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Approfondimenti
NPL

Le proposte di legge in Parlamento sui crediti deteriorati delle banche

1 Giugno 2017

Avv. Dino Crivellari, Crivellari and Partners

Di cosa si parla in questo articolo
NPL

Il tema dei NPLs (crediti deteriorati delle banche) continua ad essere centrale nel dibattito italiano ed europeo, drammatizzato dalle vicende delle banche venete e di MPS.

Checché se ne dica, gli ultimi dati di Banca d’Italia non sono confortanti: è vero che tra dicembre 2016 e marzo 2017 il valore netto delle sofferenze italiane è sceso da 86 a 77,1 miliardi, ma questo è in gran parte effetto della maxi svalutazione di circa 10 miliardi effettuata da Unicredit in prospettiva della maxi cessione che si dovrebbe perfezionare entro fine giugno.

Peraltro le consistenze lorde sono aumentate di circa 2 miliardi, superando i 202 miliardi, il più alto valore dal 2014, escludendo quello di 203 miliardi registrato a febbraio 2017. [1]

L’Europa, di recente, ci ha esortato ad applicare senz’altro anche alle banche vigilate dalla Banca d’Italia le Linee guida sui crediti deteriorati pubblicate dalla BCE a marzo scorso, la cui cogenza va ben aldilà della formula di “ suggerimento “ adottata perché, se non pedissequamente applicate, daranno modo al Regolatore europeo di chiedere conto di comportamenti omissivi delle banche.

La situazione italiana (350 miliardi di NPLs sui 1000 miliardi dell’intera Europa), continua ad essere preoccupante, quindi, perché non si vede come il sistema bancario possa tornare ad essere efficiente tenuto conto che le nuove regole contabili IFRS9 (sostitutive dello IAS 39), quelle ancora più stringenti sul capitale che verranno adottate con Basilea 4, ma anche solo l’imponenza dei crediti deteriorati non ancora classificati a sofferenza (150 miliardi di cui solo il 20% si calcola tornerà in bonis), pesano come macigni sulla capacità competitiva delle nostre banche rispetto ai concorrenti europei che ormai hanno riguadagnato almeno situazioni di equilibrio. [2]

È quindi sempre più urgente aggredire e risolvere il problema dello stock di sofferenze che riguarda complessivamente circa 10 milioni di cittadini, imprese, loro dipendenti, privati, loro garanti, coobbligati ecc. [3]

Per molto tempo in molti hanno pensato che la soluzione potesse essere assicurata dalla cessione in blocco delle sofferenze agli unici compratori liquidi e disponibili sul mercato: i fondi di investimento.

In realtà il numero delle operazioni portate a termine vendendo sofferenze ai fondi non è stato risolutivo per la ormai annosa questione del “gap pricing”. I prezzi cui i fondi sono disponibili a comperare variano tra il 10 ed il 20% del valore lordo delle sofferenze, molto lontano dal valore netto registrato nei bilanci delle banche che varia tra il 40 e il 50% del lordo.

Vendere ai fondi significa per le banche registrare perdite economiche molto significative che spesso rendono necessarie ricapitalizzazioni non agevoli anche per la bassa redditività in questo momento delle aziende bancarie. [4]

Banca d’Italia, che ha dimostrato, numeri alla mano, la prudente politica degli accantonamenti complessivi delle banche italiane e la loro capacità di recupero dei crediti, sconsiglia opportunamente la svendita tout court ai fondi di investimento anche per la opacità e marcata inefficienza di un mercato caratterizzato dall’oligopolio sul lato della domanda. [5]

D’altra parte il problema resta e non si può sperare che il sistema torni efficiente attendendo i molti anni necessari per un recupero dei crediti non performanti secondo le logiche prudenti, anche se efficaci, ma non tempestive, della gestione interna alle banche su cui pesa significativamente l’inefficienza del sistema giustizia.

Atlante, nata per contrastare l’oligopolio dei fondi con logiche da investitore “paziente” che si accontenta di tassi di rendimento intorno al 6% contro quelli speculativi del 15/ 20% pretesi dai fondi, ha già esaurito le sue munizioni anche perché coinvolta nel tentativo encomiabile, ma non risolutivo, di salvare le banche venete.

L’ultimo acquisto di NPLs di Atlante a prezzi intorno al 32% del valore lordo delle sofferenze (ben 10/ 20 punti percentuali in più dei prezzi offerti dai fondi) ha un significato meramente politico. La indisponibilità dei suoi soci (banche, assicurazioni, CDP, eccetera) ad aumentarne il capitale dimostra che probabilmente l’Italia ha perso il treno della soluzione, adottata a suo tempo da Germania, Irlanda e Spagna, di risolvere il problema con l’istituzione di potenti bad bank in grado di assorbire gran parte delle sofferenze, liberando le banche commerciali dal problema.

La situazione di stallo, che ostacola la timida ripresa economica e relega il nostro Paese tra gli ultimi in Europa in termini di crescita del Pil, ha suggerito soluzioni diverse che partono dal presupposto che per voltare pagina debbono essere adottati strumenti eccezionali.

Da qui le tre proposte di legge sul cosiddetto “giubileo bancario” presentate in questi ultimi mesi in Parlamento: due alla Camera, primi firmatari Paglia e Marotta, ed una al Senato, prima firmataria de Petris.

Sono tutte molto simili e partono dal presupposto che è bene, sia economicamente, ma anche socialmente, mettere in condizione banche e clienti in difficoltà di trovare accordi per la definizione dei loro contenziosi, prendendo atto della situazione eccezionale, conseguenza di una eccezionale crisi economica che dura ormai da quasi 10 anni.

Lo scopo principale delle proposte di legge, implicito, ma evidente, è favorire, con adeguate facilitazioni fiscali, gli accordi tra banca e cliente in una logica privatistica e sfavorire invece la cessione ai fondi quando questa comporti un onere maggiore per la banca.

Al di là della logica politica che tende a rimettere in bonis imprese e famiglie, lo scopo è anche quello di limitare le pesanti conseguenze di minor gettito fiscale dovuto alla registrazione di ulteriori ingenti perdite su crediti, da parte delle banche in caso di svendita di NPLs.

Si calcola, infatti, che, a seguito degli accantonamenti registrati sui 200 miliardi di stock di sofferenze, pari a circa 120 miliardi, il minor gettito fiscale sia stato nell’ordine di 60 miliardi. Qualora i residui 80 miliardi di sofferenze nette venissero interamente ceduti ai fondi ai prezzi correnti sopramenzionati, l’ulteriore minor gettito potrebbe essere compreso tra i 20 e i 30 miliardi. La preoccupazione che i guadagni dei fondi, pressappoco pari alla differenza tra il prezzo pagato e il valore netto di bilancio delle sofferenze cedute, non venga tassato in Italia non è peregrina. A questo si aggiungono gli ulteriori ingenti impatti conseguenti all’aggiornamento dei rischi sui 150 miliardi di crediti deteriorati non ancora classificati a sofferenza, in presenza di un andamento economico stagnante dovuto anche alla impossibilità delle banche di tornare all’efficienza allocativa precrisi.

Le proposte di legge “Paglia” e “de Petris” sono molto simili al di là dei differenti titoli. Quella “Marotta” ha invece alcune peculiarità.

“Paglia” [6] “Disposizioni per l’estinzione agevolata dei debiti pregressi delle persone fisiche e delle piccole medie imprese verso gli istituti di credito”.

“Marotta” [7] “Disposizioni per favorire la definizione transattiva dei debiti insoluti verso banche ed intermediari finanziari”.

“De Petris” [8] “ Disposizioni per favorire la definizione delle sofferenze bancarie a carico di famiglie e impres”.

In tutti e tre i testi è chiaramente individuato l’ambito di applicazione: le posizioni a sofferenza, come tali risultanti alla data del 31/12/2016 presso la centrale rischi tenuta dalla Banca d’Italia, nei confronti di banche e intermediari finanziari ex articolo 106 TUB.

La logica di eccezionalità dell’intervento e la necessità di evitare arbitraggi ed opportunismi sia da parte dei creditori che dei debitori, hanno suggerito di prevedere interventi solo sullo stock di sofferenze cristallizzato nei bilanci bancari al 31/12/2016.

Simile è anche la procedura prevista. Il debitore può richiedere alla banca per iscritto quale sia il valore netto di bilancio della sua esposizione. Questo dato non è granularmente noto e tanto meno è a disposizione del debitore. Qui c’è la prima grande novità. Si impone alla banca di essere trasparente con il debitore sulle proprie aspettative di recupero posizione per posizione. “Paglia” e “de Petris” prevedono che la mancata o non veritiera risposta della banca sia sanzionata, secondo quanto verrà stabilito dalla Banca d’Italia. Questa previsione manca nella proposta “Marotta”.

La comunicazione del valore netto della posizione in sofferenza è funzionale alla conseguente procedura. Infatti il debitore, acquisita tale informazione, può (si sottolinea “può”) proporre alla banca una transazione [9] stragiudiziale, per la restituzione a saldo di quanto dovuto di importo “non superiore” al valore netto di bilancio della sofferenza. “Paglia” e “de Petris” prevedono che la banca “ non può rifiutare la proposta transattiva qualora l’importo offerto in pagamento dal debitore coincida con il valore netto di bilancio di ciascuno dei crediti oggetto della proposta di transazione”.

La norma prevede quindi una limitazione dell’autonomia privata, non inusuale nel nostro ordinamento, che si giustificata per il fine sociale di superare una buona volta le conseguenze della profonda crisi di questi anni.

La proposta “Marotta” è diversa. Non impone alla banca la non rifiutabilità della proposta del debitore, ma stabilisce cosa può (si sottolinea nuovamente il “può”) proporre il debitore: “ una transazione per un valore compreso tra il 50 percento del credito in sofferenza e l’entità dell’accantonamento relativo alla propria posizione nel bilancio del creditore “.

Non ci è chiara questa costruzione. Qualche esempio può servire. Prendiamo un credito di € 100. Il creditore può proporre una transazione per un valore compreso tra 50 e l’entità del relativo accantonamento. Se l’accantonamento è superiore a 50, mettiamo 90, il creditore può proporre un importo compreso tra 50 e 90 per definizione superiore a 50. La Banca accoglierà senz’altro. Se l’accantonamento fosse 10, il debitore può proporre un valore compreso tra 50 e 10, comunque inferiore a 50, quindi la banca lo rifiuterà. Se questa è la logica né è favorita la banca o più verosimilmente nessun debitore farà proposte tanto più che la banca, contrariamente a quanto previsto dai testi “Paglia” “de Petris”, non è vincolata ad accettare. Se questo è il meccanismo, è abbastanza controintuitivo perché verrebbero sfavoriti gli accordi ove sono presenti i maggiori accantonamenti.

Nella proposta “Paglia” “de Petris” l’atto di transazione deve prevedere l’espressa rinuncia del creditore al maggior credito ed a tutte le garanzie reali e personali, anche di terzi, a decorrere dall’ultimo effettivo pagamento a saldo. La formalizzazione dell’accordo ha pesanti ripercussioni per il debitore: non gli è consentito, salvo autorizzazione del creditore, di compiere atti dispositivi del proprio patrimonio fintanto che non abbia completato il pagamento previsto nell’accordo medesimo. Questa regola molto incisiva mette al riparo il creditore da comportamenti sleali anche perché il suo diritto al credito originario ha una prevista reviviscenza (art. 9) qualora il debitore non sia adempiente per oltre 60 giorni anche ad uno solo dei pagamenti previsti nell’accordo.

È evidente l’obiettivo di non favorire comportamenti in danno del creditore da parte di debitori, che, ottenuto l’accordo, depauperino poi il loro patrimonio.

Con molto equilibrio, però, la norma autorizza il creditore a negare l’autorizzazione al debitore di effettuare atti dispositivi sul proprio patrimonio solo se tali atti possono comprometterne la capacità patrimoniale (aggiungerei, economica e finanziaria) a far fronte all’impegno assunto.

Più articolate della proposta “Marotta”, quelle “Paglia” “de Petris” prevedono una specificità nel caso la sofferenza riguardi crediti ipotecari con pagamento rateale originariamente previsto in più di tre anni. Qui ci si è preoccupati in particolare della difficoltà di un debitore ipotecario nel reperire fondi per il pagamento in unica soluzione, assunto come probabile invece se il piano di ammortamento residuo sia inferiore a tre. L’articolo 4 prevede, in alternativa alla transazione tout court di cui all’articolo 2, la possibilità di concordare il “ ripristino non novativo del contratto di finanziamento ipotecario “ per un periodo non superiore a 20 anni, ma con l’ammortamento del solo debito residuo in linea capitale limitato ad una somma non superiore al valore netto di bilancio al 31/12/2016. La necessità di prevedere il ripristino è dovuta alla circostanza che si tratterà sicuramente di contratti di credito per il quale sarà venuto meno il beneficio del termine per il debitore o addirittura siano già risolti trattandosi di sofferenze.

Non è esplicito l’obbligo della banca a non rifiutare l’accordo se la proposta assicura la copertura del valore netto di bilancio come previsto al comma 2 dell’articolo 2. Sarebbe opportuno, per motivi di equilibrio, una correzione in tal senso in sede emendamentale per non sfavorire i debitori ipotecari, in gran parte famiglie.

Altra imposizione, particolarmente severa è quella che prevede in questi casi l’applicazione del patto marciano (art 48 bis e 120 quinquiesdecies TUB) [10], salvo che non vi rinunci espressamente il creditore. Considerata la scarsa accoglienza manifestata dalle banche per questi istituti di recente introduzione, è verosimile che la previsione sia poco seguita. Ma è evidente, anche qui, che la norma tende a mettere il più possibile il creditore, che rinuncia al proprio credito aderendo all’accordo proposto dal debitore, in una condizione di maggiore protezione e rafforzamento delle garanzie per i casi di inadempimento futuro.

L’articolo 5 “ Paglia” “de Petris”, invece, penalizza la banca che non accetti le proposte del debitore avanzate ai sensi dell’articolo 2 (ma in questo caso solo se la proposta è inferiore al valore netto di bilancio della sofferenza) e all’articolo 4 per i crediti ipotecari. Vi si stabilisce infatti che la banca non può fiscalmente dedurre le eventuali ulteriori perdite fiscali registrate nei quattro anni successivi in relazione a quelle posizioni in sofferenza per le quali abbia rifiutato l’accordo con il debitore.

Ma lo sfavore della norma per le cessioni a terzi è ancora più evidente là dove, a seguire, si afferma che, qualora il credito, per il quale l’accordo con il debitore sia stato rigettato, venga successivamente ceduto a terzi, le perdite commisurate alla differenza tra il valore proposto dal debitore e l’eventuale minor prezzo di cessione non sono più deducibili fiscalmente, per sempre.

La banca creditrice resta quindi libera di rifiutare la proposta del debitore, che essendo di valore inferiore al valore netto di bilancio produrrebbe ulteriori perdite, ma è fiscalmente sfavorita se cede quel credito ad un prezzo inferiore a quanto proposto al debitore.

Di converso tutte le norme proposte prevedono anche agevolazioni consistenti per i creditori sempre in termini di deducibilità fiscale. Nei testi “Paglia” “de Petris” infatti le perdite derivanti dagli accordi con i debitori, oltre che interamente deducibili nell’anno di realizzazione, sono fiscalmente maggiorate ai fini della deducibilità dal reddito da un minimo dell’1 ad un massimo del 10% in funzione lineare crescente. È da ritenere che questo beneficio sia realizzabile nell’anno fiscale in cui l’accordo viene perfezionato, indipendentemente da eventuali dilazionamenti ultrannuali del pagamento.

Nella proposta “Marotta”, all’articolo 3, il beneficio fiscale per la banca è più articolato ma più generoso: in caso di accettazione della proposta transattiva del debitore la maggiore perdita sarà deducibile, con una maggiorazione del 20%, in quote costanti fino al quarto anno successivo a quello della transazione.

Assolutamente condivisibile una proposta di integrazione di Roberto Tieghi [11] che suggerisce di prevedere (integrando l’ultimo comma dell’articolo 2 delle proposte “Paglia” “de Petris”) l’applicazione dell’articolo 88 comma 4 TER del TUIR per sollevare il debitore impresa dall’onere fiscale sulle sopravvenienze attive registrate a seguito della rinuncia totale o parziale al credito da parte del creditore. [12]

Lo sfavore verso le cessioni a terzi è ancora più evidente all’articolo 7 del “Paglia”/”de Petris” dove è previsto che le sofferenze per le quali un debitore abbia proposto transazioni non siano cedibili mai più a terzi per importi inferiori al valore netto di bilancio al 31/12/2016. Regola troppo punitiva ed in parte pleonastica perché fa evidentemente riferimento a transazioni non accolte o non adempiute. Per quelle non accolte sembra sufficiente la previsione dell’articolo 5; per quelle non adempiute non si vede perché penalizzare il creditore limitandone l’autonomia.

In tutte e tre le proposte di legge viene comunque previsto che, se il creditore intende cedere a terzi un qualunque credito in sofferenza, è tenuto ad informarne il debitore comunicando il prezzo di vendita proposto dal terzo. Il debitore può definire la posizione pagando il prezzo promesso dal terzo cessionario, non rifiutabile dal creditore, liberandosi delle obbligazioni. [13]

In tutti i casi il pagamento di quanto concordato sulla base delle norme proposte comporta la cancellazione del debitore dalle sofferenze registrate in Centrale rischi. Questo non esclude che Banca d’Italia possa creare una particolare classificazione per non perdere memoria della specificità e della storia del debitore che ha definito la propria posizione in base a queste norme eccezionali.

Particolarità della proposta “Marotta” è quella che prevede che MEF e ABI stipulino una apposita convenzione per definire modalità e criteri di applicazione della legge. La stipula della convenzione sembra condizionante per l’applicazione delle norme tanto che all’articolo 1 è previsto che i debitori possano inoltrare una proposta di transazione entro 30 giorni dalla entrata in vigore di tale convenzione. Termini troppo stretti perché la banca risponda prontamente alla richiesta del debitore di conoscere il valore netto di bilancio del proprio debito e tempi ancor più stretti perché il debitore possa articolare una concreta proposta di transazione.

Francamente non si sentirebbe la necessità di questa convenzione tra ABI e MEF perché le norme appaiono abbastanza proceduralizzate e specifiche. Il rischio è che la stipula della convenzione porti via tempo (il termine ordinatorio di 30 giorni non garantisce la tempestività) e induca i rappresentanti delle altre categorie interessate a chiedere di essere coinvolti nelle discussioni preliminari con dilatazione dei tempi di emanazione, rendendo il provvedimento non più efficace.

Sotto questo profilo le proposte “Paglia” “de Petris”, più realistiche e pragmatiche, sanciscono che la norma straordinaria trovi applicazione entro il 31 dicembre 2017.

 

[1] Banca d’Italia, “Banche e moneta: serie nazionali”, 10/5/17.

[2] Marco Onado, “Alla ricerca della banca perduta”, Il Mulino, 2017.

[3] D. Crivellari, “Banche e il nodo sofferenze….”, WSI, 12/7/16; “Condono bancario…”, WSI, 3/10/16; “L’errore grave di…” WSI 18/11/16; “Chiuso l’ …..” Gli Stati Generali 4 /12/16.

[4] D. Crivellari, “Dialogo fra un imprenditore e un banchiere” 1° parte, e 2° parte 8/2/17 Gli Stati Generali; “Un Giubileo bancario….”, Gli Stati Generali, 22/2/17; “Sofferenze bancarie…”, Gli Stati Generali 4/3/17; “Due esperti a confronto sulle linee guida BCE…”, Gli Stati Generali, 2/4/17.

[5] Banca d’Italia, “Note di stabilità finanziaria e vigilanza”, n° 7, Gennaio 2017.

[6] Camera dei Deputati, n° 4352 del 6/3/17.

[7] Camera dei Deputati, n° 4424 del 12/4/17.

[8] Senato della Repubblica, n° 2799 del 19/4/17.

[9] Definizione criticata da G. La Rocca, “Le proposte di legge “Paglia” e “Marotta” sui NPL in breve”, Il Caso.it, 25/5/17.

[10] D. Crivellari, “Decreto cela Patto marciano…”, WSI, 1/7/16, “Patto Marciano…patto marziano”, con altri Autori, Associazione T6, Aprile 2017.

[11] Roberto Tieghi, “Prende piede la proposta di Condono bancario”, WSI, 4/5/17.

[12] Marcello Minenna illustra una complessa ma chiara enunciazione delle motivazioni a favore dell’allineamento tra bilanci bancari e bilanci delle imprese debitrici in “Fuori dalla trappola dei crediti deteriorati….”, in Gli Stati Generali, 5/4/17.

[13] L’ipotesi di “Cedere i debiti ai debitori” sembra sia stata formulata all’Ecofin tenutosi quest’anno a Malta ad aprile. Ne riferiscono R. Lungarella e F. Vella su “La voce. Info” del 16/5/17.

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