Come noto, il regime “sostitutivo” di tassazione dei finanziamenti bancari a medio e lungo termine, previsto dall’art. 15 e seguenti del D.P.R. n. 601/73 (i.e. imposta sostitutiva – di regola – dello 0,25%, calcolata sull’importo del finanziamento), è un regime fiscale alternativo rispetto a quello ordinario, che, al ricorrere dei presupposti che si ricorderanno a breve, consente l’esonero dal pagamento di tutti gli altri tributi indiretti (i.e. imposta di registro, imposta di bollo, imposta ipotecaria, etc.) che sarebbero altrimenti applicabili ai singoli atti posti in essere per effettuare tali operazioni (garanzie in primis).
Il citato regime sostitutivo può trovare applicazione in presenza delle seguenti condizioni: (i) innanzitutto deve trattarsi di operazioni di “finanziamento” (requisito oggettivo); (ii) il finanziamento deve avere una durata contrattuale superiore a 18 mesi (requisito temporale); (iii) l’erogazione deve avvenire da parte di banche (e, post decreto Legge n. 91/2014, anche da parte di società di cartolarizzazione, imprese assicurative e OICR – requisito soggettivo); (iv) l’atto di finanziamento deve essere stipulato/formato in Italia (requisito territoriale); (v) l’atto di finanziamento deve contenere un’esplicita opzione per l’applicazione di tale regime sostitutivo in luogo di quello ordinario (requisito introdotto con il Decreto Legge n. 145/2013).
La chiarezza dei requisiti sopra ricordati risulta, tuttavia, solo apparente, essendo ciascuno di essi stato oggetto di interpretazioni non sempre univoche da parte dell’amministrazione fiscale e dei giudici tributari[1].
Ma v’è di più; la Suprema Corte ha ritenuto di soffermarsi ulteriormente sulla concreta sussistenza delle condizioni legittimanti il ricorrere dei presupposti applicativi sopra enunciati, aggiungendovene uno ulteriore, non espressamente menzionato dalla normativa fiscale di riferimento, ossia la finalità dello stesso individuata nell’investimento “produttivo”.
In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione n. 695/2015 è intervenuta scrutinando le finalità del finanziamento, facendo un deciso passo indietro sull’applicabilità del regime sostitutivo alle operazioni di “rifinanziamento” di precedenti esposizioni debitorie. In tale occasione i giudici hanno infatti ritenuto che le menzionate operazioni non possano beneficiare di tale regime di favore (di regola, in caso di garanzie reali), non trattandosi di finanziamenti destinati ad “investimenti produttivi”.
Il tema della irrilevanza della destinazione dei finanziamenti sembrava ormai smarcato definitivamente dopo la Risoluzione n. 121/E del 13 dicembre 2011, con la quale la stessa Agenzia delle Entrate aveva ammesso l’applicabilità del regime sostitutivo anche alle operazioni di “rifinanziamento”, senza dare alcuna rilevanza allo scopo o destinazione del finanziamento (in effetti non menzionato tra i requisiti di legge), ma semmai evidenziando (come peraltro già fatto da alcune sentenze conformi [tra le altre Cassazione n. 4530 del 28 marzo 2002]) che le agevolazioni in parola potessero ben essere fruite in caso di effettiva erogazione di danaro, con creazione di nuova provvista a favore del debitore (distinguendosi, in tal modo, dalla diversa fattispecie della mera dilazione di pagamento ovvero dalla sola rinegoziazione dei tempi e delle modalità di ripianamento di un debito pregresso), con occhio benevolo anche (e, anzi, soprattutto) ai “rifinanziamenti” attuati nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione del debito[2].
Chi scrive ha già avuto modo di commentare che l’inaspettato colpo di coda degli “ermellini” rischia di ingenerare effetti di segno diametralmente opposto rispetto ai recenti interventi del legislatore a supporto dell’economia nazionale, negando in nuce la ratio stessa sottesa al regime sostitutivo, concepito sin dall’origine – e, di recente, con l’introduzione della relativa opzionalità, adeguato – proprio con l’intento di rendere l’imposta sostitutiva sempre e solo “virtuosa” in termini di legittimo risparmio fiscale.
Peraltro, nella fattispecie in esame, tale negazione colpirebbe, in maniera del tutto incomprensibile e con effetti paradossali, contesti che invece necessiterebbero di poter usufruire di un regime di minore tassazione. Con riferimento alle questioni trattate nelle sentenze della Corte di Cassazione di cui sopra, si pensi, quanto alla asserita rilevanza della “finalità produttiva” (nella ristretta concezione della Suprema Corte), alle operazioni di ristrutturazione del debito attuate con “rinegoziazioni” delle esposizioni in essere che vengono “chiuse” mediante l’erogazione di nuovi finanziamenti concessi a condizioni più favorevoli (in termini di tassi di interesse e di tempi di rimborso) per il debitore in crisi.
In soccorso all’interpretazione maggiormente confortante in punto di onerosità fiscale delle operazioni di “rifinanziamento” sembrerebbero ora militare alcune sentenze, successive a quella del 2015, che la Corte di Cassazione ha emesso nel 2016 e, in particolare, il riferimento è alle tre pronunce pedisseque n. 5087/2016, n. 3955/2016 e n. 7321/2016 (Prima Sezione Civile, con identico Collegio, ma Consiglieri Relatori diversi).
Tali interventi appaiono di particolare chiarezza e ampiezza (anche economica e finanziaria) di ragionamento. In essi, infatti, la Corte Suprema ricorda che la propria giurisprudenza ha conosciuto, nell’ultimo ventennio, una progressiva evoluzione infine attestata sul principio secondo cui l’erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, non integra necessariamente né le fattispecie della simulazione del mutuo (con dissimulazione della concessione di una garanzia per un debito preesistente) né quella della novazione (con la sostituzione del preesistente debito chirografario con un debito garantito). Essa può integrare, invece – e normalmente integra – una fattispecie di procedimento negoziale indiretto, nel cui ambito il mutuo ipotecario viene erogato realmente e viene utilizzato per l’estinzione del precedente debito chirografario.
Quanto sopra rileva, con immediatezza, sia per ciò che attiene al profilo della revocatoria della garanzia ipotecaria per debiti preesistenti (a mente dell’art. 67, comma 1, nn. 3 e 4, R.D. 267/1942), sia per ciò che attiene al profilo della revocatoria di pagamenti (in sé, ai sensi dell’art. 67, comma 2, ovvero in quanto eseguiti con mezzi anormali, in forza dell’art. 67, comma 1, n. 2, R.D. 267/1942), essendo legata all’inopponibilità del mutuo.
Nelle pronunce del 2016 la Corte di Cassazione si perita di ricostruire le ragioni del progressivo superamento dell’opposta tesi (pur affermata dalla stessa Prima Sezione con le sentenze n. 11496/1997 e n. 84/1999) per cui, in caso di mutuo finalizzato a conseguire l’estinzione di un anteriore debito, il procedimento, caratterizzato da motivo illecito (per violazione della par condicio creditorum), avrebbe come effetto finanche l’impossibilità di ammettere al passivo le somme mutuate dalla banca, siccome conseguente alla dichiarazione di inefficacia dell’ipoteca.
Diversamente ragionando, la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione si è data carico della constatazione che il mutuo destinato all’estinzione di debiti pregressi, senza creazione di nuova liquidità, per quanto inefficace nei confronti della massa, è da considerare comunque in effetti sorretto dalla volontà dei contraenti – costituendo dunque un atto voluto, e non simulato -, conseguendone la necessità di riconoscere, a differenza di quanto accade per i casi di simulazione, il diritto del mutuante di insinuarsi al passivo quanto alle somme erogate con la finalità dell’estinzione del debito preesistente, ma in chirografo, a motivo della revocabilità dell’ipoteca.
La garanzia reale, infatti, resterebbe insensibile alla fattispecie di consolidamento prevista dall’art. 39 del D. Lgs. n. 385/1993, in ragione del fatto che la revocatoria colpirebbe non (atomisticamente) l’ipoteca in sé, ma l’intero procedimento negoziale indiretto (leggibile secondo la Corte Suprema in termini di collegamento) nel contesto del quale è coinvolto il mutuo su cui l’ipoteca si fonda.
In questo caso (e solo in questo, come si avrà modo di sviluppare oltre), ove il mutuo ipotecario risulti stipulato ad estinzione di un’esposizione debitoria pregressa, gli organi della procedura, sussistendone i presupposti, avrebbero la possibilità di impugnare l’intera operazione in quanto diretta ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e, con essa, anche le rimesse effettuate con la provvista in quanto abbiano avuto carattere solutorio.
La Corte di Cassazione è, al contempo, bene attenta a “non fare di ogni erba un fascio”, distinguendo tra un’operazione come quella sopra tratteggiata, da quella che risulti, all’opposto e diversamente, volta al genuino e sano “rifinanziamento” del debitore.
Risulta infatti innegabile che il ricorso al credito sia oramai visto come possibile strumento di ristrutturazione del debito, deponendo in tal senso l’attuale normativa concorsuale (artt. 182bis, 182quater e 182quinquies R.D. 267/1942), la quale consente di rinegoziare i finanziamenti bancari anche nei riguardi di debiti scaduti.
L’elemento caratteristico e distintivo di tale tipologia di credito deve tuttavia individuarsi nella circostanza che l’erogazione della nuova liquidità da parte della banca risulta funzionale non solo (e non tanto) al rimborso della preesistente esposizione debitoria, con acquisizione di ipoteca configurabile come garanzia non contestuale, ma a rimodulare, per il tramite di nuove condizioni negoziali – per esempio afferenti il tasso di interesse – o rinnovate tempistiche dei pagamenti, l’assetto complessivo del debito, nel più ampio contesto di una nuova veste giuridico-economica dei rapporti pregressi.
In ciò, secondo la Corte di Cassazione, può e deve concretamente stabilirsi il discrimine tra le due tipologie di operazioni: laddove la banca eroghi effettivamente nuova liquidità al debitore, nel contesto di un’operazione non distorta e non preordinata ad estinguere semplicemente l’obbligazione pregressa ripianando, con l’ipoteca, il rischio di credito male apprezzato al momento della sua insorgenza, si conforma alla sua funzione economica istituzionale munendo l’impresa di nuove risorse suscettibili di rifinanziarla.
In tal caso la nuova finanza cui accede l’ipoteca sarebbe destinata ad assicurare ulteriori disponibilità al debitore in conformità alle regole di corretta gestione di un rischio contestualmente assunto e, per questo, nuovo.
Le considerazioni sopra riportate, commentate da autorevole dottrina sotto il profilo civilistico e concorsuale[3], paiono poter costituire utili spunti per un opportuno (e definitivo) revirement anche a livello di trattamento tributario dei finanziamenti finalizzati ad estinguere passività pregresse, quantomeno laddove ricorrano le condizioni meritevoli di valutazione individuate dalla stessa Suprema Corte, potendosi in tali casi affermare, senza timore di smentita, la sussistenza di una finalità (neppure da un punto di vista troppo latamente aziendale) produttiva[4].
Quanto precede sempreché si intenda riconoscere alla finalità del finanziamento una propria dignità di presupposto impositivo, a mente di quanto affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione del 2015, secondo la quale “la questione, quindi, deve essere risolta sulla base della ratio legis della norma di agevolazione, tenendo fermo il costante insegnamento di questa Corte, secondo cui le disposizioni che prevedono delle agevolazioni tributarie sono norme di stretta interpretazione. Tale ratio è da ricercare nel favore che il legislatore intende accordare agli investimenti produttivi, nella previsione che essi possono creare nuova ricchezza, sulla quale potrà più adeguatamente applicarsi il prelievo fiscale”[5].
[1] Senza pretesa di esaustività circa i profili di criticità rilevati nella concreta applicazione del regime dell’imposta sostitutiva ai contratti di finanziamento in relazione al ricorrere dei relativi presupposti legittimanti, sia consentito il rimando a P.Carrière e M.Bascelli, Profili civilistici degli “accordi esecutivi delle soluzioni negoziate della crisi di impresa” e connesse implicazioni fiscali, in Riv. Dott. Comm. Anno LX, Fasc. 4 – 2009, pag. 723 ss.; P.Carrière e M.Bascelli, La fiscalità “indiretta” negli “accordi esecutivi delle soluzioni negoziate della crisi di impresa”. Nihil sub sole novi, in Riv. Dott. Comm. Anno LXIV, Fasc. 1 – 2013, pag. 63 ss.; M.Bascelli, G. Orlandini, Non c’è abuso di diritto sui prestiti firmati all’estero. Ma l’imposta di registro è italiana, in MF, 30 aprile 2013; A.Bonissoni, M.Bascelli, L.Pangrazzi, La fiscalità “indiretta” e il sostegno alle imprese, anche quelle in crisi: eppur (qualcosa) si muove, in Diritto24, 7 gennaio 2014; M.Bascelli e L.Pangrazzi, L’imposta sostitutiva sui finanziamenti alla luce degli ultimi orientamenti della Cassazione, Diritto Bancario, luglio 2015; M.Bascelli, Le irrisolte criticità dell’imposizione fiscale indiretta applicata agli accordi in esecuzione degli strumenti di composizione della crisi di impresa, Diritto Bancario, maggio 2017.
[2] Per un primo commento di tale sentenza sia consentito rimandare a M.Bascelli e L.Pangrazzi, L’imposta sostitutiva sui finanziamenti alla luce degli ultimi orientamenti della Cassazione, cit.
[3] S.Bonfatti, Legittimo il mutuo fondiario per la ristrutturazione di passività pregresse se favorisce il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa, Diritto Bancario, estratto dal n. 5/2016.
[4] Illuminanti paiono, a chi scrive, le considerazioni di S. Bonfatti, op. cit., secondo il quale:
“Il grave equivoco che si deve denunciare sta in ciò: credere che la situazione nella quale il finanziamento fondiario procuri all’imprenditore la c.d. “nuova provvista” sia diversa da quella nella quale il finanziamento fondiario sia destinato all’estinzione di passività (bancarie) pregresse, mentre nessuna differenza di rilievo è dato di cogliere nelle due situazioni descritte. Si dovrà ammettere – si auspica – che anche nella prima ipotesi la “nuova provvista” sia destinata ad adempiere delle obbligazioni: verso fornitori, o verso dipendenti, o verso professionisti, o verso altri creditori dell’impresa. Si dovrà altresì ammettere che l’utilizzo di un nuovo finanziamento a medio/lungo termine per il pagamento di esposizioni a breve termine – nei confronti dei menzionati fornitori, dipendenti, professionisti o “altri” – sia un atto di gestione totalmente condividibile, e comunque ricompreso nell’ambito dei poteri funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore. In tale contesto, non si comprende quale sia la differenza tra la situazione nella quale il finanziamento fondiario venga utilizzato per estinguere passività pregresse verso fornitori; nella quale venga utilizzata per estinguere passività pregresse verso una distinta azienda di credito che abbia interrotto le relazioni di finanziamento con l’imprenditore; oppure – infine – per estinguere le passività pregresse presentate verso lo stesso Istituto di credito che eroga il finanziamento fondiario. Neppure nelle prime due ipotesi si verifica la fantomatica immissione di una “provvista effettivamente nuova” nell’impresa, e tuttavia nessuna revocatoria in danno dell’istituto erogatore del finanziamento fondiario sarebbe qui – è da auspicare! – neppure lontanamente concepibile (dovendosi invece giustamente valutare l’assoggettabilità a revoca dei pagamenti ricevuti dai fornitori, o dagli altri creditori soddisfatti). All’equilibrio finanziario dell’impresa è totalmente indifferente il profilo soggettivo delle passività estinte, esclusivamente rilevando, se mai, se trattasi di passività a breve termine od a medio/lungo termine; e di passività produttive di oneri finanziari significativi, oppure trascurabili: ed è evidente a tutti che la scelta di destinare la “provvista” alla estinzione di debiti a breve termine presentati verso una banca, rappresenta la meno “anomala” delle operazioni!”.
[5] In termini dubitativi, si esprimono P.Flora e S.Loconte, L’imposta sostitutiva sui finanziamenti ex DPR 601/1973. Una storia infinita, in Diritto Bancario, febbraio 2015, secondo i quali:
“Limitando la discussione ai finanziamenti destinati alle imprese e, anche volendo, per un momento, sostenere la necessaria sussistenza dello “scopo produttivo” ai fini dell’assoggettamento di una determinata operazione di finanziamento a Imposta Sostitutiva, non può trascurarsi il fatto che la sostituzione di un debito con scadenza a breve termine con uno con scadenza a medio-lungo termine ha – decisamente – una finalità produttiva: una simile operazione consente, infatti al prenditore di rimodulare e ribilanciare in modo efficiente la propria esposizione creditoria, migliorare il proprio indice secco di liquidità (cd. “acid test ratio”) e progettare, se del caso, investimenti durevoli che troveranno riscontro nell’attivo patrimoniale. Da un punto di vista gestionale, peraltro, è evidente come non sia finanziariamente sostenibile effettuare investimenti a medio-lungo termine utilizzando liquidità con scadenza a breve termine”.