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Alcune riflessioni sull’applicabilità del bail-in alle attività dei fondi comuni di investimento

29 Giugno 2017

Avv. Giovanni Stefanin e Avv. Teresa Mattioli, PwC Tax & Legal Services

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. La Direttiva BRDD e il bail-in quale strumento di risoluzione della crisi – 2. L’assoggettamento al bail-in delle risorse dei fondi comuni di investimento depositate presso una banca – 3. L’assoggettamento al bail-in della liquidità depositata presso una banca nell’ambito del servizio di gestione di portafogli – 4. La posizione di Banca d’Italia – 5. Conclusioni

 

1. La Direttiva BRDD e il bail-in quale strumento di risoluzione della crisi

I Decreti Legislativi del 15 novembre 2015, nn. 180 e 181 hanno recepito nell’ordinamento nazionale le disposizioni in materia di risoluzione delle crisi bancarie introdotte a livello comunitario dalla Direttiva (UE) n. 59 del 14 maggio 2014 volta a istituireun quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (c.d. BRRD).

La citata normativa nasce al dichiarato fine di fondare un sistema armonizzato di procedure di risoluzione del dissesto e delle crisi degli enti creditizi e finanziari[1], al fine di ridurre al minimo l’impatto della crisi del singolo istituto sull’economia e sul sistema finanziario nazionali. Il rinnovato regime dovrebbe infatti esonerare lo Stato e quindi i contribuenti ad intervenire per sostenere economicamente l’ente in dissesto assicurando che siano invece gli azionisti e i creditori di questo a sostenere per primi le perdite[2]. Onde non assoggettare azionisti e creditori a un pregiudizio economico che esuberi dai diritti ad essi garantiti dai principi generali in materia di procedure concorsuali, è previsto che nessun titolare di strumenti, elementi o passività ammissibili subisca perdite superiori a quelle che subirebbe se l’ente fosse sottoposto alla liquidazione coatta amministrativa o ad altra analoga procedura prevista dal Testo Unico Bancario (di seguito, TUB), in conformità al cosiddetto principio del “no worse creditor off”[3].

Tra le misure di risanamento e risoluzione delle crisi bancarie e delle imprese di investimento, è introdotto il cosiddetto strumento del “bail-in”, o “salvataggio interno”, che consiste nella riduzione o conversione in capitale dei diritti degli azionisti e dei creditori[4] e che, come tale, risponde proprio alla citata finalità di assicurare che siano azionisti e creditori dell’ente in crisi a sostenere le perdite facendosi carico di una quota adeguata dei costi derivanti dal dissesto dell’istituto.

Il bail-in può essere disposto dall’Autorità di risoluzione competente, individuata in Italia nella Banca d’Italia, in via alternativa: (i) per ripristinare il patrimonio di un soggetto sottoposto a risoluzione nella misura necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali e nella misura idonea a ristabilire la fiducia dei mercati, quando cioè l’applicazione del bail-in è in grado di risanare la situazione economica e patrimoniale dell’ente, anche congiuntamente alle altre misure di riorganizzazione intraprese; ovvero (ii)nelle ipotesi di cessione dei beni e dei rapporti giuridici dell’ente in crisi a un ente ponte per ridurre il valore nominale delle passività cedute, inclusi i titoli di debito, o per convertire queste passività in capitale[5].

Ciò premesso, non ci si intende soffermare oltre sulle condizioni per l’applicabilità dello strumento del bail-in o sugli aspetti procedurali dello stesso, quanto più, invece, sugli effetti di tale innovativa misura d’intervento e, in particolare, sulle conseguenze della stessa su talune passività detenute dalla banca riconducibili alla prestazione di servizi di investimento e del servizio di gestione collettiva del risparmio.

L’articolo 49 del D.Lgs. 180/2015, in recepimento dell’articolo 44 della BRDD, delinea infatti l’ambito di applicazione dello strumento del bail-in introducendo importanti esenzioni per talune passività. È così che, per quanto in particolare interessa ai predetti fini, sono esenti dall’assoggettamento al bail-in tutte le passività derivanti dalla detenzione da parte dell’ente sottoposto a risoluzione di disponibilità dei clienti, inclusa la disponibilità detenuta nella prestazione di servizi e attività di investimento e accessori ovvero da o per conto di organismi d’investimento collettivo (OICVM) o fondi di investimento alternativi (FIA). Tale esenzione si applica però a condizione che questi clienti siano protetti nelle procedure concorsuali applicabili[6].

È, pertanto, in ragione di quanto previsto al citato articolo 49, co. 1, lettera c) del D.Lgs. 180/2015 che si pone la questione dell’applicabilità del bail-in alle somme depositate da parte di Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR)[7] alla banca depositaria, qualora questa venga sottoposta alle misure di risoluzione introdotte dalla BRRD e, quindi, al bail-in. In particolare, la questione emerge in ragione della clausola, mutuata dal dettato comunitario, che fa salva l’esenzione all’ipotesi in cui essa sia coerente con quanto previsto dal diritto fallimentare nazionale.

2. L’assoggettamento al bail-in delle risorse dei fondi comuni di investimento depositate presso una banca

L’assoggettamento al bail-in delle disponibilità detenute dall’ente creditizio per conto dei fondi comuni di investimento[8] sembrerebbe essere esclusa dallo stessa formulazione letterale della norma da ultimo citata[9], se non fosse per la clausola di chiusura con la quale già il legislatore comunitario ha condizionato l’esenzione a che analoga protezione sia prevista nelle procedure concorsuali applicabili.

Tale clausola impone pertanto una disamina della disciplina fallimentare volta a verificare la preesistenza nell’ordinamento nazionale di disposizioni che proteggano le disponibilità dei fondi comuni di investimento depositate presso una banca dalla società di gestione del risparmio, ovvero delle liquidità, connesse alla prestazione di un servizio di investimento, che le imprese di investimento, nonché le stesse società di gestione del risparmio, possono depositare presso una banca.

Pertanto, con riferimento alla questione afferente le disponibilità dei fondi comuni d’investimento, una risposta affermativa al quesito circa l’esenzione dal bail-in delle stessesembrerebbe discernere in primo luogo dall’articolo 36, co. 4, del Testo Unico della Finanza (di seguito, TUF). Come noto, infatti, tale articolo, al comma 4, nel declinare il principio della separazione patrimoniale del fondo comune di investimento rispetto al patrimonio della SGR e del depositario, sancisce che sullo stesso non sono ammesse non soltanto le azioni da parte dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, ma anche le azioni dei creditori del depositario, del sub-depositario, o nell’interesse degli stessi.

Pertanto, non solo gli strumenti finanziari ma anche tutte le disponibilità liquide del fondo comune di investimento che si trovino presso il depositario, poi posto in risoluzione, non possono essere assoggettate alla riduzione o conversione in capitale, proprio in ragione della natura di patrimonio distinto e autonomo del fondo comune di investimento e delle conseguenze che da tale separazione patrimoniale ne conseguono, quale appunto l’impossibilità di assoggettare l’intero patrimonio, incluse pertanto le liquidità, alle azioni dei creditori del depositario o del sub-depositario.

Il principio della separazione patrimoniale del fondo comune di investimento, e quindi del solo OICR costituito in forma contrattuale, sembra pertanto elemento sufficiente a giustificare la non applicabilità del bail-in alle liquidità depositate da OICVM e FIA presso la banca depositaria, indipendentemente peraltro dalle finalità per le quali tali somme siano detenute dalla banca, quindi compresa, a titolo esemplificativo, la liquidità necessaria agli investimenti in depositi o alla costituzione di garanzie di denaro, purché non depositata presso soggetti terzi.

Ciò non vale invece per le liquidità, quali quelle finalizzate alla costituzione di garanzie, “depositate” presso altri enti diversi dal depositario, dal momento che la tutela apprestata dall’ordinamento nazionale trova ragione proprio nel ruolo istituzionalizzato del depositario e su quel principio di autonomia patrimoniale del fondo comune di investimento, così come previsto dal citato articolo 36, co. 4, del TUF. Così, eventuali somme accreditate, ad esempio, su un conto deposito presso un ente creditizio diverso dal depositario dovrebbero sfuggire alla predetta tutela e, conseguentemente, all’esenzione di cui all’articolo 49, co. 1, lett. c) del citato decreto.

Le stesse ragioni normative, letterali e sistematiche, conducono a conclusioni ben diverse se si prendono invece in considerazione gli OICR costituiti in forma statutaria, quali le società di investimento a capitale variabile (SICAV) o a capitale fisso (SICAF). Queste infatti, in ragione della natura societaria e della ontologica commistione tra patrimonio investito e capitale sociale, non godono della separazione patrimoniale di cui all’articolo 36, co. 4, del TUF. In ragione di ciò, la tutela riconosciuta dall’ordinamento non si estende al punto da comprendervi le liquidità depositate presso la banca depositaria, le quali, sprovviste di tutela dalla legge fallimentare italiana, sono pertanto suscettibili di essere aggredite qualora, in sede di risoluzione della banca depositaria, sia disposta la conversione in azioni delle passività di quest’ultimo.

Ciò ovviamente non vale per gli strumenti finanziari che sono tenuti in custodia dal depositario e che, come tali, sono indisponibili per lo stesso – salva l’ipotesi di consenso al riuso, espresso, circostanziato e dato per iscritto dal gestore[10] – e quindi non assimilabili alle liquidità meramente detenute e quindi, in assenza di un’espressa disposizione che le tuteli, potenzialmente aggredibili in caso di bail-in.

Ad analoghe conclusioni si dovrebbe inoltre giungere anche con riferimento ai fondi pensione. Pur essendo unitaria la disciplina dei rapporti tra depositario e fondi comuni di investimento, tra depositario e SICAV o SICAF e tra depositario e fondi pensione[11], manca infatti, con riferimento a questi ultimi, tanto nel TUF quanto nella disciplina di settore, nonché nelle disposizioni dettate dal TUB e dalle legge fallimentare sulla crisi delle banche, una disciplina assimilabile a quella dettata per i fondi comuni di investimento dall’articolo 36, co. 4, del TUF e, pertanto, le liquidità depositate presso il depositario non godono di una protezione tale da sottrarle a un eventuale bail-in.

3. L’assoggettamento al bail-in della liquidità depositata presso una banca nell’ambito del servizio di gestione di portafogli

Altro aspetto controverso che emerge dalla nuova disciplina della crisi bancaria concerne l’applicabilità del bail-in alla liquidità consegnata dalla clientela ad una impresa di investimento, ovvero a una società di gestione del risparmio, nell’ambito della prestazione del servizio di gestione di portafogli e quindi depositate dall’impresa o dalla SGR presso una banca, poi assoggettata a risoluzione.

Anche in questo caso, è l’articolo 39 del D.lgs. 180/2015, alla citata lettera c), che, nel recepire analoga disposizione comunitaria, sancisce l’esclusione delle disponibilità detenute dalla banca per conto dei clienti nella prestazione di servizi di investimento, purché tali clienti (e.g. le imprese di investimento o le SGR) siano protette nelle procedure concorsuali applicabili.

La questione, pertanto, impone la lettura dell’articolo 22, co. 1, del TUF, anch’esso rubricato “separazione patrimoniale” e ai sensi del quale “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dall’impresa di investimento, dalla SGR, dalla società di gestione UE o dagli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto all’articolo 107 del Testo Unico Bancario, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti a qualsiasi titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario o nell’interesse degli stessi”.

L’ordinamento sembra quindi prevedere forme di tutela analoghe a quelle dettate dall’articolo 36, co. 4, del TUF circa il patrimonio dei fondi comuni di investimento, per lo meno con riferimento alle disponibilità della clientela detenute, nel contesto della prestazione del servizio di gestione di portafogli, da parte di imprese di investimento o da SGR e poi custodite presso un depositario. Nonostante, infatti, tali tutele siano state tradizionalmente contrapposte a quelle poste a favore dei fondi comuni di investimento, in una esasperata dicotomia tra “tutela forte” ex articolo 36, co. 4, del TUF e “tutela debole” di cui all’articolo in oggetto[12], basata innanzitutto sul ruolo meramente eventuale che il depositario riveste nel caso della prestazione di servizi di investimento, l’ordinamento appresta comunque delle tutele sostanziali a tale fattispecie. È infatti espressamente sancito che sul patrimonio, costituito dagli strumenti finanziari ma anche dalle somme di denaro dei singoli clienti detenuto nel contesto della prestazione di servizi di investimento, non potrebbero comunque essere ammesse azioni dei creditori non solo dell’impresa di investimento e della SGR o degli altri clienti della stessa ma anche, appunto, del depositario e del sub-depositario.

D’altro canto, dalla stessa lettura dell’articolo 22, co. 1, del TUF, emerge con chiarezza che analoga protezione non è invece accordata qualora tali somme siano detenute dalla banca nella prestazione di servizi di investimento nei confronti della propria clientela. In tale ipotesi, infatti, il dettato normativo sembra escludere con estrema chiarezza qualsiasi forma di tutela nei confronti delle somme di denaro che i clienti depositano presso le banche nel contesto di un rapporto connesso alla prestazione di servizi di investimento. Infatti, la citata norma limita in tal caso la separazione patrimoniale ai soli strumenti finanziari detenuti dalla banca, dovendosene ricavare, in assenza di altre previsioni della legge fallimentare che conducano a diverse conclusioni, che la liquidità connessa alla prestazione del servizio di gestione di portafoglio sia da considerarsi alla stregua di ogni altra liquidità depositata presso la banca e, quindi, possa essere assoggettata al bail-in.

A conferma di ciò si consideri anche quanto disposto dall’articolo 91, co. 1, del TUB che, nel disciplinare le restituzione e i riparti nel corso della liquidazione coatta amministrativa, prevede che i commissari procedano alle restituzioni dei beni nonché degli strumenti finanziari relativi ai servizi di investimento e non anche alle somme di denaro ad essi relative.

Ancora, a corroborare la differenza che l’ordinamento nazionale avvalora, con riferimento al trattamento delle liquidità della clientela connesse alla prestazione di servizi di investimento, nel caso di crisi di banche ovvero di imprese di investimento e SGR, si consideri che l’articolo 57 del TUF nell’estendere l’applicazione delle norme dettate dal TUB sulla liquidazione coatta amministrativa degli enti creditizi alle imprese di investimento e alle SGR, specifica che ogni riferimento contenuto nel TUB agli strumenti finanziari si intende esteso anche al denaro.

4. La posizione di Banca d’Italia

Le considerazioni esposte nei precedenti paragrafi riflettono la posizione recentemente assunta dalla Banca d’Italia, secondo quanto riferito da Assogestioni, l’associazione italiana di categoria delle società di gestione del risparmio, a conclusione di uno scambio intercorso tra la stessa Associazione e l’Autorità di vigilanza.

Assogestioni, con un comunicato stampa del 1° febbraio 2017, ha infatti reso noto che la Banca d’Italia, sollecitata mediante un’espressa richiesta di chiarimenti da parte dell’Associazione, ha risposto con una nota concernente la discussa questione dell’assoggettamento al bail-indelle disponibilità affidate da una SGR a una banca poi posta in risoluzione.

Da quanto riportato dall’Associazione, la Banca d’Italia ha concordato con la stessa circa l’inapplicabilità del bail-in alle passività aventi ad oggetto le liquidità di un fondo comune di investimento, sia OICVM sia FIA, affidate a un depositario sottoposto a risoluzione, escludendo invece le liquidità depositate da parte di fondi pensione e di organismi di investimento collettivo del risparmio diversi dai fondi comuni di investimento, pertanto dagli OICR a natura societaria e non contrattuale, quali SICAV e SICAF.

È stato affermato, infatti, sempre sulla base di quanto riportato da Assogestioni, che, in assenza di un’espressa protezione, in sede concorsuale, per le disponibilità liquide predette, non è possibile applicare le disposizioni che sanciscono l’autonomia patrimoniale dei fondi comuni di investimento alle fattispecie predette, trattandosi di norme a natura eccezionale rispetto alle quali è pertanto escluso il ricorso all’ interpretazione analogica. Parimenti, il citato principio spingerebbe l’Autorità di Vigilanza – nonché autorità di risoluzione ai fini della rinnovata disciplina – ad escludere qualsivoglia forma di tutela rispetto alle passività relative alle disponibilità liquide dei fondi comuni di investimento affidate a soggetti diversi dal depositario.

Sembrerebbe pertanto trattarsi di una disparità di trattamento, avvallata dalla Banca d’Italia, tra fondi comuni di investimento da un lato e fondi pensione e SICAV e SICAF dall’altro, che pur trovando fondamento nella diversa disciplina recata in merito dall’ordinamento nazionale, rischia di tradursi in un vantaggio concorrenziale per i fondi comuni di investimento a pregiudizio di SICAV e SICAF, alle quali gli investitori potrebbero preferire altre forme di investimento, che offrano maggiori tutele nell’ipotesi in cui venga deliberata la risoluzione della banca depositaria.

L’evidente disparità rende pertanto necessario e urgente un intervento risanatore, a livello di normativa primaria, auspicato dalla stessa Banca d’Italia, volto ad apportare razionalità e uniformità di trattamento a fattispecie parimenti meritevoli di tutela, pur nel rispetto dell’ordinamento europeo.

La Banca d’Italia, riporta Assogestioni, si è anche espressa con riferimento alla questione dell’assoggettamento al bail-in della liquidità depositata presso una banca nell’ambito del servizio di gestione di portafogli (cfr. supra paragrafo 3). L’Autorità di vigilanza ha infatti confermato la predetta lettura dell’articolo 22, co. 1, del TUF, ricavandone che, nell’ipotesi di risoluzione di una banca, le passività consistenti nelle risorse liquide della clientela ricevute da una impresa di investimento o da una SGR e poi depositate non possono essere assoggettate al bail-in, al contrario invece delle liquidità della clientela connesse alla prestazione di servizi di investimento da parte della banca medesima ovvero anche se depositate da una banca terza.

Ciò reca evidentemente un’ulteriore e grave disparità di trattamento tale, potenzialmente, da spingere la clientela a rivolgersi ad altri intermediari abilitati, diversi dalle banche, per la prestazione di servizi di investimento e, in particolare, per la gestione di portafogli.

Inoltre, è stato esplicitato un ulteriore profilo afferente la predetta questione con importanti ripercussioni sui fondi pensione, che, come anticipato, sembrerebbero altrimenti essere esclusi da qualsiasi forma di protezione. La Banca d’Italia ha infatti rilevato che la protezione di cui all’articolo 22, co. 1, del TUF sarebbe applicabile anche alle risorse dei fondi pensione affidate in gestione convenzionata ai sensi dell’articolo 6, co. 1, del Decreto Legislativo del 5 dicembre 2005, n. 252, nella misura in cui l’attività del gestore sia riconducibile al servizio di gestione di portafogli. In base a questa interpretazione, pertanto, le passività del depositario nei confronti del fondo pensione affidato in gestione convenzionata non sarebbero aggredibili nell’eventualità in cui si applicasse il bail-in.

5. Conclusioni

Le innovazioni apportate all’ordinamento nazionale in conseguenza del recepimento della BRRD, congiuntamente all’interpretazione di sistema delle disposizioni di recepimento, conducono a rilevare significative disparità di trattamento tra fattispecie tradizionalmente affini per le tutele accordate, in riferimento alle stesse, a clienti e investitori. Ciò evidentemente vale rispetto alle citate disparità di trattamento nel caso di gestione collettiva del risparmio tra fondi di investimento da una parte e SICAV e SICAF dall’altro e, rispetto ai servizi di investimento, tra intermediari abilitati diversi dalle banche e queste ultime, mentre, trattandosi chiaramente di situazioni diverse e non assimilabili, non possono certamente ritenersi discriminatorie le citate differenze con riferimento proprio alla gestione collettiva del risparmio da un lato e i servizi di investimento, e in particolare la gestione di portafogli individuali, dall’altro.

Pur nella banalità di tale auspicio, peraltro mutuato da quello della stessa Banca d’Italia, non resta pertanto che attendere un intervento normativo da parte del Legislatore nazionale, tale da offrire forme di tutela che colmino le lacune in essere e siano tali da poter essere riconosciute come forme di protezione in grado di escludere, ex articolo 39, co. 1, lett. c), del D.lgs. 180/2015, la non applicabilità del bail-in alle fattispecie predette, ad oggi sprovviste di tali garanzie.

 


[1] In particolare, l’ambito di applicazione della norma, è così individuato: “il presente decreto si applica ai seguenti soggetti: a) banche aventi sede legale in Italia; b) società italiane capogruppo di un gruppo bancario e società appartenenti a un gruppo bancario ai sensi degli articoli 60 e 61 del Testo Unico Bancario; c) società incluse nella vigilanza consolidata ai sensi dell’articolo 65, comma 1, lettere c) e h), del Testo Unico Bancario;

d) società aventi sede legale in Italia incluse nella vigilanza consolidata in un altro Stato membro” (art. 2 D.Lgs. 180/2015).

[2] Considerando nn. 5 e 67, Direttiva (UE) 59/2014.

[3] Art. 52, co. 2, lett. b), D.Lgs. 180/2015.

[4] Art. 2, co. 1, n. 57, Direttiva (UE) 59/2014; art. 1, co. 1, lett. g), D.Lgs.180/2015.

[5] Art. 49, co. 1, D.Lgs. 180/2015.

[6] Parimenti a quanto previsto all’articolo 44, co. 2, lett. c) della Direttiva (UE) 59/2014 la quale esclude i poteri di svalutazione e conversione delle autorità competenti su “qualsiasi passività derivante dal fatto che l’ente o l’entità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), c) o d), della presentedirettiva detiene attività o liquidità dei clienti, incluse attività o liquidità dei clienti detenute da o per conto di organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) quali definiti all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2009/65/CE o di fondi di investimento alternativi (FIA) quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, a condizione che tali clienti siano protetti dal diritto fallimentare vigente”.

[7] Con le differenze che verranno di seguito illustrate a seconda che si tratti di OICR costituiti in forma contrattuale, ovverosia i fondi comuni di investimento, ovvero gli OICR di tipo statutario, quali le SICAV e le SICAF.

[8] Per “Fondo comune di investimento” si intende l’Oicr costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore (art. 1, co.1, lett j), TUF) e pertanto, anche in virtù di quanto espressamente previsto dall’articolo 39 del D.Lgs. 180/2015 e dall’articolo 44 della Direttiva (UE) 59/2014, sia i FIA sia gli OICVM.

[9] Art. 49, co. 1, lett c), D.Lgs. 180/2015 “qualsiasi obbligo derivante dalla detenzione da parte dell’ente sottoposto a risoluzione di disponibilità dei clienti, inclusa la disponibilità detenuta […] da o per conto di organismi d’investimento collettivo o fondi di investimento alternativi, a condizione che questi clienti siano protetti nelle procedure concorsuali applicabili”.

[10] Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, Titolo VIII, Capo III, Sezione VI.

[11] Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, Titolo VIII, Capo I, Sezione III.

[12] Inter alia, Lucantoni, Il Testo Unico della Finanza, a cura di M. Fratini e G. Gasparri, commento sub articolo 22, UTET, 2012.

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