline che si sono accavallate e sovrapposte disordinatamente nel corso degli ultimi decenni. Limitandoci qui al solo profilo della disciplina dell’accesso a tali attività – ed omettendo il diverso, connesso e altrettanto articolato profilo dei diversi modelli operativi oggi rintracciabili e della diversa disciplina civilistica e regolamentare ad essi applicabile[21] – può tentarsi una prima mappatura degli effetti che potranno determinarsi sul/i mercato/i domestico/i su cui la Direttiva in esame verrebbe ragionevolmente ad incidere.
Occorre allora partire da una accurata mappatura di quell’articolato sistema di “riserve di attività”. Per far ciò è utile adottare un approccio analitico che scomponga e consideri separatamente le singole distinte fasi dell’intervento avente ad oggetto NPL, secondo il modello di intervento adottato nella Proposta: (i) l’acquisto di NPL e (ii) i “servizi creditizi” ad essi connessi. Come detto, la Direttiva sarebbe destinata ad incidere solo sui NPL di origine e/o natura bancaria e quindi è solo rispetto a questa tipologia di crediti che valuteremo qui di seguito l’impatto sul quadro normativo e regolamentare vigente; per i crediti di altra origine e/o natura esso continuerà ad applicarsi senza mutamenti.
i. Riserva di I° grado: “acquisto di crediti a titolo oneroso” quale attività finanziaria riservata Soggetti abilitati:
- banche (non impattate)
- intermediari finanziari autorizzati ex art. 106 T.U.B. (cade la riserva)
- FIA (“Fondi che investono in crediti”; “Fondi di cartolarizzazione ex L. n. 130 del 1999”; “Fondi di Ristrutturazione”, “FIA UE” ex art. 46ter TUF) (permane inalterata la riserva relativa all’acquisto (investimento), ove finalizzato alla gestione collettiva dei crediti)
- veicoli ex L. n. 130 del 1999 (permane inalterata la riserva relativa all’acquisto, ove finalizzato alla cartolarizzazione dei crediti)
ii. Riserva di secondo grado: servizi di gestione/amministrazione/recupero successivi all’acquisto:
- gestione attiva:
- gestione di natura collettiva: Fondi di credito o di Fondi di Ristrutturazione (permane inalterata la riserva relativa alla gestione collettiva dei crediti)
- gestione di natura individuale: Veicoli 130 ex art. 7.1 L.130/99; s.i.m.(?)
- cartolarizzazione (amministrazione conservativa)
- veicoli ex L. n. 130 del 1999 (permane inalterata la riserva relativa alla cartolarizzazione dei crediti)
- fondi di cartolarizzazione ex L. n. 130 del 1999 (permane inalterata la riserva relativa alla cartolarizzazione/gestione dei crediti)
- recupero (incasso/riscossione)
- recuperatori ex art. 115 T.U.L.P.S. (alle condizioni di cui all’articolo 2.2 D.M. n. 53 del 2015) (assorbimento nella disciplina dei credit servicers)
- intermediari finanziari autorizzati ex art. 106 T.U.B. (attività connessa circolare B.d’I. 228, Tit. I, Cap. 3, Sez. III) (assorbimento nella disciplina dei credit servicers)
- servicers ex art. 2 comma 6 L. n. 130 del 1999 e 106 T.U.B. (assorbimento nella disciplina dei credit servicers)
- banche (non impattate)
- FIA (“Fondi che investono in crediti”; “Fondi di cartolarizzazione ex L. n. 130 del 1999”; “Fondi di Ristrutturazione”; “FIA UE” autorizzati ex art. 46-ter del TUF) (permane inalterata la riserva relativa alla gestione collettiva dei crediti)
- “consulenza e gestione dei crediti ai fini di ristrutturazione e recupero degli stessi”
- agenti in attività finanziaria iscritti nell’elenco di cui all’articolo 128 quater comma 2 T.U.B. (art. 128 quaterdecies T.U.B.: facoltà o riserva?) (assorbimento nella disciplina dei credit servicers)
5. Qualche prima considerazione critica. I rischi insiti in un brusco e improvviso cambio di paradigma nella relazione banca-impresa debitrice in crisi (memori del “bail-in”)
La Proposta risulta sicuramente sostenuta dai medesimi condivisibili obbiettivi da tempo accolti dalla Commissione e dalle istituzioni bancarie europee (in primis BCE e EBA) con riferimento alla necessità di rafforzare l’Unione Bancaria e, più in generale, l’Unione dei mercati dei capitali (CMU), affrontando di petto il nodo centrale dei NPL, coerentemente a quanto indicato nel Piano d’Azione. Essa risulta poi supportata da un approfondito apparato analitico che ha attentamente soppesato gli impatti delle varie opzioni di intervento che potevano ipotizzarsi.
E tuttavia – oltre alle considerazioni di natura più “tecnica” già sopra avanzate – possono sin da subito avanzarsi anche alcune ulteriori considerazioni critiche (o perplesse) di natura più “politica”; considerazioni che dovrebbe o potrebbe forse trovare qualche risposta nell’ambito del percorso legislativo che dovrà ancora compiersi per arrivare all’approvazione della Direttiva:
- Un primo limite dell’approccio analitico seguito nell’impostazione di fondo della Proposta può rilevarsi nel considerare il bene “credito “(o il “NPL”) come un bene uniforme, unidimensionale, passibile di valutazione e trattamento indifferenziato. Ed effettivamente la Proposta non pare adottare alcun approccio diversificato, in ragione della tipologia di NPL e dei relativi “debitori”, nella valutazione dei modelli di intervento, con l’unica eccezione di quelli vantati nei confronti di “consumatori”, per i quali viene garantito il rispetto del regime di tutela già oggi vigente in base alle normative europee e nazionali. In particolare non risulta oggetto di specifica considerazione quella che pare l’altra peculiare tipologia di crediti meritevole di specifica attenzione, in virtù della particolare sensibilità sistemica che mostra la corrispondente posizione debitoria.
- Intendiamo qui riferirci a quei NPL – più spesso meglio qualificabili in termini di UTP (Unlikely To Pay) – vantati dal sistema bancario, tipicamente in maniera polverizzata, verso debitori di natura corporate, tipicamente piccole-medie imprese (PMI o SMEs) che hanno intrapreso o hanno prospettive di poter intraprendere percorsi virtuosi di uscita e di composizione della crisi, presentandone i presupposti, attraverso il ricorso alle molteplici procedute giudiziali o stragiudiziali approntate in questo ultimo decennio da molti legislatori europei e, tempestivamente, anche dal nostro. Potremo chiamare questa categoria di NPL come NPL Ristrutturabili[22]. Come ben noto questa categoria di NPL presenta una estrema rilevanza proprio nel caso italiano,in presenza di un sistema imprenditoriale di PMI ancora pesantemente e diffusamente impegnato in percorsi di ristrutturazione e uscita dalla crisi endemica del decennio trascorso.
- Proprio con riferimento, allora, aiNPL Ristrutturabili, un primo limite dell’approccio analitico di fondo seguito dalla Proposta può intravvedersi in quella che appare una vera e propria petizione di principio; quella in base alla quale – nell’ottica delle banche – la riduzione dello stock di NPL ( secondo il modello c.d. portfolio reduction) sia sempre e necessariamente la strada migliore ed auspicabile, in alternativa a quella della gestione interna (secondo il modello c.d. hold/fobearance). Ed è infatti questa la valutazione che sostiene l’obiettivo dichiarato della Proposta di creare le le condizioni normative e regolamentari uniformi affinché possano svilupparsi mercati secondari, razionali, efficienti e trasparenti di NPL sui quali le banche possano “smaltire” i loro crediti deteriorati; strada oggi perlopiù ostacolata dall’ inefficienza di quei mercati. E certamente, in via di principio e con riguardo alla gran parte dei NPL bancari, questa analisi può dirsi condivisibile.
- E tuttavia, con particolare riguardo a tali NPL Ristrutturabili, le soluzioni della “cessione a terzi” o quella della “gestione interna” non paiono oggi necessariamente quelle più efficienti e convenienti per le stesse banche, potendosi ben considerare altri, più efficienti, modelli intermedi che vanno imponendosi nella prassi operativa. Ci riferiamo ai c.d. “Fondi di Ristrutturazione”[23], fattispecie atipica di FIA che si caratterizza per una gestione attiva di quella particolare categoria di NPL Ristrutturabili che – nella sua strutturazione in forma “captive” – vengono “apportati” dalle banche a fronte di quote emesse dal Fondo stesso. Nella prospettiva del sistema bancario, gli effetti più innovativi di tale schema alternativo di gestione possono individuarsi nel mantenere al suo interno (invece di dismetterlo a valori spesso non congrui, in mancanza ad oggi di un mercato trasparente ed efficiente) il plusvalore estraibile dai processi di ristrutturazione attiva di quei crediti, spesso anche tramite la loro conversione in equity, consentendo al contempo di ottenere benefici effetti in termini (i) bilancistici di derecognition; (ii) gestionali di razionalizzazione delle risorse e abbattimento dei costi di gestione, esternalizzandola a soggetti competenti e specializzati; (iii) di governance, isolando la banca da ogni profilo relazionale/reputazionale o conflittuale nella gestione del rapporto col debitore; (iv) regolamentare, consentendo una più sana gestione della separatezza banca-industria (nell’ipotesi di conversione dei crediti in equity del debitore) e garantendo una retention strutturale che eviti i fenomeni di moral hazard impliciti nei modelli originate-to-distribute.
- Ma anche laddove fossero presenti mercati secondari di NPL, razionali, efficienti e trasparenti (questo essendo l’obiettivo primario perseguito dalla Proposta), cionondimeno l’approccio analitico adottato nella Direttiva presenta l’ulteriore rilevante limite di non considerare le ricadute e gli impatti che si determinano su una categoria centrale di stakeholders, ampiamente sottovalutata nelle analisi sottese alla formulazione della Proposta: quella dei debitori (con la solo eccezione qui non rilevante, come detto, dei consumatori). Ed effettivamente tutto l’impianto dell’iniziativa legislativa, le analisi di impatto approfonditamente svolta a suo supporto e le diverse opzioni di intervento considerate, muovono dalla centrale valutazione degli interessi di due categorie di stakeholders: (i) gli interessi delle banche che manifestano l’esigenza primaria di “ripulire” i bilanci per migliorare o riguadagnare redditività gestionale e per riavviare una più sana e robusta funzione creditizia; (ii) gli interessi degli “investitori”, spesso stranieri, interessati ad aggredire il mercato europeo – e in primis italiano- dei NPL e che beneficerebbero direttamente dell’abbattimento delle barriere e dei costi di ingresso su tale mercato oltreché della riduzione dei costi dei “servizi creditizi”.
- L’interesse specifico e peculiare che i debitori rivestono, con particolare riguardo ai NPL Ristrutturabili pare, se non ignorato, assai sottovalutato nell’ambito della Proposta. Anche da questo punto di vista, considerare il “credito” in una prospettiva unitaria, unidimensionale, senza valutare le rilevantissime e delicate conseguenze/ricadute/significati (anche culturali e financo simbolici) che il credito viene ad assumere nella prospettiva invertita del debitore, appare un limite della Proposta. Si impone dunque di recuperare, con particolare riguardo ai NPL Ristrutturabili un debtor level approach che nella Proposta pare essere stato ignorato[24]. Da questo punto di vista, il modello operativo della cessione a terzi ignora e sacrifica la prospettiva del sistema imprenditoriale per il quale dovrebbero essere evidenti i rischi di un radicale cambio di paradigma che intervenisse all’improvviso, in assenza di un maturato ri-orientamento culturale della relazione banca – “impresa in crisi”. I rischi sono quelli di destabilizzare l’ancora fragile ripresa in cui buona parte del sistema imprenditoriale risulta tuttora impegnato nel percorso di uscita dalla crisi, per effetto di un’apertura violenta, indiscriminata e improvvisa del mercato dei crediti deteriorati a soggetti investitori, spesso lontani dagli interessi ad essi sottesi e guidati da una logica eminentemente finanziaria. Una logica comprensibilmente aliena da qualsiasi prospettiva di prossimità, di compatibilità e di sussidiarietà sociale che ha invece spesso sin qui connotato nel nostro sistema – talora, certo, in virtù di un malcelato ed eccessivo favor debitoris dagli effetti distorsivi o perversi – la relazione banca – “impresa in crisi”. La medesima fenomenologia a cui – in una paradossale eterogenesi dei fini – abbiamo assistito, sebbene in un altro ambito, con l’improvvisa (improvvida?) introduzione del bail-in[25] rischia di riprodursi qui con effetti ben più devastanti e profondi.
- Oltre a sottostimare i rischi di un violento e improvviso cambio di paradigma nella relazione creditore-debitore, la Proposta non tiene inoltre conto di quelle che invece, nell’ottica del sistema imprenditoriale, dovrebbero essere le priorità da perseguire nel disegnare un efficiente mercato degli NPL: (i) quella di avere interlocutori “empatici”, esperti, pazienti e costruttivi ; (ii) quella di disporre di meccanismi e schemi operativi finalizzati ad agevolare e magari ad imporre – in presenza di una pluralità di creditori bancari esposti verso lo stesso debitore – una concentrazione delle posizioni creditorie (altrimenti polverizzate e rappresentative spesso di interessi disomogenei o talora conflittuali), in un unico interlocutore professionale del debitore. E’ questo un fattore determinante, rispetto ai modelli alternativi, per ottenere efficienti e accelerati processi di ristrutturazione/recovery, altrimenti destinati a rimanere impantanati in defatiganti, inconcludenti ed eterni “tavoli interbancari”. I benefici di tale modello di intervento per il sistema imprenditoriale, oggi endemicamente colpito dalle crisi aziendali, sono pertanto del tutto allineati con quelli delle banche, in termini di razionalizzazione, efficientamento e velocizzazione delle ristrutturazioni aziendali. E anche da questo punto di vista il modello del Fondo di Ristrutturazione risulta quello oggi preferibile e più funzionale a quegli obiettivi.
- Occorre peraltro segnalare come il Fondo di Ristrutturazione possa essere pensato anche in una prospettiva “sistemica”, come una valida alternativa[26] al modello delle AMCs (Asset Management Companies, oggetto del “Blueprint”[27] varato nel medesimo pacchetto normativo della Proposta) sin qui dominante ove si siano adottate esperienze di bad banks nazionali. Opportunamente incentivato e agevolato – ad esempio tramite il ricorso a meccanismi come quello che noi chiamiamo “creditor drag along” – il ricorso “sistemico” a tale schema di Fondi si pone oggi come un valido modello alternativo di organizzazione di una “bad bank” nazionale che sia focalizzata sulla ristrutturazione di NPL Ristrutturabilicon logiche di private equity/turn-around.
- A livello di policy allora, La Proposta dovrebbe: (i) innanzitutto enucleare nell’ambito della categoria dei NPL, quelli che possano qualificarsi come “NPL Ristrutturabili”, in base a criteri oggettivi di facile individuazione da coordinare con la disciplina di cui alla Proposta di Direttiva sui processi di ristrutturazione c.d. Restructuring Proposal[28]; (ii) prevedere un regime di riserva di attività, che preveda un regime autorizzativo, in relazione ai soggetti che intendano rendersi acquirenti (“purchasers”) e/o prestatori di “servizi creditizi” (servicers) – anche in proprio – in relazione alla specifica tipologia dei NPL Ristrutturabili. Tale riserva di attività dovrebbe essere posta a favore di soggetti che – nel rispetto di fit and proper criteria – dispongano di adeguata competenza in materia di ristrutturazione aziendale[29] e, comunque, dovrà far salve le necessarie abilitazioni e autorizzazioni in base alle vigenti riserve di attività; non sarebbe poi inopportuno pensare di dar voce e rappresentanza, nell’ambito della governance di tali soggetti – ad. es. in appositi comitati di investimento – anche alle istanze localistiche, delle parti sociali e di categoria interessate. I soggetti destinatari della riserva dovrebbero dunque essere Fondi di Ristrutturazione (ove tali operazioni aventi ad oggetto NPL Ristrutturabili si collochino nell’ambito di uno schema di gestione collettiva o anche individuale); Veicoli ex l. 130/99 (ove tali operazioni aventi ad oggetto NPL Ristrutturabili si collochino nell’ambito di uno schema di “Cartolarizzazione di Ristrutturazione”, in virtù della nuova, “rivoluzionaria” opzione introdotta nel corpo della legge italiana della cartolarizzazione, con l’art. 7.1, in tempi recentissimi[30]; (iv) accompagnare tale riserva con idonei meccanismi di “creditor drag along” che incentivino/obblighino le banche – ove a tale iniziativa aderisca la maggioranza del ceto bancario che partecipi a “tavoli di ristrutturazione” – ad apportare i loro NPL Ristrutturabili a quei Fondi e Veicoli specializzati, agevolando la positiva conclusione e l’efficientamento dei percorsi di ristrutturazione aziendale come conseguenza diretta di quel fondamentale e benefico effetto di “concentrazione” delle molteplici posizioni creditorie altrimenti polverizzate.
[1] Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on credit servicers, credit purchasers and the recovery of collateralCOM(2018) 135 final. Nel presente articolo verrà esaminata la disciplina proposta per regolamentare I mercati secondari di NPL e dei connessi servizi creditizi. Non costituirà, viceversa, oggetto di analisi in questa sede l’altro profilo di disciplina oggetto della proposta, le “procedure accelerate stragiudiziali di escussine di elle garanzie ” (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement” c.d. AECE.), oggetto del TITOLO V della Proposta.
[2] Lungimirante fu allora il monito – purtroppo inascoltato – del Governatore di Banca d’Italia: “Nell’introdurre questo delicato cambiamento a livello europeo non si è prestata sufficiente attenzione alla fase di transizione. Nel corso dei lavori tecnici per la definizione della direttiva il Ministero dell’economia e delle finanze e la Banca d’Italia sostennero, senza trovare il necessario consenso, che un’applicazione immediata e, soprattutto, retroattiva dei meccanismi di burden sharing fino al 2015 e, successivamente, del bail-in avrebbe potuto comportare – oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all’economia – rischi per la stabilità finanziaria, connessi anche col trattamento dei creditori in possesso di passività bancarie sottoscritte anni addietro, in tempi in cui le possibilità di perdita del capitale investito erano molto remote”. Così poteva leggersi nella relazione presentata dal Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, in occasione del già citato 22° congresso ASSIOM FOREX, Torino, 30 gennaio 2016.
[3] Comunicazione del 11 ottobre 2017, COM(2017) 592 final.
[4] Action Plan to Tackle Non-performing Loan in Europe, luglio 2017.
[5] Cosi come definiti nel Regolamento (EU)2015/227.
[6] COM(2018) 133.
[7] Regolamento (EU) n. 575/2013
[8] Si osservi come, ad oggi, risulta disponibile il solo testo inglese. Su questo testo ci siamo quindi basati nell’analisi, ben consapevoli che nelle pieghe della traduzione di concetti e fenomeni giuridici possono nascondersi trabocchetti di portata non indifferente. Sarà pertanto assai utile vedere quali scelte di traduzione verranno adottate nel testo ufficiale in italiano posto che, come diremo, su alcune rilevantissime ambiguità che il testo in inglese pare oggi mostrare – ove esso venga letto in una ottica nostrana – le scelte di traduzione potrebbero avere un impatto determinante; mi riferisco qui alla difficoltà di individuare oggi correttamente quello che è l’oggetto e l’ambito di applicazione della Proposta di Direttiva, nella contrapposizione tra “credit” e “credit agreement”, contrapposizione linguistica ma soprattutto concettuale che, per giuristi di tradizione civilistica nostrana, risultano dalle conseguenze disciplinari rilevantissime (si rinvia oltre in questo paragrafo).
[9] Traduzione per certi versi inappagante, facendo pensare – nella nostro uso linguistico tecnico – più alla fase dell’erogazione del credito che non a quella del suo “recupero”; un’alternativa lessicale, forse limitante ma più ficcante, potrebbe essere allora quella di “servizi di recupero”.
[10] Deve osservarsi come, curiosamente, l’Italia risulti del tutto assente dalla interessantissima indagine comparativa – Stocktake – svolta nell’ANNEX 6 sui vigenti quadri regolamentari degli Stati Membri!
[11] Commission Staff Working Document – Impact Assessment[11], Part1/2, SWD (2018) 75 final. Il documento è stato oggetto di modifiche a fronte di una prima versione sottoposta in data 8 dicembre 2017 al Regulatory Scrutiny Board (“RSB”) che lo ha approvato nella sua versione finale in data 13 febbraio 2018 Ares(2018)827204, 13/02/2018.
[12] SWD(2018) 76 final.
[13] Direttiva 2014/17/EU recepita nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 72 del 2016.
[14] Direttiva 2008/48/EC recepita nel nostro ordinamento con D. Lgs. 141 del 2010.
[15] Direttiva 1993/13/EEU recepita nel nostro ordinamento conL. n. 52 del 1996.
[16] COM/2016/0723 final del 22 novembre 2016.
[17] Per tutti, sia sufficiente rinviare in dottrina a F. Galgano, Il contratto, 2011, p. 254 e ss; l’affermazione è stata poi ben sancita anche dalla Consulta con l’Ordinanza n. 95 del 10 marzo 2006. Infine può segnalarsi come anche nel diritto internazional- privatistico la distinzione emerga ben chiara: sia nelle Convenzioni di diritto uniforme (v. Convenzione Unidroit di Ottawa sul factoring e la Convenzione Uncitral sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale) che in quelle sulla legge applicabile ( v. Convenzione di Roma, art. 12). La distinzione tra “cessione di credito” (assignement of debt”) e “cessione di contratto” (assignement of contract) appare inoltre ben presente anche nella Common Law inglese, anche se la distinzione può effettivamente apparire meno netta, dissolvendosi le differenze nell’ambito della categoria più ampia delle choses in action. In particolare, la disciplina contrattuale è articolate su due azioni: l’action of debt e l’action of covenant. Può poi osservarsi come, ad es., l’ambito di applicazione del Consumer Credit Act, sia individuato in “qualsiasi contratto che comporti un credito”. E tuttavia, per un espresso e consapevole riferimento all’utilizzo di termini “tecnico legali” distinti quali “credit” e “credit agreement” si veda il Considerando (8) della stessa Proposta.
[18] Su cui rinvio a P. Carrière, I “fondi comuni di ristrutturazione” tra investimento, finanziamento e cartolarizzazione, Rivista delle Società n. 4/2016.
[19] Cfr. per tutti A.A. Dolmetta, Cessione dei crediti, in Dig. Disc. Priv. Sez. civ., 1988, II, 297; P. Perlingeri, Modi di estinzione della obbligazione diversi dall’adempimento, in Commentario Scialoja Branca, 1974, 40.
[20] Come detto, in virtù del “doppio regime” che verrebbe a crearsi, la riserva a favore degli intermediari finanziari ex art. 106 TUB continuerebbe invece ad operare con riguardo all’acquisto a titolo oneroso di crediti di origine e/o di natura non bancaria.
[21] Il bene “credito” può oggi essere infatti oggetto di cartolarizzazione, gestione attiva, mero recupero, ristrutturazione etc. Ciascun modello di intervento presenta poi, nel suo ambito, profili di disciplina particolari e specifici sia con riguardo, ad es. ai profili civilistici di suo trasferimento, di suo incasso, di attivazione delle connesse garanzie etc. sia con riguardo alle regole di condotta applicabili.
[22] Deve osservarsi come la categoria dei NPL nei confronti di SMEs, pur non essendo del tutto estranea all’analisi sottostante alla Proposta, è destinataria di una attenzione del tutto secondaria e indiretta. Essa infatti si limita ad analizzare i benefici indiretti che deriverebbero alle SMEs dallo sviluppo dei mercati finanziari efficienti di NPL, considerata come una condizione affinché le banche possano riacquistare una più sana e robusta funzione creditizia a favore del sistema imprenditoriale (v. p. 77 del Commission Staff Working Document – Impact Assessment). Vengono viceversa del tutto ignorate le dirette ricadute negative che, per effetto della diffusione di modelli improntati ad una logica “originate and distribute” dei NPL, si determinerebbero in capo ai debitori e, quindi, in capo al sistema imprenditoriale ancora pesantemente e diffusamente impegnato in percorsi di ristrutturazione e uscita dalla endemica crisi di questo decennio.
[23] Cfr. P. Carrière, I “fondi comuni di ristrutturazione” tra investimento, finanziamento e cartolarizzazione, op. cit.
[24] L’apparato analitico che sostiene la Proposta da atto di non ignorare il problema (v. paragrafi 3.2, 3.3 e 4 del Commission Staff Working Document – Impact Assessment, ove si analizza il cosiddetto “stigma effect”) ma tale consapevolezza appare puramente “formalistica” e non si traduce in indicazioni di policy come avrebbe richiesto e meritato.
[25] Mi sia consentito di rinviare a P. Carrière, Crisi bancaria e bail-in: prime noterelle sui decreti di recepimento della direttiva BRRD, in Diritto Bancario, 11.2.2016.
[26] Vi rimanda all’articolo in corso di pubblicazione [su Bancaria]; A. Bonissoni, P. Carrière, An alternative tool for a systemic approach to active management of non-performing exposure (NPE).
[27] COM(2018) 133 final.
[28] COM/2016/0723 final, del 22 novembre 2016.
[29] La disciplina domestica di recepimento della Direttiva dovrebbe esser qui opportunamente coordinata con quella che dovrà essere oggetto di prossima attuazione in base della riforma fallimentare di cui alla legge delega n.155 del 19 ottobre 2017, con specifico riguardo: (i) all’istituendo “albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese” presso il Ministero della giustizia ( riguardante i soggetti che su incarico del giudice svolgano, anche in forma associata o societaria, funzioni di gestione, supervisione, controllo o custodia nell’ambito delle procedure concorsuali), nonché; (ii) agli “Organismi di composizione della crisi d’impresa” che dovranno essere istituiti costituito presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
[30] Richiamandosi qui le rilevanti perplessità d’ordine sistematico evidenziate in P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Riv. Dir. Bancario, 11/2017, richiamandosi qui le perplessità d’ordine sistematico ivi evidenziate.