Morte del fideiussore
Come noto, il fideiussore è colui che, obbligandosi personalmente con il creditore, garantisce l’adempimento dell’obbligazione dovuta dal debitore principale. Il carattere personale della garanzia non dà luogo ad alcun diritto reale né ad alcuna prelazione, ma comporta che il creditore possa soddisfarsi sull’intero patrimonio di un soggetto (persona fisica o giuridica) diversa dal debitore, che – ai sensi dell’art. 2740 c.c. – risponde con tutti i suoi beni.
Poiché, dunque, l’entità e la stabilità del reddito del garante costituiscono un aspetto fondamentale per il creditore, è naturale domandarsi cosa accada all’obbligazione fideiussoria nell’ipotesi in cui detto soggetto deceda e quali oneri nei confronti degli eredi ricadano sul creditore.
Mentre il primo quesito trova facile soluzione, risulta più arduo dare risposta alla seconda problematica. Occorre, infatti, considerare che la disciplina vigente non attribuisce alle banche alcun dovere giuridico di informare gli eredi del fideiussore, neppure circa l’esistenza del rapporto di garanzia. In altre parole, gli istituti di credito non sono tenuti per legge a rendere edotti gli eredi circa l’entità dell’esposizione al momento dell’apertura della successione, ovvero a fornire informative specifiche che consentano loro di salvaguardare i propri interessi.
Tuttavia, se è vero che la legge nulla dice sul punto, è altrettanto vero che le banche sono sempre tenute ad uniformare il loro comportamento ai principi di correttezza e buona fede e che, pertanto, i diversi istituti di credito, in caso di morte, sia del debitore principale, sia del garante, si sono dettati delle regole interne, volte a consentire ai chiamati all’eredità di effettuare scelte consapevoli e, nello stesso tempo, di non ledere i diritti di nessuno dei predetti chiamati.
Ma andiamo con ordine.
Successione nella fideiussione
Per quanto attiene alla sorte della fideiussione in caso di decesso del garante, è agevole riscontrare che il legislatore (artt. 1955 e ss. c.c.) – in termini opposti, rispetto a quanto previsto con riguardo ad altri istituti nei quali è essenziale l’intuitu personae (cfr. ad esempio, artt. 1330, 1412, 1614, 1627, ecc. c.c.) – non indica tra le cause di “estinzione” della fideiussione la morte.
E, in effetti, allorché un soggetto si impegni a garantire l’obbligazione del debitore principale, di norma può essere liberato da tale onere solamente quando intervenga l’estinzione del debito ovvero, in altre parole, il rapporto di fideiussione termina in maniera naturale quando venga estinto il debito garantito.
Questo significa che, in caso di decesso del garante, se il debito è ancora sussistente, la fideiussione resta valida e i suoi effetti vengono trasmessi agli eredi. Di conseguenza, la morte del garante non estingue la fideiussione, che viene invece ereditata dai successori, i quali subentrano con gli stessi diritti e doveri del deceduto.
In particolare, gli eredi che abbiano accettato l’eredità con accettazione pura e semplice succedono nel contratto di garanzia, senza che occorra una comunicazione da parte della banca e senza che sia necessario rinnovare la fideiussione prestata dal de cuius. Il debito ereditario, inoltre, ricomprende sia quando dovuto in linea capitale, sia gli interessi, la cui maturazione non è interrotta dalla morte del fideiussore.
L’obbligazione assunta dal garante quindi, non essendo fondata sull’intuitu personae, continua a sussistere dopo la sua morte e si trasmette ai suoi eredi, che subentrano nella medesima posizione giuridica, rispondendo dell’adempimento dell’altrui obbligazione alla quale il fideiussore si era personalmente obbligato.
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E’ peraltro opportuno evidenziare che, non solo la fideiussione non si estingue a seguito della morte del garante, ma altresì che gli eredi sono obbligati all’adempimento anche in relazione alle eventuali obbligazioni assunte dal soggetto garantito dopo la morte del fideiussore. Infatti, poiché la fideiussione è un contratto di durata, gli eredi subentrano nella stessa posizione del defunto, rispondendo quindi di tutte le obbligazioni assunte dal debitore principale, ivi comprese quelle posteriori al decesso del garante. Occorre considerare che l’obbligo di garanzia, di fatto, è già potenzialmente sorto con il negozio giuridico e, dunque, gli oneri assunti dopo la morte del fideiussore non danno vita ad una obbligazione nuova ed autonoma, propria degli eredi che succedono, ma concorrono ad integrare il debito del defunto, di cui gli eredi rispondono secondo le regole ed i limiti derivanti dalle modalità e dalle condizioni di accettazione dell’eredità (in tal senso, ad esempio, già il Tribunale di Milano, 15 maggio 1995).
Corollario del fatto che l’erede subentra in un’obbligazione già assunta, è la circostanza per cui il medesimo non ha diritti che non spettassero anche al defunto cui succede e non può recedere dai rapporti in corso, se non in quanto e nelle forme in cui un tale diritto spettasse e potesse essere esercitato dal de cuius (così, in termini, Cass. 10 novembre 1993, n. 11084, specie in motivazione, ma cfr., altresì, Cass. 8 maggio 1973, n. 1244, nonché Cass. 18 agosto 1981, n. 4933).
Ne consegue che non ha un nessun fondamento, nella lettera della legge o nel “sistema” dell’istituto della fideiussione o delle successioni mortis causa, l’eventuale pretesa degli eredi di limitare la propria “obbligazione” all’esposizione debitoria del “garantito” al momento della morte del fideiussore (come adombrato in certa dottrina). Giusti i principi istituzionali in tema di successione mortis causa, l’erede – per effetto della accettazione pura e semplice – subentra nella posizione giuridica del defunto, divenendo titolare di tutti i rapporti giuridici relativi all’eredità ed è tenuto – pertanto – a rispondere di tutte le obbligazioni contratte dal dante causa, anche evidentemente, quelle non ancora scadute.
Se pertanto, alla data della morte del de cuius, nessuna delle parti originarie era receduta dal contratto, gli eredi subentrano nell’obbligazione – ancora non scaduta – che già faceva carico al loro dante causa, senza che possano pretendere di “limitare” in qualche modo la propria responsabilità.
Né – ancora – è rilevante che gli eredi non avessero conoscenza della fideiussione prestata dal de cuius, certo essendo che costoro – una volta avvenuta l’accettazione – subentrano nell’universulam jus di costui, a prescindere dalla conoscenza che abbiano delle attività e passività ereditarie.
In definitiva la successione degli eredi nel contratto di fideiussione stipulato dal loro dante causa è un effetto ex lege della accettazione della eredità.
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Sussiste un dovere di informazione in capo alla banca?
Sul quesito si è interrogata, più volte, la dottrina. Giuristi quali Calderale e Lobuono, hanno postulato che la mancata informativa risulterebbe idonea ad esporre la banca a responsabilità contrattuale per violazione degli obblighi di diligenza e buona fede, determinando l’inefficacia della fideiussione e la limitazione della responsabilità degli eredi alle obbligazioni sorte prima della morte del fideiussore.
Altri studiosi, tra cui Piazza, hanno invece sostenuto che l’omessa informazione degli eredi in ordine all’esistenza della fideiussione merita di essere sanzionata con la liberazione dei primi.
In ogni caso, ha risposto alla domanda, seppure indirettamente, una giurisprudenza costante, tanto di legittimità quanto di merito.
Sul punto, in particolar, si è espresso, in termini chiari, il Tribunale di Monza, con pronuncia del 07/07/2004, osservando: “circa la mancata informazione delle eredi in ordine alla esistenza della fideiussione, il Tribunale osserva che il soggetto che intenda tutelarsi contro l’esistenza di debiti non conosciuti del de cuius ha a disposizione lo strumento dell’accettazione con beneficio di inventario, non senza aggiungere che lo strettissimo rapporto di parentela delle opponenti con il fideiussore (e con altri due garanti) costituisce elemento indiziario difficilmente confutabile in ordine alla conoscenza della garanzia”.
In altre parole, il Giudice di Monza pare escludere che sussista un obbligo, in capo all’istituto bancario, di informare i successori del fideiussore di aver contratto, con quest’ultimo, un contratto di garanzia, atteso che il Legislatore ha già previsto, a monte, uno strumento di tutela, ossia l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario.
Questa decisione, ultima nell’elenco delle pronunce giurisprudenziali sul tema della “fideiussione omnibus”, muove dall’assunto espresso, per prima, dalla Corte di Cassazione (Sez. III Civile, 10/11/1993, n. 11084), alla quale si sono uniformati i Giudici di merito. Osserva la Suprema Corte, infatti, che “la morte del fideiussore non estingue la fideiussione, che si trasmette agli eredi, i quali, subentrando nel rapporto con gli stessi poteri che spettavano al defunto, possono recedervi solo nei modi e nelle forme in cui il diritto di recesso avrebbe potuto essere esercitato dal loro dante causa e sono, perciò obbligati (in mancanza di recesso) all’adempimento “pro quota” dell’obbligazione fideiussoria anche in relazione ai debiti contratti dal garantito dopo la morte del fideiussore, salvo, se l’eredità è accettata con beneficio d’inventario, il limite indicato dall’art. 490, comma 2 n. 2 c.c.”.
Il principio secondo il quale le obbligazioni contratte dal fideiussore si trasferiscono “automaticamente” in capo agli eredi di questi, dopo la sua morte, senza obbligo della banca garantita di comunicare agli aventi causa l’esistenza del vincolo fideiussorio, ad ogni modo, risulta definito con lettere più chiare solo con la sentenza della III Sezione Civile della Cassazione, n. 4801 del 13/04/2000. A mezzo di tale pronuncia, i Giudici di legittimità hanno evidenziato: “l’erede a titolo universale subentra al defunto in tutti quei rapporti che, non essendo intuitu personae, sono capaci di sopravvivere alla morte dell’originario titolare. Certo – come dimostrato sopra – che la fideiussione non realizza un contratto concluso intuitu personae, segue, da quanto precede, che gli eredi del fideiussore subentrano in questo nella stessa posizione che aveva il loro dante causa. Se, pertanto, alla data della morte del de cuius, come puntualmente si è verificato nella specie, nessuna delle parti originarie era receduta dal contratto, gli eredi subentrano nell’obbligazione – ancora non scaduta – che già faceva carico al loro dante causa, senza che possano pretendere di limitare in qualche modo la propria responsabilità. Né – ancora – è rilevante, per ipotesi, che gli eredi non avessero conoscenza della fideiussione prestata dal de cuius, certo essendo che costoro – una volta avvenuta l’accettazione – subentrano nell’universum jus di costui a prescindere dalla conoscenza che abbiano delle attività e passività ereditarie”.
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Buona fede del creditore
Ferma restando, dunque, l’inesistenza di un obbligo informativo, in ogni caso, il creditore è sempre tenuto ad uniformarsi al principio di buona fede.
Non si può dimenticare che negli ultimi decenni, tra i maggiori obiettivi che hanno mosso il legislatore, vi è quello di tutelare il cliente, considerato contraente debole, da eventuali condotte abusive da parte degli istituti di credito. In particolare, in un rapporto continuativo – quale è il contratto di fideiussione – viene ad essere sanzionato il comportamento della banca che esponga il garante al rischio di non poter più utilmente rivalersi sul debitore principale, a causa del peggioramento delle condizioni economico- finanziarie del medesimo, note al creditore. Da qui l’obbligo di informativa previsto a carico del creditore garantito, unitamente a quello di ottenere dal garante l’autorizzazione speciale per concedere nuovo credito, al fine di consentire al fideiussore di mantenere consapevolmente l’obbligazione di garanzia assunta[1].
Da quanto precede consegue che, qualora la banca – nonostante le concrete maggiori difficoltà economiche del debitore principale – utilizzi la facoltà di concedere nuovo credito, senza darne avviso agli ignari successori mortis causa del garante, tale comportamento deve ritenersi di mala fede, con conseguente estinzione dell’obbligazione. In tale ipotesi, infatti, la concessione di nuovo credito, nonostante il peggioramento delle condizioni economiche del debitore principale, lascia ragionevolmente ritenere che l’istituto di credito abbia agito, pur essendo consapevole della situazione di insolvenza, confidando unicamente nella garanzia prestata dal fideiussore e, dunque, non tutelando la posizione di quest’ultimo.
In altre parole, la garanzia fideiussoria è nulla, allorché il comportamento della banca beneficiaria della garanzia non rispetti il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e tale nullità attiene anche agli eredi[2].
Infatti, essendo escluso a priori che la fideiussione omnibus possa esporre il fideiussore ad un rischio illimitato di cui non sia a conoscenza[3], per analogia tale regola è applicabile anche agli eredi del garante, che possono quindi eccepire la nullità dell’obbligazione fideiussoria, qualora non siano stati adeguatamente informati dall’istituto di credito.
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Occorre precisare che quanto precede rileva esclusivamente con riguardo agli eredi effettivi. Per quanto concerne i chiamati all’eredità, la giurisprudenza ritiene che non sussista un onere informativo in capo alla banca e che, in particolare, non siano applicabili le prescrizioni di cui all’art. 119, comma T.u.b., rilevando il difetto in capo al chiamato all’eredità della qualità soggettiva a cui la norma ricollega il diritto ad ottenere le informazioni relative al rapporto bancario intrattenuto con il de cuius. Si esclude altresì l’applicabilità delle norme di cui al d. lgs. n. 196/2003.
Dunque, solo l’accettazione beneficiata offre al chiamato la via per ottenere dalla banca le informazioni in merito al rapporto intrattenuto in vita dal garante ed evitare contestualmente il rischio di rispondere ultra vires degli eventuali debiti del de cuius[4].
Ulteriori considerazioni a conforto del suddetto orientamento si possono comunque ricavare anche dalla interpretazione dell’art. 119, comma 4°, T.u.b., che stabilisce che possano avere accesso alla documentazione bancaria[5] oltre al cliente, il suo successore e chi subentra nell’amministrazione dei suoi beni.
Ed invero l’interpretazione della norma conduce necessariamente a ritenere che il Testo Unico Bancario si riferisca con questa espressione esclusivamente al curatore fallimentare e a figure assimilabili nelle altre procedure liquidative e che, proprio in quest’ottica, in ossequio agli orientamenti giurisprudenziali, la formulazione dell’art. 119, comma 4°, sia stata modificata nel 1999 con il d. lgs. n. 342[6].
Secondo una dottrina minoritaria[7], tuttavia, anche il chiamato all’eredità beneficerebbe dei diritti ex art. 119 T.u.b., atteso che in tale norma possono essere fatti rientrare in via interpretativa anche altri soggetti, muniti di poteri di amministrazione temporanea del patrimonio ereditario.
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Obbligazione solidale
Ai sensi degli artt. 752, 754 e 1295 c.c., gli eredi rispondono dei debiti del de cuius in proporzione alla rispettiva quota ereditaria. Normalmente, infatti, nel nostro ordinamento i debiti ereditari si ripartiscono, tra gli eredi, in proporzione alle quote, fin dal momento dell’apertura della successione; il creditore, alla morte del proprio debitore, può immediatamente chiedere a ciascun erede il pagamento di quanto dovuto pro quota senza dover attendere la divisione ereditaria.
Soffermandosi ad esaminare la normativa che disciplina la materia, occorre precisare che l’art. 752 c.c. regola i rapporti interni tra coeredi, mentre l’art. 754 c.c. concerne i rapporti verso i creditori. Infatti, in base al primo articolo, gli eredi contribuiscono al pagamento dei debiti del defunto in proporzione alle rispettive quote ereditarie, mentre ai sensi del secondo, i coeredi sono tenuti nei confronti dei creditori in proporzione alla loro quota ereditaria. L’art. 1295 c.c., infine, analogamente dispone che – salvo patto contrario – l’obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori in solido, in proporzione delle rispettive quote.
L’art. 752 c.c. contiene però un inciso: “salvo che il testatore abbia diversamente disposto”. Dunque, il legislatore ha consentito al de cuius di stabilire una diversa distribuzione interna dei debiti tra coeredi. Trattasi però di una eccezione che ha valenza – appunto – esclusivamente nei rapporti interni: né i coeredi, né i creditori possono attribuirgli un’efficacia esterna. Diversamente, è evidente che i creditori potrebbero essere pregiudicati trovandosi ad essere garantiti da un erede piuttosto che da un altro (si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui una parte rilevante dei debiti fosse fatta gravare su chi ha ereditato solo una piccola parte dei beni del defunto).
Pertanto, nei confronti dei creditori ciascun erede continuerà a rispondere anche in proporzione alla quota ereditaria ai sensi dell’art. 754 c.c. e, dunque, i creditori conserveranno sempre il diritto di agire contro ciascun erede per la soddisfazione della parte di debito di sua competenza.
Si ribadisce, infatti, che ai sensi dell’art. 754 c.c. i coeredi rispondono dei debiti del defunto in proporzione al valore della quota oggetto di successione. Di conseguenza, è escluso qualsiasi vincolo di solidarietà tra le obbligazioni dei coeredi: i creditori ereditari possono agire contro ciascun erede, ma nei limiti della quota di ognuno, e non possono invocare il principio di solidarietà normalmente esistente tra i condebitori. Per tale ragione, se uno dei coeredi non paga la propria parte di debito, il creditore non potrà pretendere il pagamento della stessa dagli altri. In altre parole, la successione nei debiti deroga al principio generale della solidarietà passiva di cui all’art. 1294 c.c. e ciò al fine di non gravare l’erede, che ben potrebbe rispondere di altri debiti ereditari, di una responsabilità in solido per l’intera obbligazione.
Tuttavia, molto spesso i contratti di fideiussione rilasciati in favore delle banche prevedono che le obbligazioni del garante sono “solidali e indivisibili anche nei confronti dei successori o aventi causa” e, dunque, che ciascun erede resti obbligato per l’intero debito[8]. Tale clausola costituisce evidentemente una deroga convenzionale alla regola generale, estendendo la natura solidale della responsabilità del fideiussore anche alla responsabilità degli eredi.
L’art. 754 c.c., però, a differenza dell’art. 752 c.c. non prevede espressamente la possibilità di una deroga e ci si è dunque interrogati se il criterio della divisione delle obbligazioni possa essere derogato, soprattutto in considerazione del fatto che un diverso patto finisce per vincolare gli eredi, che sono rimasti estranei al contratto stipulato tra il creditore ed il fideiussore. Inoltre, un accordo in deroga all’art. 754 c.c., secondo parte della dottrina, finisce per essere un negozio avente gli stessi effetti del testamento, ma – a differenza di quest’ultimo – non revocabile.
Ebbene, la Suprema Corte (Cass. 7281/2005; Cass. 4063/2000) ha affermato che l’art. 754 c.c. è derogabile, espressamente o tacitamente, e che la clausola in questione è legittima anche in considerazione del fatto che gli eredi, se lo ritengono, possono sottrarsi al vincolo rinunciando all’eredità ovvero accettandola con beneficio d’inventario.
Non solo. La Corte di Cassazione ha escluso che la clausola, con cui si pattuisce la solidarietà della responsabilità degli eredi del debitore, possa essere considerata vessatoria, non rientrando fra quelle tassativamente indicate dall’art. 1341 c.c. Infatti, “se da un lato la deroga a un principio di diritto non costituisce parametro di configurazione delle clausole vessatorie, dall’altro la ripartizione dei debiti fra gli eredi è prevista dall’art. 752 c.c. (…) potendo il debitore apporre ai suoi beni i carichi che più gli aggradano, salva agli eredi la facoltà di sottrarsi a quei vincoli, rinunciando all’eredità o accettandola con beneficio d’inventario”.
Per quanto riguarda gli effetti prodotti dall’accettazione con beneficio d’inventario, la giurisprudenza ha poi chiarito che essa limita la responsabilità degli eredi per i debiti ereditari entro il valore attivo dei beni ereditati, ma non può incidere sull’ammontare e sulle qualità del debito ereditato. Pertanto, se il fideiussore deceduto aveva previsto che per una determinata obbligazione gli eredi avrebbero risposto in solido, l’accettazione beneficiata non può far diventare il debito da solidale a parziario. Gli eredi restano debitori in solido, ma rispondono dell’intero debito solo se il valore dei beni ereditati da ciascuno è superiore all’ammontare dell’intera esposizione.
In ogni caso, poiché la clausola in deroga è stipulata a vantaggio del creditore, la stessa ha valore meramente esterno e, di conseguenza, il coerede che paghi l’intero debito ovvero oltre la sua quota di spettanza ha poi il diritto di agire in via di regresso nei confronti degli altri eredi.
Da ultimo, la giurisprudenza ha ritenuto che, l’accordo in base al quale il fideiussore acconsente a che l’obbligazione assunta impegni gli eredi in via solidale, non integra un patto successorio, vietato ai sensi dell’art. 458 c.c., poiché si limita a dettare un criterio di riparto dei debiti ereditari diverso rispetto a quello ordinario. Tramite tale convenzione il garante si limita ad esercitare la propria libertà negoziale, apponendo ai propri beni i vincoli ritenuti più opportuni.
[1] L’art. 1956 c.c. comporta la liberazione del fideiussore dall’intero debito, qualora il creditore, successivamente al rilascio della garanzia, continui a concedere nuovo credito al debitore principale o mantenga quello già esistente, nonostante sia mutata gravemente la situazione patrimoniale del debitore, senza alcuna specifica autorizzazione da parte del garante. Tali criteri si applicano anche in caso di morte del fideiussore, essendo ispirati al principio di buona fede nell’esecuzione del rapporto, affinché il contraente debole sia reso edotto del suo andamento e possa decidere consapevolmente se mantenere gli impegni presi.
[2] Cfr. Cass. 16827/2016
[3] Il legislatore con la legge 17 febbraio 1992 n. 154 (“Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”), ha inciso notevolmente sulla disciplina della fideiussione bancaria stabilendo che essa sia nulla ove non contempli il limite massimo dell’importo garantito dal fideiussore (art. 1938 cod. civ.) e prevedendo l’inderogabilità dell’art. 1956 cod. civ., con la conseguente inefficacia delle clausole che dispensino la banca dal richiedere la “speciale autorizzazione” prima di fare credito al cliente debitore, qualora notoriamente le sue condizioni economiche si aggravino.
L’introduzione del massimale e la previsione del diritto del fideiussore ad essere informato sul rapporto garantito «sono prescrizioni che, presupponendo la opponibilità al fideiussore delle condizioni alle quali è sottoposta l’obbligazione garantita, hanno inteso da un lato mettere a disposizione del fideiussore uno strumento per preventivamente quantificare l’entità del suo impegno e dall’altro offrirgli un canale di conoscenza dal quale gli è permesso trarre motivo per non protrarre i suoi impegni allorché mutino le circostanze nelle quali la garanzia era stata prestata»[M. Costanza, La fideiussione personale ovvero la c.d. garanzia di firma, in I contratti bancari, a cura di E. Capobianco, Tratt. Rescigno-Gabrielli, t. 2, Torino, 2016, 1710].
[4] Cfr. ABF Napoli, n. 7639/2014
[5] Tanto più se si stratta di un duplicato di quanto a suo tempo già inviato al cliente, così Porzio, Testo unico bancario, Commentario a cura di Porzio et altri, Milano 2010, sub art. 119, p. 1003
[6] Cfr. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 108; Mirone, Commento all’art. 119, in Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di Costa, Torino, 2013, p. 1365; Urbani, sub art. 119, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia diretto da Capriglione, Padova, 2012, p. 1744).
[7] Chiamato all’eredità e accesso alle operazioni bancarie del de cuius, www.dirittobancario.it, di Matilde Girolami, Professore ordinario di diritto privato nell’Università di Padova
[8] Nei contratti bancari, in deroga alla regola dell'automatica divisione dell'obbligazione tra coeredi, è usuale scorgere la clausola con cui si stabilisce che "tutte le obbligazioni verso la Banca sono assunte dal cliente in via solidale ed indivisibile con i suoi eredi e successori". Parimenti, nelle condizioni generali dei contratti di finanziamento o dei mutui fondiari, è detto che "il mutuatario rinuncia alla divisibilità della obbligazione e così i suoi successori, a qualunque titolo, s'intenderanno debitori solidali ed indivisibili della totale somma portata dal presente Atto per capitale, interessi ed accessori"