Premessa – 1. Ricostruzione del fatto e principio di diritto. – 2. L’atteggiarsi degli obblighi informativi: l’adeguatezza nell’attività di consulenza. – 3. Il difetto informativo causa di una scelta irrazionale e inconsapevole. Responsabilità precontrattuale dell’intermediario.
Premessa.
Con un recentissimo provvedimento[1], l’Arbitro Bancario Finanziario (in seguito, ABF), senza soluzione di continuità con le ultime risultanze della giurisprudenza di legittimità, ha statuito che, in sede di investimenti e gestione dei portafogli, un’informazione generica e generale circa le caratteristiche delle componenti elementari di un prodotto derivato over the counter (in seguito, OTC) non possa minimamente ritenersi coerente con il corretto adempimento dell’onere informativo, normativamente gravante sugli intermediari, e, quindi, debba qualificarsi del tutto insufficiente a legittimare la consapevolezza del cliente – investitore sulla complessiva fisiologia dell’investimento. Il Collegio arbitrale ha ritenuto, in definitiva, che senza una dettagliata e puntuale informazione, in merito a tutte le componenti tipiche del prodotto e del servizio offerto (ovverosia, rischio, effetto leva, liquidità del prodotto, volatilità del prezzo), che non può, peraltro, estrinsecarsi in un utilizzo generalizzato di moduli informativi prestampati e standardizzati, si palesi una violazione delle norme specificamente poste a tutela del risparmiatore, nonché, prioritariamente, della clausola generale di buona fede in fase precontrattuale, e, segnatamente, del dovere di trattare in modo leale, rifuggendo da comportamenti reticenti.
1. Ricostruzione del fatto e principio di diritto.
La controversia de qua è incentrata sulla validità ed efficacia di un finanziamento, erogato dall’Istituto di Credito resistente, funzionalizzato all’acquisto di un prodotto denominato “derivato OTC”, a copertura del rischio di eventuali oscillazioni del tasso di interesse, nell’ambito di un mutuo ipotecario a tasso variabile (c.d. hedging).
Scopo esclusivo ed espressamente dichiarato del contratto concernente il prodotto derivato, sottoscritto contestualmente a quello di concessione del mutuo ipotecario, era quello di “cautelarsi contro gli eventuali effetti delle variazioni dell’indice di riferimento (EURIBOR 3 MESI + 0,10 x 360/365) che potrebbero intervenire nel corso dell’ammortamento” del mutuo.
Evidente, quindi, lo stretto collegamento negoziale tra i due contratti, rafforzato, peraltro, dalla circostanza, anch’essa testuale, della sinallagmaticità circa la durata di entrambi i rapporti contrattuali; come testualmente riportato nella decisione, la durata del contratto di acquisto del derivato era convenutafino alla scadenza del termine finale del piano di ammortamento del mutuo, e, laddove il mutuo fosse stato estinto totalmente in via anticipata, lo stesso contratto e le operazioni poste in essere in base allo stesso sarebbero dovute essere intesi automaticamente estinti per il venir meno dell’oggetto della copertura[2].
I ricorrenti, dopo aver provveduto all’estinzione anticipata del mutuo, chiedevano, avvalendosi delle riportate previsioni contrattuali, alla Banca resistente di procedere alla contestuale estinzione di ogni rapporto connesso e, al contempo, revocavano l’autorizzazione a procedere a ulteriori addebiti in conto corrente. La resistente non procedeva all’estinzione del contratto concernente il derivato OTC, dichiarando sussistente un ulteriore contratto di finanziamento, per il tramite del quale ai ricorrenti era stata erogata una somma, pari complessivamente a circa 26.000,00 euro, con la quale lo stesso Istituto di Credito aveva provveduto a pagare il premio unico corrisposto in via anticipata inerente al CAP oggetto di doglianza, come asseritamente riportato, in maniera chiara, nelle prescrizioni contrattuali del Contratto Quadro Derivati OTC, regolarmente sottoscritto dai ricorrenti, nel “modulo d’ordine relativo ad operazioni in derivati OTC”, anch’esso regolarmente sottoscritto, nonché nella successiva conferma di esecuzione dell’ordine, recante, in calce, le sottoscrizioni dei clienti – ricorrenti. A parere dell’ABF, nell’ambito di operazioni sugli strumenti finanziari OTC, la mera consegna al cliente – risparmiatore del contratto quadro non può assolutamente ritenersi bastevole ai fini del corretto adempimento dell’obbligo informativo specificamente previsto dall’art. 21 TUF, dal momento che gli intermediari sono istituzionalmente gravati dalla puntuale verifica del livello di conoscenza ed esperienza del singolo investitore e dalla conseguente ponderazione di quest’ultimo con quello necessario per la comprensione certa dei rischi che lo strumento e il servizio di investimento offerto e/o richiesto intrinsecamente presenta. Un’informazione generale e generica, secondo il Collegio, sulle caratteristiche delle componenti derivate elementari non può minimamente assurgere una funzione di concreta implementazione di quell’onere informativo, normativamente posto a tutela del contraente più debole, che, viceversa, si compone di una dettagliata comunicazionee puntuale analisi relativamente al rischio, alla liquidità del prodotto, alla volatilità del prezzo, entrambe parametrate alla specificità dello strumento.
2. L’atteggiarsi degli obblighi informativi: l’adeguatezza nell’attività di consulenza.
Ai fini che qui interessano, pare opportuno intraprendere una sintetica digressione sui canoni normativo – valutativi della compatibilità tra ogni singola operazione finanziaria, lo specifico profilo del cliente – risparmiatore e il corretto adempimento dell’onere informativo. Sebbene, infatti, sia indubitabile che specifiche censure sulla presunta inadeguatezza o inappropriatezza della proposta del prodotto derivato, in relazione al profilo di rischio del cliente, esulino da riverberi diretti sulla concreta stipulazione del contratto finanziario (non fosse altro perché un eventuale giudizio di inadeguatezza e/o inappropriatezza dell’operazione non avrebbe, comunque, comportato l’insorgere automatico e inderogabile di un divieto di sottoscrizione del prodotto), non di meno, l’elusione intenzionale dei summenzionati canoni e, segnatamente, dei loro specifici corollari applicativi, assurge (o, perlomeno, potrebbe) a potenziale fonte di responsabilità, precontrattuale, dell’intermediario, che, disattendendo quell’attività “assistenzialista” di supporto ed esplicazione informativa, pone in essere una condotta astrattamente idonea a ledere il sempiterno parametro della dovuta diligenza[3].
Nell’attività di gestione individuale di portafogli, come in quella strettamente di consulenza, la posizione dell’intermediario è indubbiamente caratterizzata dall’attribuzione di un ampio margine di discrezionalità, che vede quale unico argine la protezione del risparmiatore – investitore tramite il monolite dell’adeguatezza che, di per sé, impone un comportamento più rigoroso rispetto a quanto previsto, dall’affine canone dell’appropriatezza, per il servizio di negoziazione, in contro proprio o di terzi, ricezione e trasmissione di ordini e collocamento[4]. Il maggiore rigore applicativo sotteso all’adeguatezza trova ulteriore conferma ove si consideri che tale prescrizione valutativa, che, su un piano strettamente pragmatico assume fattezze di un dovere fiduciario, abbia un carattere trasversale rispetto all’origine dell’operazione da eseguire e alla provenienza dell’impulso a porla in essere. È, in effetti, indubitabile che la regola sull’adeguatezza delle operazioni debba necessariamente trovare fattiva applicazione tanto in relazione alle operazioni effettuate su istruzione del cliente, quanto, specialmente, a quelle discrezionali, delegate all’autonomia dell’intermediario e poste in essere da quest’ultimo[5].
La disciplina del Regolamento CONSOB n. 16190/2007 non rappresenta altro che una dettagliata estrinsecazione dei criteri orientativi generali per le prestazioni di servizi e attività di investimento, già puntualmente rassegnati dall’art. 21 TUF. La specializzazione normativa ha importato quale immediata conseguenza la bipartizione dell’onnicomprensivo obbligo comportamentale di diligenza, correttezza e trasparenza, rigorosamente imposto per la massimizzazione e ottimizzazione dell’interesse del cliente e dell’integrità dei mercati, negli oneri informativi passivi e in quelli attivi, includendo nella prima categoria i precetti di derivazione comunitaria know your customer rule e know your merchadise rule[6], ovvero la più intima ed essenziale struttura di quell’attività propedeutica e presupposta al servizio di investimento più propriamente inteso e che si sviluppa sulle direttrici dell’adeguatezza e appropriatezza[7]. Ai fini che qui interessano, dal tenore letterale delle disposizioni normative, appare senz’altro lapalissiano che intento del legislatore fosse quello di istituire un efficace climax di stampo “assistenzialista” tra le due matrici regolamentari, ponendo la prima, che esprime una regola di solidarietà finalizzata a scongiurare il suicidio economico dell’investitore[8], a presidio della verifica circa la compatibilità della specifica operazione consigliata e/o realizzata con gli obiettivi di investimento del cliente (art. 40, comma 1, lett. a), con la capacità finanziaria di quest’ultimo di accollarsi e sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento (art. 40, comma 1, lett. b) e con l’effettiva comprensione dell’alea di rischiosità propria dell’operazione o della gestione patrimoniale (art. 40, comma 1, lett. c), e assumendo la seconda alla stregua di compiuta ponderazione del livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere chiaramente i rischi implicitamente connessi al singolo strumento finanziario e servizio di investimento, sia esso offerto o richiesto. In tal senso, gli intermediari sono istituzionalmente gravati dall’obbligo di valutare l’appropriatezza dell’operazione proposta, cioè il livello di esperienza e di conoscenza del singolo cliente e raffrontarlo, conseguentemente, con quello asseritamente necessario per la totale e inequivoca comprensione dei rischi intrinseci nello strumento e nel servizio di investimento proposto[9]. Tutta questa complessa e puntuale procedura valutativa, preventiva e propedeutica all’operazione di investimento, è espressamente tratteggiata nell’art. 42 del Regolamento CONSOB n. 16190/2007, che riempie contenusticamente quel concetto di “valutazione dell’appropriatezza” (che è, efficacemente, rubrica della stessa disposizione codicistica), prevedendo, in un’ottica strettamente protezionistica del soggetto più debole, nella prestazione di tutti i servizi per l’investimento, una presunzione di consapevolezza solo ed esclusivamente con riferimento ai clienti puntualmente profilati come professionali (comma 2) e l’obbligo di una necessaria tempestiva avvertenza, argomentata in termini specifici, laddove lo strumento o il servizio non sia appropriato per il cliente o potenziale cliente.
Simmetricamente, il lato attivo dell’onere informativo si traduce nella consegna ai clienti, in un momento sicuramente antecedente alla vincolatività contrattuale, di informazioni corrette, chiare, comprensibili e appropriate, per consentire e facilitare una ragionevole comprensione della natura del servizio di investimento e dello specifico tipo di strumenti finanziari interessati e la correlata rischiosità. Il percorso verso l’auspicata consapevolezza sottesa all’investimento, obiettivo ultimo del legislatore, è dettagliato dalle disposizioni ex art. 31 del Regolamento CONSOB n. 16190/2007, che rassegna, nel novero degli elementi assoggettati all’obbligo di comunicazione: i rischi connessi, compresa una spiegazione dell’effetto leva e della sua incidenza, nonché il rischio di perdita totale dell’investimento; la volatilità del prezzo di tali strumenti ed eventuali limiti di liquidabilità dei medesimi; l’eventuale assunzione, a seguito di operazioni su tali strumenti, di impegni finanziari e altre obbligazioni aggiuntive, comprese eventuali passività potenziali, ulteriori rispetto al costo di acquisizione degli strumenti.
Nella controversia posta ad oggetto della decisione in commento, riservando un più puntuale approfondimento nel prosieguo, pare del tutto evidente la violazione di entrambe le categorie di oneri informativi e la problematica attiene all’operazione nel suo complesso,.
3. Il difetto informativo causa di una scelta irrazionale e inconsapevole. Responsabilità precontrattuale dell’intermediario.
L’analisi del Collegio arbitrale prende avvio dalla circostanza, inequivoca quanto pacifica, della mancanza di un contratto di finanziamento debitamente sottoscritto, con la conseguenza che non è dato avere prova materiale certa circa il corretto adempimento dell’onere informativo da parte dell’intermediario, ovverosia se quest’ultimo abbia effettivamente informato il risparmiatore – odierno ricorrente, non tanto sulla mera natura del contratto da porre in essere, quanto, piuttosto, sui suoi elementi essenziali[10]; del pari indubitabile è che l’erogazione del finanziamento, pur nell’evidenziata assenza di un contratto, sia fattivamente avvenuta e che l’importo corrisposto sia stato utilizzato per il pagamento del derivato OTC a copertura.
È fuor di dubbio che i prodotti derivati siano strumenti complessi, destinati a investitori professionali, o, quantomeno, evoluti, che sappiano sfruttare le numerose opportunità che offrono e, nel contempo, siano in grado di valutare e gestire correttamente i relativi rischi, che sono notevoli[11]. Del tutto evidente è, parimenti, che il problema, connaturato nei mercati finanziari, della forte asimmetria nella detenzione e possesso delle informazioni si accentui considerevolmente in relazione ai mercati c.d. OTC[12], acronimo che cela la sostanziale non – regolamentazione delle dinamiche di contrattazione.
Nella fattispecie de qua, la Banca ha abbinato alla concessione del mutuo ipotecario un contratto concernente prodotti derivati OTC, con finalità di copertura, ovverosia nella prospettiva di minimizzare il potenziale rischio di un rialzo dei tassi di interesse. Un siffatto collocamento impone una stringente tutela dei profili di trasparenza e di correttezza nel comportamento dell’intermediario, sicuramente assoggettata ad un’automatica accentuazione laddove i soggetti contraenti siano stati profilati come consumatori.
Il derivato OTC ha ad oggetto uno scambio di differenziali a determinate scadenze e la sua causa risiede in una scommessa che ambo le parti assumono[13]. Assunte queste premesse, affinché il contratto possa qualificarsi come validamente posto in essere, pare evidente come l’alea di rischiosità connaturata debba essere consapevolmente assunta da entrambe le parti contraenti: la “scommessa” deve presentarsirazionalee, al tempo stesso, consapevole. La razionalità deve ritenersi sussistente a prescindere dall’intento sottostante alla conclusione del contratto, ovverosia è elemento trasversale sia all’acquisto del derivato con funzione di mera copertura, che a quello strettamente speculativo (c.d. trading) ed è compiutamente implementata solo laddove gli scenari probabilistici e le conseguenze del verificarsi degli eventi siano stati definiti e resi conoscibili, ex ante, con certezza, al risparmiatore[14].
Rappresenta ormai consolidata attestazione giurisprudenziale la circostanza che gli scenari probabilistici (insieme al mark to market e al modello di calcolo) non possano essere elementi passibili di occultamento da parte dell’intermediario, che, del tutto simmetricamente, deve attivamente portarli alla conoscenza, effettiva, del cliente, in un momento antecedente alla conclusione del contratto di acquisto. Tale considerazione non vede limitata la sua portata operativa neppure in relazione al diverso atteggiarsi della funzione del prodotto derivato: lo scopo di hedging in egual misura di quello di trading assurgono al più a motivi unilaterali[15] e a causa concreta[16], significativamente rilevanti ai fini del giudizio circa la diligenza della Banca e, segnatamente, di verifica dell’effettiva adeguatezza dell’operazione[17].
Dalla conoscibilità, in astratto, e dalla conoscenza, in concreto, degli scenari probabilistici deriva l’importanza, del tutto equipollente a quella della razionalità, del richiamo alla corretta formazione del necessario livello di consapevolezza in capo al risparmiatore, in sede di sottoscrizione del contratto concernente il prodotto derivato. Dall’imponente mole di prescrizioni comportamentali rassegnate è conseguenza pressoché immediata che ciascun cliente – risparmiatore, debba giungere all’atto di acquisto di un prodotto finanziario complesso, essendo stato preliminarmente notiziato degli elementi essenziali dell’oggetto acquistando. È intrinsecamente sottesa al concetto stesso di adeguatezza dell’operazione la capacità del cliente di saper comprendere compiutamente i rischi concernenti l’operazione e il servizio di investimento consigliati. In tal senso, la consegna al cliente, contestualmente alla stipulazione del contratto, del “Contratto quadro per operazioni su strumenti finanziari derivati” e del “Documento informativo sugli strumenti finanziari derivati OTC” non può considerarsi sufficiente per il corretto adempimento dell’obbligo informativo a carico della Banca, ex art. 21 TUF[18]. Non è, infatti, bastevole una spiegazione generale delle caratteristiche delle componenti derivative elementari, ma è necessaria una dettagliata e puntuale informazione in merito al rischio, all’effetto leva, alla liquidità del prodotto, alla volatilità del prezzo, ovverosia tutte componenti che devono essere analizzate tenendo conto della specificità dello strumento, non essendo ammissibile l’utilizzo di moduli informativi prestampati e standardizzati[19].
Se la Banca avesse rappresentato correttamente tutti gli aspetti rilevanti in merito allo strumento finanziario stipulato, il ricorrente sarebbe stato in grado di valutare consapevolmente la convenienza economica dell’operazione finanziaria, possibilità, nella fattispecie de qua, preclusa totalmente. L’onere probatorio, in capo all’intermediario, circa il corretto adempimento della preventiva valutazione di compatibilità, è indubbiamente aggravato dalla circostanza che la sussistenza di un’effettiva consapevolezza, fondata su di una presunta specifica e precedente competenza ed esperienza in operazioni analoghe, per materia e rischi, a quella da porre in essere, asserita dallo stesso cliente, non è più normativamente bastevole a qualificare come attenuati, prima, e validamente assolti, poi, gli obblighi informativi. Affinché un cliente possa essere classificato come “operatore qualificato”, infatti, non è più sufficiente una sua dichiarazione in cui asserisca di possedere determinate conoscenze, mentre è necessario che l’intermediario sottoponga il cliente a uno specifico test conoscitivo, onde valutarne, in concreto, le competenze. Si verifica, quindi, un inasprimento valutativo delle competenze del singolo investitore, nell’ottica di massimizzare la protezione di quest’ultimo[20].
Dalla documentazione allegata, non emerge in alcun modo che l’intermediario abbia illustrato e prodotto ai clienti un’analisi dello scenario da condursi mediante simulazioni effettuate con metodologie oggettive. Senza informazioni specifiche sul profilo di rischio, ricostruito anche attraverso il ricorso agli scenari probabilistici, l’investitore non è stato in grado di formulare un giudizio di convenienza economica del derivato di copertura offerto con riferimento al contratto di mutuo. Se la Banca avesse correttamente rappresentato tutti gli aspetti rilevanti in merito allo strumento finanziario, i ricorrenti sarebbero stati posti nelle condizioni di valutare con l’indispensabile consapevolezza la convenienza dell’operazione economica.
È d’uopo attenzionare, peraltro, l’evidente circostanza per cui, del tutto differentemente dai prodotti finanziari per i quali la trasparenza (su valori, costi e rischiosità) è intrinsecamente garantita, relativamente alle operazioni inerenti strumenti negoziati al di fuori di un mercato liquido e trasparente (per l’appunto over the counter), diviene assolutamente connotazione indefettibile e intimamente necessaria l’innalzamento, ai massimi livelli, dei meccanismi di disclosure da parte degli intermediari, nel loro relazionarsi con la clientela, in maniera equipollente nella fase prodromica di proposizione e offerta delle operazioni di investimento (c.d. trasparenza ex ante) e in quella successiva al perfezionamento di quest’ultima (c.d. trasparenza ex post)[21]. In altri termini, al consumatore può consentirsi di scommettere solo dopo avergli fatto conoscere il grado di rischio assunto, tanto più considerando che, per contro, l’intermediario ha perfetta conoscenza del medesimo rischio, avendolo presumibilmente misurato e avendo predisposto su di esso lo strumento finanziario a copertura.
E’ fuor di dubbio che informare non è solo determinante, ma anche propedeutico all’obbligo di verificare la conformità dell’operazione al profilo soggettivo del singolo cliente. Consentire decisioni in materia di investimenti “con cognizione di causa” rientra tra le prestazioni che l’intermediario finanziario deve garantire. L’informazione assume un ruolo pedagogico finalizzato ad accrescere la volontà dell’investitore soprattutto laddove rivesta la qualità di consumatore.
La circostanza fattuale della mancanza del contratto di finanziamento e dell’informativa sul credito ai consumatori, l’assenza, tanto nell’ordine di acquisto quanto nel contratto quadro, di qualsivoglia espresso riferimento al finanziamento sotteso al premio dovuto, nonché, aggravio ulteriore, l’elusione di ogni riferimento, nella documentazione del rapporto di copertura, alla sussistenza di effetti restitutori legati funzionalmente ad un’eventuale estinzione anticipata (né, tantomeno, un’analisi descrittiva delle esatte modalità di calcolo del controvalore del prodotto finanziario)[22] sono elementi che consequenzialmente denotano un evidente e grave deficit informativo e di chiarezza sull’intera operazione. I ricorrenti non sono stati, quindi, minimamente posti in quelle condizioni, normativamente tratteggiate, di comprensione piena e specifica delle concrete modalità di realizzazione dell’operazione e della portata complessiva dell’impegno restitutorio sugli stessi gravante. Si assiste, conseguentemente, all’elusione, da parte dell’intermediario di quel dovere normativo e, forse, prima ancora, etico di operare e contribuire attivamente al perseguimento dell’interesse del cliente, che non può, se non compiendo una forzatura sistemica, appiattirsi sulla mera comunicazione di informazioni necessitata per legge.
Nella procedura di valutazione della corretta implementazione dell’obbligo “solidaristico” si dovrà necessariamente attenzionare anche l’effettivo realizzarsi di tutta quell’attività complementare, di supporto continuativo e corretta collaborazione (rappresentata, a titolo esemplificativo, dalle raccomandazioni sugli investimenti), che, prescindendo dalla formale sottoscrizione di un contratto di consulenza, è propedeutica all’orientamento del cliente nella singola operazione e alla formazione del suo agire consapevole[23]. L’art. 21 TUF, nei termini sopra rassegnati, dispone che il cliente – risparmiatore debba essere sempre informato in maniera adeguata e un siffatto dovere gravante sull’intermediario è intrinsecamente connesso alla prestazione dei servizi d’investimento: pare evidente, in definitiva, come la normativa esprima la necessità di massimizzare la tutela offerta al soggetto asseritamente “svantaggiato”, mediante la previsione di un meccanismo modulatore dell’informazione, finalizzato alla contestuale prevenzione di eventuali condotte abusive dell’intermediario e alla costruzione, effettiva, di idonee garanzie, tramite una selezione della informazioni da comunicare, per il risparmiatore, nella fase preliminare quanto in quella esecutiva del rapporto[24]. Il difetto di una siffatta, continuativa, attività coadiuvante, equivale a un inadempimento dell’intermediario ed è a tale conclusione obbligata che giunge l’ABF, certificando che la Banca, con la condotta posta in essere, abbia violato diverse norme a tutela del cliente – risparmiatore, in relazione sia alla disciplina del testo unico bancario che a quella del testo unico finanziario[25]. L’investitore non può essere in grado di intraprendere la formulazione di un giudizio di convenienza economica (ovverosia, di valutare correttamente il trittico costi – rischi – benefici) del prodotto derivato offerto ove non gli siano state fornite dall’intermediario, prima della stipulazione, informazioni specifiche sul profilo di rischio e, segnatamente, sugli scenari probabilistici, il valore del mark to market alla data di stipulazione, i criteri con cui determinare i costi di recesso e/o sostituzione[26].
Un ormai granitico assioma giurisprudenziale[27] associa la violazione, nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto, dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni, entrambi indistintamente posti a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento, all’archetipo della responsabilità precontrattuale, facendone derivare, quale conseguenza di stampo sanzionatorio, l’obbligo di risarcimento dei danni[28].
A parere del Collegio, l’ambito di rilevanza e operatività della responsabilità precontrattuale non può essere assoggettato a un’irragionevole opera di ridimensionamento, che, in ultima analisi, conduca forzosamente a farlo coincidere esclusivamente con le sole ipotesi in cui il comportamento non in buona fede sia stato causa efficiente del mancato addivenire alla conclusione del contratto o, parimenti, abbia determinato la conclusione di un contratto invalido ovvero originariamente inefficace. Nell’alveo tracciato dall’art. 1337 c.c. deve poter essere legittimamente ricondotta anche la circostanza del contratto validamente concluso, ma che sia stato preceduto da una fase preliminare e prodromica gravemente viziata. La summenzionata disposizione codicistica, infatti, non può ritenersi circoscritta, se non compiendo una grave forzatura, all’ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, e assurge al valore di clausola generale, implicante il dovere, diffuso, di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti reticenti. In un contesto così tratteggiato, assume indefettibile rilevanza la centralità della matrice informativa delle regole di condotta, che sono state oggetto di precedente rassegna e che inequivocabilmente, concorrendo a spogliare l’intermediario da quel vantaggio informativo ontologico, quasi da posizione, sono funzionalizzate, nella prospettiva di una riequilibratura quanto più possibile tollerabile dal sistema, alla rimozione dell’asimmetria informativa e alla sanatoria di tutte le sacche di inefficienza del mercato. In una prospettiva più marcatamente ideologica (ma, al contempo, dagli evidenti riverberi pragmatici), la libertà contrattuale non può transitare da una persistente disuguaglianza sociale, interna al contratto: la prospettiva non può che essere, quindi, quella di creare, mediante gli schemi civilistici tradizionali, una relazione contrattuale giusta ed equilibrata, frustrando sul nascere ogni eventuale utilizzo intenzionalmente doloso di qualsiasi vantaggio conoscitivo[29]. Il richiamo del concetto civilistico di buona fede rappresenta il punto più nitido della convergenza tra il settore dell’intermediazione finanziaria e lo ius commune, oltre ad aver concretizzato la ratio giustificatrice dell’allargamento dei doveri di informazione precontrattuale[30].
La clientela retail, stante la connaturata minore esperienza e conoscenza finanziaria, si trova forzosamente costretta a dover riporre il massimo affidamento nell’assistenza dell’intermediario, specialmente in relazione alla descritta valutazione di adeguatezza[31] dell’operazione, nonché alla definizione delle condizioni economiche da applicare a quest’ultima, non essendo in grado di ponderarne con propri mezzi la congruità, anche, il più delle volte, in un momento successivo alla sua conclusione[32].
Nel complesso meccanismo connaturante il mercato retail, si assiste a una contingentata identificazione della figura dell’intermediario con quella dell’interlocutore fiduciario: il risparmiatore non professionale è fisiologicamente orientato ad affidarsi ciecamente alla controparte contrattuale, delegandole finanche il potere decisionale sull’investimento da effettuare, poiché non in grado di gestire ed effettuare una scelta in autonomia[33]. L’elisione di quella funzione strutturale dell’intermediario intrinsecamente votata all’attuazione dell’onere informativo trascina dietro di sé, in una siffatta dinamica, la vulnerabilità del cliente. L’affidamento “da incapacità colposa” di quest’ultimo è formalmente coadiuvato dall’utilitarismo dell’intermediario[34], che, pur tuttavia, riservando la prospettiva ideologico – ausiliatrice a contesti più meritevoli, materialmente, esercita un assoggettamento, dagli eccessi del quale il protezionismo normativo si erge a valida tutela, tipizzando una responsabilità precontrattuale.
La tratteggiata criticità è amplificata, nella generalità dei casi, dalla frequente coincidenza del ruolo di intermediario con quello di emittente, e, in sede di contrattazione in derivati OTC (a differenza di quella in derivati cosiddetti uniformi) ulteriore aggravio è il naturale stato di conflittualità tra intermediario e investitore, direttamente dipendente[35]: dall’assommarsi, nel medesimo soggetto, delle qualità di offerente e di consulente; dalla centralità, in relazione all’atteggiarsi futuro del rapporto, della disciplina contrattata; dal fatto che i derivati siano prodotti di secondo livello, adattabili alle specifiche esigenze delle controparti (su tutte, scadenza, tipologia del sottostante, liquidazione di profitti e perdite); dall’evidente interesse dell’intermediario, in qualità di portatore di un proprio interesse economico, a costruire e proporre un prodotto che possa risultare svantaggioso o inadatto al cliente, in quanto “fabbricato” o rinegoziato in termini geneticamente o successivamente alterati in sfavore della controparte. Il conflitto d’interessi può, peraltro, derivare dalla, tutt’altro che trascurabile, circostanza che l’intermediario possa essere gestore[36] di operazioni di segno uguale o contrario, riconducibili a clienti diversi, influenzate dalla necessità di collocare prodotti sul mercato, anche solo per esigenze utilitaristiche di riposizionamento e di copertura[37].
La peculiarità insita nel mercato dei capitali è che l’investitore non acquista valori mobiliari, selezionandoli meramente in base alle loro caratteristiche formali, ma, più concretamente, giunge al convincimento circa la propria decisione d’investimento assumendo quali criteri orientativi il potenziale andamento successivo ed effettivo dell’investimento, ipotizzabile solo per il tramite dell’attività prognostica elaborata dall’intermediario o, comunque, realizzabile grazie alle informazioni fornitegli da quest’ultimo; ritorna prepotentemente, quindi, la centralità assoluta dell’esatto e corretto adempimento di tutti quegli oneri informativi, passivi e attivi, precedentemente oggetto di trattazione, non fosse altro perché ragionevolmente rappresentano l’unico e affidabile mezzo per generare, compiutamente, ilconsenso informato del risparmiatore investitore e non una mera accondiscendenza fiduciaria[38].
Il Collegio perviene a concludere, in maniera pressoché necessitata, che, ove i ricorrenti fossero stati correttamente informati sulla natura del prodotto finanziario derivato OTC, non avrebbero sottoscritto l’operazione di acquisto e non avrebbero concluso il contratto di finanziamento funzionale alla sottoscrizione del derivato hedging, e che conseguenza immediata e diretta, sul piano sanzionatorio, delle violazioni informative e degli obblighi comportamentali rassegnate, è che i risparmiatori – ricorrenti debbano essere tenuti indenni, dall’intermediario, dal maggior aggravio economico determinato dal comportamento di quest’ultimo, incidente su aspetti essenziali della conoscenza e della valutazione del prodotto finanziario[39].
[1] V. ABF, Collegio di Roma, 2 febbraio 2017.
[2] Era ulteriormente previsto che “in caso di scioglimento, per qualsiasi ragione o causa intervenuta, del contratto unico titoli, del contratto di mutuo e/o del contratto di conto corrente, il contratto si intenderà, in ogni caso, risolto con effetto immediato e la banca dovrà darne comunicazione al cliente”.
[3] In tal senso, ABF, Collegio di Milano, decisione n. 3656 del 7 novembre 2012.
[4] Così, C. Mosca, Collocamento e offerta al pubblico. Riflessioni su una relazione non strettamente necessaria, in Rivista delle Società, 4/2016, pag. 648.
[5] Così, F. Sartori, L’adeguatezza delle operazioni: regole di azione e rimedi, in Il Caso.it, Sezione II – Dottrina, opinioni e interventi,documento n. 26,7 aprile 2004, pag. 3.
[6] Sul punto, F. Greco, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Responsabilità Civile e Previdenza, 3/2014, 931 ss.
[7] Così, U. Patroni Griffi, L’oggetto dei contratti su derivati nella giurisprudenza più recente, in Rivista di Diritto Bancaria, 10/2016.
[8] Così, F. Sartori, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettività delle regole di condotta, in ilcaso.it, 159/2009.
[9] Sul punto, E. Rulli, Osservazioni sull'adeguatezza per dimensione di un investimento e distribuzione dell'onere della prova tra cliente e intermediario, in Banca Borsa Titoli di Credito, 6/2013, 689 ss.
[10] In tal senso, ABF, Collegio di Milano, decisione n. 3656 del 7 novembre 2012.
[11] Così, I principali prodotti derivati. Elementi informativi di base, CONSOB, ottobre 2012, in Consob.it. V. anche, F. Bochicchio, Le antinomie del diritto dei derivati: proposta di soluzione, in Riv. dir. banc., 7/2015, dirittobancario.it.
[12] Così, F. Sartori, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettività delle regole di condotta, in ilcaso.it, 159/2009.
[13] Sul punto, F. Greco, La violazione della regola della trasparenza nel mutuo con tasso floor ed il problema della scommessa razionale nel derivato implicito, in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc. 1, 2015.
[14] Così, App. Milano, Sez. I, 18 settembre 2013, n. 3459.
[15] Sulla differenziazione, N. Benini, Strumenti finanziari derivati: premesse al corretto utilizzo, in Riv. dir. banc., ottobre 2005, dirittobancario.it.
[16] V. App. Trieste, Sez. II, 3 maggio 2013, n. 141. Sul punto, A. Zuccarello, In nota alla recente giurisprudenza in materia di contratti derivati: il concetto di “alea razionale” quale criterio di valutazione della validità della causa, in Riv. dir. banc., 3/2014, dirittobancario.it.
[18] Sul punto, Cass. Civ., Sez. I, 3 aprile 2017, per cui «l'obbligo di diligenza, correttezza e trasparenza posto a carico dell'intermediario nella negoziazione di titoli ex art. 21, comma 1 lettere a) e b) del d.lgs n. 58 del 1998 così come puntualizzato negli artt. 26 e 28 (quest'ultimo integrato dall'allegato 3) del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, richiede sia una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario, alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (es. rating; offering circular; caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato), senza che possa giustificarsi il deficit delle informazioni assunte dall'intermediario sulla base della dimensione locale di esso e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli sia un'informazione delle caratteristiche del prodotto concreta e specifica alla luce di tutti gli indicatori desumibili dall'art. 28 del Regolamento Consob così come integrato dall'allegato 3 al testo normativo.».
[19] Sul punto, Regolamento CONSOB, artt. 32 ss. e Comunicazione CONSOB n. 9019104/2009, punti 1.1 ss.
[20] Così, App. Milano, 26 maggio 2016, n. 2069.
[21] Così, CONSOB, Il dovere dell’intermediario di comportarsi con correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, 26 maggio 2008, in Consob.it. Sul punto, U. Patroni Griffi, I contratti derivati: nozione, tipologia e peculiarità del contenzioso, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 23, 2012.
[22] La carenza documentale, peraltro, rende impossibile compiere una valutazione circa l’effettiva finalità di copertura del prodotto derivato. A tal proposito, infatti, secondo la giurisprudenza, occorre il derivato appaia coerentecon le caratteristiche dell’esposizione del cliente (importo, durata e valute). L’offerta di un prodotto derivato incongruo è elemento sintomatico di una potenziale responsabilità in capo all’intermediario, rappresentando una violazione grave dei doveri di diligenza, correttezza, trasparenza e buona fede. Sul punto, Trib. Milano, Sez. VI, 18 maggio 2015, n. 6175.
[23] Così, I. Margelli, Brevi note in tema di analisi civilistica dei contratti derivati, in Riv. dir. banc., 6/2014, dirittobancario.it.
[24] Così, F. Greco, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Responsabilita' Civile e Previdenza, 3/2014, 931 ss.
[25] Sulla responsabilità da inosservanza delle norme di comportamento, F. Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Milano, 2010. V. anche, F. Sartori, Violazione delle regole informative e modelli di responsabilità , in L’attuazione della Mifid in Italia, a cura di R. D’Apice, Bologna, 2010, 615 ss.
[26] V. Trib. Milano, 13 febbraio 2014, n. 2145.
[27] Sul punto, Cass., SS. UU., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, con nota di A. Bove, Le violazioni delle regole di condotta degli intermediari finanziari al vaglio delle Sezioni unite, in Banca Borsa Titoli di Credito, 2/2009, 143 ss. Residua, viceversa, nella responsabilità contrattuale, con eventuale risoluzione del contratto, la violazione riguardante le operazioni compiute in esecuzione al contratto quadro.
[28] Sul punto, V. Sangiovanni, Omessa informazione sulla rischiosità dell’investimento e risoluzione del contratto,in Magistra, Banca e Finanza – www.magistra.it – ISSN: 2039-7410, 28 ottobre 2009.
[29] Così, F. Sartori, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettività delle regole di condotta, in ilcaso.it, 159/2009.
[30] Così, F. Sartori, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettività delle regole di condotta, in ilcaso.it, 159/2009.
[31] In tema di contratti di swap, la valutazione relativa all’adeguatezza implica che l’intermediario debba procedere a formulare un giudizio sull’operazione finanziaria tale da garantire ai clienti le informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, presupposti indefettibili per una scelta consapevole. Così, Trib. Novara, 08 febbraio 2010, n. 110.
[32] V., Comunicazione CONSOB n. 9019104/2009.
[33] Così, A. Perrone, Servizi di investimento e regole di comportamento. Dalla trasparenza alla fiducia, in Banca Borsa Titoli di Credito, 1/2015, 31 ss.
[34] Sul punto, F. Greco, Rileggere le regole dell’informazione nel rapporto tra intermediario e risparmiatore, in Responsabilita' Civile e Previdenza, 3/2014, 931 ss.
[35] Sul punto, D. Maffeis, Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. priv., 2005, 609 ss.
[36] Sul punto, App. Milano, Sez. I, 18 settembre 2013, n. 3459.
[37] Così, Trib. Milano, 19 aprile 2011, n. 3965. Degli eventuali conflitti di interesse, della loro natura e fonte, dovrebbero, in ogni caso, essere notiziati i clienti.
[38] Così, M. De Poli, Note minime su strumenti finanziari derivati e mezzi di tutela dell’investitore, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 14, 2012.
[39] In senso conforma, ABF, Collegio di Milano, decisione n. 37 del 13 gennaio 2012.