Le opinioni espresse nel lavoro sono attribuibili esclusivamente all'autore e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell'Istituto di appartenenza. Nel citare il presente lavoro, non è, pertanto, corretto attribuire le argomentazioni ivi espresse alla Consob o ai suoi Vertici.
L’attività di vigilanza sui mercati finanziari viene principalmente demandata dalla Consob che, sulla base di un criterio di riparto di competenze funzionale, la esercita unitamente a Banca d’Italia. Al fine di garantire una maggiore efficienza dell’attività di vigilanza è stato attribuito alla Consob l’esercizio del potere sanzionatorio. Detto potere, originariamente spettante al Ministro dell’Economia, è stato attribuito alla Consob con l’introduzione di apposite disposizioni inserite nel d.lgs. n. 58/1998 (“Testo Unico Finanziario”) per effetto della legge n. 62/2005 (“Legge Comunitaria 2004”) contenente le misure di recepimento della direttiva in materia di abusi di mercato (Direttiva 2003/6/CE). Parallelamente, con la l. 28 dicembre 2005, n. 262 (“Legge sul Risparmio”) è stato riconosciuto anche alla Consob, contestualmente alle altre Autorità di vigilanza dei mercati finanziari, il potere regolamentare per disciplinarne l’esercizio. Tale potere regolamentare fu conferito contestualmente all’individuazione di alcuni principi guida che avrebbero dovuto orientarne l’esercizio [1]. Quindi, il potere regolamentare avrebbe potuto considerarsi legittimamente esercitato ove nel procedimento sanzionatorio fosse stato garantito il rispetto dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie [2].
La Consob ha esercitato il proprio potere regolamentare disciplinando originariamente le modalità di svolgimento del proprio procedimento sanzionatorio con l’adozione della delibera n. 15086 del 25 giugno 2005 (contenente l’Ordine di Servizio 24/2005). Successivamente, con l’adozione della delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013, il procedimento sanzionatorio è stato riformato radicalmente per rispondere all’esigenza di ridurre i tempi procedimentali ed incrementare l’efficienza dell’azione amministrativa. In particolare, incentrando lo svolgimento dell’attività istruttoria esclusivamente presso l’Ufficio Sanzioni Amministrative, è stato sancito il passaggio dall’originaria struttura bifasica ad una monofasica [3] al fine di consentire un dimezzamento dei termini di conclusione [4].
Nonostante l’intervenuto mutamento della struttura procedimentale abbia consentito di superare alcune delle critiche mosse in precedenza [5] la legittimità del procedimento sanzionatorio ha continuato ad essere oggetto di contestazione nel corso di numerosi giudizi di opposizione. Dette contestazioni venivano fondate sull’assunto che la struttura del procedimento non rispettasse i principi guida fissati dalla normativa primaria e, in particolare, il principio del contraddittorio. Il mancato rispetto di tale ultimo principio guida veniva contestato per una pluralità di motivi tra cui l’assenza di una disposizione procedimentale che imponesse all’amministrazione di trasmettere agli interessati la relazione conclusiva predisposta dall’Ufficio Sanzioni Amministrative. Il contraddittorio non sarebbe stato garantito in ragione del fatto che l’impossibilità di conoscere l’atto contenente la proposta sanzionatoria avrebbe impedito agli interessati di presentare eventuali ulteriori controdeduzioni rispetto alle conclusioni raggiunte dall’amministrazione sulla base delle risultanze istruttorie. Deve ricordarsi che il mancato rispetto del principio del contraddittorio in differenti giudizi fu contestato in ragione dell’assenza di una disposizione che attribuisse agli interessati il diritto di essere ascoltati personalmente innanzi al Collegio in sede di adozione del provvedimento.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre respinto dette contestazioni sulla base della considerazione che il principio al contraddittorio deve considerarsi rispettato nella misura in cui il procedimento venga strutturato in modo da garantire all’interessato la possibilità di contribuire ad una corretta ricostruzione degli eventi attraverso un’interlocuzione con l’Amministrazione. Quindi, il diritto al contraddittorio risulta garantito dal riconoscimento agli interessati del diritto di accesso agli atti in possesso dell’Amministrazione oltre che di essere ascoltati personalmente nel corso della fase istruttoria del procedimento. Inoltre, detto principio viene rispettato nella misura in cui è riconosciuto agli interessati il diritto di presentare controdeduzioni nel corso dell’istruttoria considerato che queste dovranno essere poi debitamente considerate dall’Ufficio Sanzioni Amministrative nella formulazione di una eventuale proposta sanzionatoria. La Corte di Cassazione ha ritenuto rispettato il principio del contraddittorio anche se agli interessati non viene riconosciuto il diritto di essere ascoltati personalmente innanzi al Collegio in sede di adozione del provvedimento in quanto l’adozione di tale atto costituisce l’esercizio di un potere autoritativo. In differenti occasioni, il procedimento sanzionatorio è stato ritenuto legittimo anche se all’interessato non veniva offerta la possibilità di presentare controdeduzioni avverso le determinazioni conclusive assunte dall’Ufficio Sanzioni Amministrative. Tale orientamento, deve considerarsi giustificato nella misura in cui per diritto al contraddittorio si intende il diritto di confrontarsi con l’amministrazione per garantire una corretta ricostruzione dei fatti e non, invece, per determinare l’entità dell’eventuale sanzione che potrà essere oggetto di analisi nel corso dell’apposito giudizio di opposizione innanzi all’Autorità Giudiziaria. [6]
In conclusione, costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto che il procedimento sanzionatorio Consob fosse strutturato in modo da garantire il rispetto del principio del contraddittorio in ragione del fatto che tale principio veniva considerato esclusivamente come diritto degli interessati a contribuire ad una corretta ricostruzione dei fatti contestati [7].
Detta interpretazione del principio del contraddittorio è stata, tuttavia, messa in discussione dal Consiglio di Stato che, con sentenza n. 1536 del marzo 2015, ha ritenuto illegittimo il procedimento sanzionatorio Consob nella misura in cui non viene garantito un vero e proprio diritto di difesa con contraddittorio pieno.
La nuova definizione del concetto di contraddittorio è stata introdotta dal Consiglio di Stato con una pronuncia adottata successivamente alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (“Corte EDU”) del 4 marzo 2014 (cd. “sentenza Grande Stevens”) [8].
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato si è pronunciato su un’istanza volta ad ottenere una declaratoria di illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob per contrasto con alcuni principi contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, tra cui quello del diritto ad un equo procedimento. I ricorrenti, fondavano le proprie doglianze sull’assunto che, con la sentenza Grande Stevens, la Corte EDU aveva ritenuto che il procedimento sanzionatorio innanzi alla Consob non garantisse il rispetto del diritto ad un equo procedimento, spettante a chiunque sia sottoposto ad un processo teso a verificare la fondatezza di un’accusa penale, con conseguente violazione dell’art. 6 della Convenzione [9]. Tale conclusione veniva raggiunta dall’organo giurisprudenziale sovranazionale sulla base del riconoscimento – derivante dall’applicazione dei propri criteri ermeneutici introdotti con la cd. “sentenza Engel” [10] – della natura penale alle sanzioni irrogate dalla Consob anche se alle stesse, formalmente, deve riconoscersi natura amministrativa.
Deve comunque rilevarsi che la Corte EDU, nella sentenza Grande Stevens, pur avendo rilevato che il procedimento sanzionatorio Consob non garantisse totalmente il rispetto del principio del contraddittorio, ha ritenuto comunque rispettato detto principio in ragione della possibilità di svolgere udienza pubblica in sede di un giudizio di opposizione da svolgersi innanzi ad un organo dotato di piena giurisdizione. Infatti, alla luce del potere di interpretare autonomamente i contenuti della Convenzione [11], la Corte ha ritenuto che per “procedimento sanzionatorio” debba considerarsi il procedimento sanzionatorio globalmente inteso con l’inclusione, quindi, sia della fase che si svolge dinanzi all’Autorità Amministrativa – che si può concludere con l’adozione di un provvedimento sanzionatorio – sia dell’eventuale giudizio di opposizione innanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente.
In conclusione, nella sentenza cd. Grande Stevens, la Corte EDU ha ritenuto che il diritto ad un equo procedimento non risultasse garantito dal procedimento sanzionatorio Consob anche in ragione del mancato riconoscimento del diritto a presentare controdeduzioni avverso la relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni Amministrativo ma ha, tuttavia, che tale diritto fosse complessivamente garantito nel corso dell’intero procedimento sanzionatorio [12].
Alla luce dei contenuti di tale pronuncia giurisprudenziale, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1536 del marzo 2015, ha fornito una nuova definizione del principio del contraddittorio sulla cui base il procedimento sanzionatorio Consob è risultato illegittimo. L’illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob non è stata conseguente al mancato rispetto del diritto ad un equo procedimento sancito dall’art. 6 dalla CEDU bensì del principio del contraddittorio indicato nella normativa nazionale quale principio guida che avrebbe dovuto orientare l’esercizio del potere regolamentare.
Nella sentenza in parola, dopo un’approfondita analisi della giurisprudenza della Corte EDU, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che, ad avviso di tale organo giurisdizionale sovranazionale, per le sanzioni penali che, come le sanzioni amministrative previste nel TUF, non rientrano nell’“hard core of criminal law”, le garanzie offerte dalla CEDU non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore. Quindi, il diritto ad un equo procedimento deve considerarsi rispettato stante la previsione di un’udienza pubblica in sede del successivo giudizio di opposizione che, pur svolgendosi innanzi all’autorità giudiziaria, costituisce parte integrante del procedimento sanzionatorio da intendersi nell’ampia accezione fornita dalla Corte EDU [13]. L’illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob è stata considerata diretta conseguenza del mancato rispetto del diritto al contraddittorio nella misura in cui la Relazione per la Commissione redatta “dall’Ufficio Sanzioni Amministrative della Consob non è oggetto di comunicazione (o di altre forme di conoscenza) e rispetto ad esso non vi è alcuna possibilità di controdeduzione”.
La definizione del diritto al contraddittorio fornita dal Consiglio di Stato nella sentenza in esame costituisce un unicum nel panorama giurisprudenziale che, al contrario, utilizza la diversa definizione costantemente seguita dalla Corte di Cassazione (come evidenziato nel documento di consultazione fatto circolare in occasione delle modifiche apportate dalla Consob alla propria procedura sanzionatoria) secondo cui “l’intero procedimento sanzionatorio disciplinato dalla Delib. Consob n. 15086 risulta essere pienamente idoneo ad assicurare l’invocato contraddittorio” tenuto conto che “il contraddittorio – e il diritto di difesa – nella fase amministrativa prodromica all’emanazione dell’ordinanza ingiunzione resta incentrato sul fatto, individuato in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento finale”, e non anche “sulla sanzione e sui criteri della relativa quantificazione” [14], contenuti, per la prima volta, nella relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative.
Al contrario, subendo l’influenza della Corte EDU, il Consiglio di Stato, con la sentenza in esame, ha ritenuto che il procedimento sanzionatorio Consob non garantisse sufficientemente il rispetto del diritto al contraddittorio considerato che, all’interno di un procedimento sanzionatorio, la contrapposizione d’interessi con la pubblica amministrazione renderebbe necessario garantire un contraddittorio “rafforzato” rispetto a quello ordinariamente garantito negli altri procedimenti.
Quindi, nella sentenza in esame, ponendosi apertamente in contrasto con la definizione fornita da costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato ha affermato che il “contraddittorio che si svolge nell’ambito del procedimento sanzionatorio rimane un contraddittorio di tipo verticale in cui il privato si confronta con un soggetto che non si colloca in posizione di parità, ma ha un ruolo di superiorità essendo lo stesso soggetto titolare del potere di irrogare la sanzione”. La peculiare natura del procedimento sanzionatorio, derivante dall’assenza di una posizione di parità tra le parti [15], ad avviso del Consiglio di Stato giustifica il riconoscimento di un contraddittorio rafforzato. Considerato che “il livello più alto di contraddittorio è certamente quello di matrice processuale: il contraddittorio orizzontale e paritario […] con il riconoscimento del diritto, in capo al soggetto interessato, di interloquire in ogni fase del procedimento” il Consiglio di Stato rappresenta che “il contraddittorio richiamato nei procedimenti sanzionatori della Consob sia un contraddittorio rafforzato rispetto a quello meramente collaborativo già assicurato dalla disciplina generale dei procedimenti amministrativi”. Di conseguenza, il procedimento sanzionatorio Consob si pone al di sotto dello standard di contraddittorio fissato dal legislatore mancando all’interessato la possibilità di controdedurre avverso le affermazioni contenute della relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni Amministrative in cui “possono essere contenute delle valutazioni non necessariamente oggetto di confronto durante la fase istruttoria”.
Tale pronuncia giurisprudenziale ha comportato per la Consob l’obbligo di modificare il proprio procedimento sanzionatorio prevedendo la trasmissione all’interessato della relazione conclusiva predisposta dall’Ufficio Sanzioni Amministrative onde permettere la presentazione di eventuali controdeduzioni sui contenuti di tale documento [16]. La trasmissione della relazione conclusiva ha costituito una conseguenza necessaria dell’intervenuta trasformazione del procedimento sanzionatorio Consob da procedimento inquisitorio ad accusatorio [17].
La riformulazione del diritto al contraddittorio attuata dalla giurisprudenza amministrativa non ha determinato esclusivamente la riforma del procedimento sanzionatorio Consob ma ha, altresì, influenzatol’azione del Legislatore nazionale che ha ridefinito le modalità di svolgimento del giudizio d’opposizione. Precisamente, in occasione dell’adozione della normativa di recepimento della Direttiva CRD IV – attuata con il d.lgs. n. 72/2015 – è stata introdotta una disposizione volta ad uniformare le modalità di svolgimento dei procedimenti di opposizione avverso i provvedimenti sanzionatori Consob e Banca d’Italia [18] attraverso la previsione di un rito unico in grado di garantire il rispetto del principio del contraddittorio e rimuovere la pregressa ingiustificata disparità di disciplina [19].
Quindi, la nuova definizione del principio del contraddittorio fornita dal Consiglio di Stato sotto l’influenza della Corte EDU ha determinato sia un intervento regolamentare di ridefinizione delle modalità di svolgimento del procedimento sanzionatorio Consob sia un intervento normativo di rango primario che ha comportato la ridefinizione delle modalità di svolgimento del giudizio d’opposizione.
Le suesposte conseguenze normative e giurisprudenziali della sentenza adottata dalla Corte EDU rendono opportuno lo svolgimento di alcune riflessioni non tanto sull’assenza di dialogo tra i molteplici organi giurisdizionali superiori interni quanto sui risvolti sistemici che le statuizioni dell’organismo giurisdizionale sovranazionale hanno avuto nell’ordinamento nazionale [20].
Una simile analisi non può prescindere dallo svolgimento preliminare di considerazioni sulla possibilità di riconoscere alla Corte EDU il potere di determinare la qualificazione giuridica delle disposizioni sanzionatorie dei Paesi aderenti. Ciò in quanto detto organo giurisprudenziale ha ritenuto che non fosse garantito il rispetto del principio dell’equo procedimento dopo aver attribuito natura penale alle sanzioni irrogate dalla Consob cui, formalmente, l’ordinamento nazionale attribuisce natura amministrativa.
In merito, deve considerarsi che le disposizioni contenute nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – a differenza dei principi generali contenuti nel Trattato istitutivo dell’Unione Europea – non sono direttamente applicabili nei confronti degli Stati Membri che aderiscano alla Convenzione in quanto, seppur avviata, non si è ancora conclusa la procedura di adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Quindi, ai principi di diritto convenzionali potrà riconoscersi esclusivamente il valore di principi generali di diritto dell’Unione [21] e non di principi di diritto comunitario con la conseguenza che, in caso di contrasto della normativa interna con le norme convenzionali, non è imposto l’obbligo al giudice nazionale di disapplicare la disposizione interna contrastante ma di fornirne un’interpretazione conforme alla norma convenzionale.
Non potendo riconoscersi una diretta applicabilità delle disposizioni convenzionali, l’ingresso delle stesse nell’ordinamento nazionale deve considerarsi disciplinato dagli artt. 11 e 117 della Costituzione secondo cui l’ordinamento nazionale consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. Di conseguenza, l’esercizio della potestà legislativa deve essere esercitato anche nel rispetto degli obblighi internazionali derivanti dall’adesione alla Convenzione EDU.
Pertanto, le sentenze adottate dallaCorte EDU per garantire l’applicazione delle disposizioni convenzionali nell’ipotesi di contrasto con la normativa interna dei Paesi aderenti non vincolano esclusivamente le parti coinvolte ma anche il Paese aderente. L’eventuale conflitto tra le disposizioni nazionali e quelle convenzionali deve essere rimesso alla Corte Costituzionale – garante della coerenza dell’ordinamento interno con i principi costituzionali – che, ove il contrasto non risulti sanabile in via interpretativa, potrà dichiarare incostituzionale la norma interna configgente con i principi convenzionali per violazione dell’art. 117, comma 1, della Costituzione quale norma interposta [22].
Tuttavia, i principi sovranazionali non possono porsi in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento che fungono, quindi, da “contro limiti” all’ingresso degli stessi nell’Ordinamento interno [23].
I principi fondamentali dell’ordinamento costituiscono “contro limiti” all’ingresso delle disposizioni sovranazionali [24].
Sulla base di tali considerazioni, appare necessario verificare se l’art. 25 Cost. – che sancisce l’operatività nel nostro ordinamento del principio del nomen juris quale elemento ermeneutico centrale per determinare se una disposizione sanzionatoria abbia o meno natura penale – rientri tra detti “contro limiti”. Infatti, ove si riconoscesse che il principio di legalità formale rientra tra questi ultimi, sarebbe necessario riconoscere natura amministrativa alle disposizioni sanzionatorie applicate dalla Consob con il conseguente venir meno della necessità di garantire il diritto all’equo procedimento e di accedere ad una definizione “rafforzata” del concetto di contraddittorio.
Per verificare se l’art. 25 Cost. possa costituire un contro limite all’ingresso di un criterio giurisprudenziale fondato su una valutazione sostanzialistica della natura di una disposizione sanzionatoria potrebbe rivelarsi opportuno analizzarne la ratio. In tal modo, si potrebbe rilevare che il principio di legalità formale deve considerarsi un principio cardine del nostro ordinamento in quanto – così la prescrizione inserita nell’art. 6 della Convenzione EDU – presenta la finalità di fornire garanzie ai soggetti sottoposti ad un procedimento sanzionatorio. Per un verso, con l’art. 25 viene concessa dignità costituzionale al principio secondo cui i consociati possono essere sottoposti ad una sanzione penale solo ove, al momento del compimento del fatto, sia chiaramente previsto che conseguenza della violazione della norma è l’applicazione di una sanzione avente quella natura. Sotto un altro punto di vista, la Convenzione EDU afferma la necessità di garantire ai soggetti sottoposti ad un procedimento sanzionatorio le tutele previste nei procedimenti penali anche ove lo stesso si fondi sull’applicazione di una norma che, ancorché formalmente amministrativa, abbia sostanzialmente natura penale.
Nonostante la rilevata comunanza di finalità delle disposizioni in esame potrebbe indurre a raggiungere conclusioni opposte [25], all’art. 25 Cost. deve riconoscersi natura di “contro limite” all’ingresso nell’ordinamento nazionale dei predetti criteri giurisprudenziali sostanzialistici ove si consideri che la natura di una disposizione è frutto di una scelta adottata dal Legislatore a conclusione di una valutazione complessiva di tutti gli elementi in gioco valutati all’interno di una politica legislativa che, come tale, non può essere influenzata dalla decisione di un organo giudiziario avente, peraltro, natura sovranazionale.
La scelta di introdurre disposizioni sanzionatorie amministrative per puniredeterminate condotte può, infatti, garantire una maggiore speditezza nell’irrogazione delle stesse – che avviene a conclusione di un procedimento sanzionatorio amministrativo avente durata ridotta rispetto ad un procedimento giurisdizionale – così come una maggiore deterrenza derivante dall’irrogazione di sanzioni principalmente pecuniarie che possono avere un importo estremamente elevato, in luogo di pene di natura detentiva.
In conclusione, il principio di legalità formale deve essere considerato un “contro limite” posto a servizio dell’equilibrio esistente tra i poteri esistenti nell’ordinamento nella misura in cui impedisce l’ingresso di canoni ermeneutici propri di organi giurisprudenziali esterni le cui pronunce possono risolversi nel riconoscere a disposizioni nazionali una natura differente rispetto a quella che il legislatore aveva inteso attribuirgli.
Nel caso cd. Grande Stevens, infatti, viene riconosciuta sussistente la violazione di disposizioni sanzionatorie aventi natura amministrativa per via di una precisa scelta normativa adottata dal Legislatore comunitario [26] che, peraltro, risulta essere coerente con orientamento del Legislatore nazionale che già in precedenza aveva inteso alleggerire il pesante carico di lavoro gravante sugli organi giurisdizionali attuando una politica di complessiva depenalizzazione della risposta sanzionatoria (l. 689/91).
L’opportunità di riconoscere al principio di legalità formale sancito dall’art. 25 Cost. la valenza di contro limite deve considerarsi confermata dal fatto che, seguendo criteri sostanzialistici per una valutazione della natura delle disposizioni sanzionatorie, non sarebbe possibile raggiungere una soluzione ermeneutica valida erga omnes. Dalla matrice sostanzialistica di tale criterio – diretta conseguenza della propria origine giurisprudenziale – consegue che la qualificazione della natura di una disposizione sanzionatoria non può prescindere dall’analisi dei dati soggettivi rilevati nel caso concreto (basti considerare che l’afflittività di una risposta sanzionatoria dovrà essere concretamente valutata tenendo conto delle peculiarità del soggetto sanzionato). Quindi, le conclusioni raggiunte potrebbero essere facilmente smentite in situazioni differenti e ciò in evidente contrasto con la necessità di assicurare la certezza del diritto. Peraltro, utilizzando quale criterio discretivo per determinare la sussistenza di una norma sanzionatoria penale quello fondato sull’entità della sanzione che potrebbe essere irrogata, potrebbe essere attribuita natura penale non solo alle norme sanzionatorie amministrative ma anche a norme di matrice civilistica qualora dall’applicazione delle stesse discenda una condanna al versamento di ingenti somme di denaro.
Le incertezze derivanti dall’applicazione di un criterio ermeneutico sostanzialistico fondato sull’analisi dell’efficacia special preventiva della tipologia di sanzione irrogata emerge ove si consideri che questa varia in ragione delle qualità del soggetto concretamente sanzionato. Del pari, anche se di minore entità, potrebbero emergere dei dubbi interpretativi in merito alla natura da riconoscersi ad una norma sanzionatoria ove la si intenda verificare sulla base del valore attribuito al bene giuridico rispetto al quale è posta a presidio.
Le suesposte considerazioni permettono di comprendere come il criterio di legalità formale permetta di relegare l’operatività dell’approccio sostanzialistico seguito della Corte EDU all’ambito giurisprudenziale in ragione delle ineludibili problematiche che un’applicazione dello stesso comporterebbe sotto l’aspetto della certezza del diritto qualora lo si intendesse seguire per definire in assoluto la natura di una norma sanzionatoria.
Inoltre, dal riconoscimento della natura penale di una disposizione non deriva semplicemente la necessità di accordare al soggetto interessato le medesime garanzie riconosciute all’interno di un processo penale ma anche indesiderabili corollari che verrebbero dall’applicazione alle sanzioni amministrative dei principi costituzionali valevoli per quelle penali [27]. L’attribuzione della natura penale alle sanzioni formalmente qualificate come amministrative comporterebbe conseguenze sull’onere probatorio [28] ovvero sull’applicazione del principio del cd. favor rei che, invece, non opera in materia di sanzioni amministrative in cui vige il diverso principiotempus regit actum [29].
Sulla base delle suesposte considerazioni appare, quindi, condivisibile l’orientamento recentemente espresso dalla Corte di Cassazione [30] che, pronunciandosi in merito all’applicabilità dei principi enucleati nella sentenza cd. Grande Stevens ad un caso sottoposto al proprio esame, ha chiaramente rappresentato che la sentenza adottata dalla Corte EDU ha esclusivamente inteso garantire il rispetto delle regole del “giusto processo” nei confronti di soggetti sottoposti a procedimenti sanzionatori tesi ad accertare l’intervenuta violazione di norme che, pur non essendo formalmente penali, avrebbero potuto comportare l’irrogazione di sanzioni con conseguenze patrimoniali così rilevanti da farle rientrare in un concetto lato di “materia penale” [31].
Tuttavia, la Suprema Corte, pur affermando la necessità di garantire in tali ipotesi il rispetto delle garanzie del “giusto processo”, ha chiaramente rappresentato che tale estensione delle garanzie riconosciute non “può legittimare, di per sé, l’estensione in ogni campo dei principi propri della materia penale ai diversi principi invece propri della materia degli illeciti amministrativi”. Infatti, dalla considerazione che “un concetto della "natura penale" di una disposizione di diritto interno sarebbe in stridente relazione di incompatibilità col sistema costituzionale italiano, in cui la nozione di illecito penale è astretta dal criterio di legalità formale (art. 25 cost.)” deriva che “i principi convenzionali declinati dalla citata sentenza Grande Stevens vanno considerati nell'ottica del giusto processo, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dall'ordinamento interno”[32].
Secondo la Corte di Cassazione, l’intervento del legislatore primario e secondario ha avuto la semplice finalità di incrementare le tutele previste a favore dei soggetti sottoposti ad un procedimento sanzionatorio innanzi alla Pubblica Amministrazione che, pur non essendo volto all’irrogazione di sanzioni aventi formalmente natura amministrativa, avrebbe potuto comportare l’irrogazione di sanzioni rientranti in un ambito latu sensu penale sia in ragione dell’entità che della natura del bene giuridico protetto[33].
Alla sentenza cd. Grande Stevens dovrebbe essere, quindi, riconosciuto esclusivamente il compito di richiamare la necessità di garantire a tutti coloro che siano sottoposti a procedimenti sanzionatori volti all’applicazione di norme sostanzialmente penali il diritto ad un equo procedimento senza che ciò comporti la necessità di attribuire formalmente natura penale alle disposizioni sanzionatorie.
Al contrario, quantomeno discutibili appaiono essere le conclusioni raggiunte dal Consiglio di Stato che, prendendo spunto dalla richiamata sentenza CEDU, ha dichiarato l’illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob partendo da una riformulazione del concetto di contraddittorio fornito da consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione nonostante la competenza in materia di tale ultimo organismo giurisdizionale fosse stata recentemente riconosciuta dalla stessa Corte Costituzionale. Infatti, il Consiglio di Stato si è pronunciato a poca distanza dalla sentenza con la quale la Corte Costituzionale – dichiarando l’illegittimità costituzionale per eccesso di delega della previsione legislativa che stabiliva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui giudizi di opposizione avverso i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Consob [34] – aveva ribadito la competenza della magistratura ordinaria sui giudizi di opposizione. Con l’adozione della sentenza in parola, il Consiglio di Stato ha infatti travalicato il riparto di competenze individuato dalla Corte Costituzionale al fine di garantire maggiormente il principio della certezza del diritto che avrebbe potuto essere leso dall’esistenza – in ipotesi come quella in esame – di contrasti tra i massimi organi giurisprudenziali sull’interpretazione di un medesimo concetto giuridico.
Quindi, alla Corte EDU non deve riconoscersi il potere di definire la natura giuridica delle disposizioni interne dei Paesi aderenti ma esclusivamente quello di assicurare il rispetto dei principi convenzionali. Ove, al contrario, si ritenesse riconoscere alla pronuncia dell’organo giurisdizionale sovranazionale il potere di riconoscere natura penale a tutte le disposizioni cui formalmente sia stata attribuita diversa natura si finirebbe con l’attribuire surrettiziamente ad un organo giurisdizionale una competenza propria degli organi cui è demandato l’esercizio del potere legislativo. Tale conclusione non appare condivisibile ove si consideri che gli organi deputati all’esercizio del potere legislativo sono gli unici cui è attribuito il potere di adottare scelte che coinvolgono tutti gli interessi in gioco e che sono assunte a conclusione di una valutazione complessiva [35]. Detta valutazione trascende dall’analisi delle peculiarità dei singoli casi concreti sui quali, invece, devono pronunciarsi gli organi giurisdizionali.
In conclusione, con la sentenza cd. Grande Stevens la Corte EDU ha riconosciuto la necessità di garantire il diritto ad un equo procedimento a chiunque sia sottoposto ad un procedimento teso a verificare la necessità di applicare una sanzione sostanzialmente penale ancorché alla stessa sia stata formalmente attribuita natura differente. Tale pronunciamento ha indotto la magistratura amministrativa a riformulare il contenuto del diritto al contraddittorio pronunciandosi in una materia ricondotta dalla Corte Costituzionale alla competenza della magistratura ordinaria la cui consolidata giurisprudenza ne aveva fornito una definizione differente. Tale revirement attuato dalla magistratura amministrativa ha comportato una declaratoria di illegittimità di norme regolamentari nazionali che, unitamente a disposizioni di rango primario, hanno dovuto essere modificate dal Legislatore. Il comportamento tenuto internamente dal Consiglio di Stato e dagli organi deputati all’esercizio del potere normativo non deve, tuttavia, intendersi come riconoscimento della natura penale di disposizioni interne cui formalmente sia stata attribuita natura amministrativa. Una simile conclusione comporterebbe il riconoscimento dell’operatività nel nostro ordinamento del criterio interpretativo sostanzialistico proprio della CEDU che non appare ammissibile ove si consideri che il principio di legalità formale sancito nell’art. 25 Cost. assolve la funzione di contro limite costituzionale all’ingresso di principi sovranazionali nell’ordinamento interno. Quindi, alla sentenza cd. Grande Stevens deve riconoscersi esclusivamente il ruolo che le è proprio ovvero quello di considerare conforme con la Convenzione EDU solo quei procedimenti sanzionatori che assicurino a tutti coloro i quali vi siano sottoposti il diritto ad un equo procedimento. L’esigenza di rispettare tale principio convenzionale comporta la necessità di assicurare le dovute cautele procedimentali ma non può tradursi nell’automatico riconoscimento della natura penale alle norma che devono essere applicate. Tuttavia, sulla scorta della sentenza Grande Stevens, il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo il procedimento sanzionatorio Consob considerando insufficienti le garanzie offerte in ragione della riformulazione del concetto di contraddittorio posto dal Legislatore come principio guida dell’esercizio del potere regolamentare. Detto organo giurisdizionale, pronunciandosi in un ambito di competenza della magistratura ordinaria, si è spinto a riformulare il concetto di diritto al contraddittorio dalla stessa fornito arrivando, in tal modo, a ritenere insufficienti le previsioni regolamentari del procedimento sanzionatorio Consob a garantire il rispetto non delle disposizioni convenzionali ma di quel principio guida contenuto nella normativa interna ed inteso come “contraddittorio rafforzato”. Al contrario, come confermato da una costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, le disposizioni sanzionatorie amministrative sono applicate dalla Consob a conclusione di un procedimento sanzionatorio che riconosceva appieno, già nella formulazione antecedente l’ultima riforma, il rispetto del diritto al contraddittorio da intendersi semplicemente come diritto ad un pieno confronto tra amministrazione ed interessati finalizzato esclusivamente a consentire una corretta ricostruzione del fatto contestato e non dell’entità della sanzione da irrogare.
[1] Sul punto R. RORDORF Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, in Società, 2010, 981 ss.
[2] Detti principi sono indicati negli articoli 187 – septies e 195 del TUF. Più in generale, sul procedimento sanzionatorio Consob W. TROISE MANGONI Il potere sanzionatorio della Consob, Milano, 2012.
[3] L’originaria struttura del procedimento sanzionatorio prevedeva una bipartizione della fase “istruttoria”. Mentre una prima fase veniva demandata alla Divisione competente per materia ( “Istruttoria di valutazione delle deduzioni”) la seconda era svolta dall’Ufficio Sanzioni Amministrative (“Istruttoria per la decisione”) cui era attributo il compito di presentare una relazione conclusiva – eventualmente contenente una proposta sanzionatoria – da sottoporre all’attenzione dei Commissari che, esaminandola, avrebbero adottato un atto conclusivo del procedimento essendo loro attribuito il potere di adottare provvedimenti. Questa struttura comportava il rischio di duplicare lo svolgimento degli adempimenti istruttori in spregio al principio dell’efficienza della pubblica amministrazione.
[4] La riduzione del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio a 180 giorni è stata la diretta conseguenza dell’abbandonodella struttura bifasica della parte istruttoria del procedimento che non appariva coerente con l’esigenza di assicurare un esercizio tempestivo della potestà sanzionatoria. Infatti, la riduzione del lasso temporale intercorrente tra il compimento dell’illecito e l’adozione del provvedimento sanzionatorio è utile a rafforzare la certezza dei rapporti giuridici oltre ad esprimere una maggiore efficienza dell’azione amministrativa senza considerare che, in tal modo, risulta maggiormente rispettato l’interesse dei soggetti coinvolti a vedere concluso il procedimento in tempi ragionevolmente contenuti . Da ultimo, una riduzione dei tempi di conclusione del procedimento incrementa la capacità general – preventiva e special – preventiva dei provvedimenti sanzionatori che risulta essere tanto maggiore quanto più l’irrogazione del provvedimento è prossima al compimento dell’illecito.
[5] Incentrare il procedimento sanzionatorio sull’Ufficio Sanzioni Amministrative permette di assicurare la separazione tra fase istruttoria e fase decisoria. Il rispetto di tale principio era stato contestato in quanto sulla proposta sanzionatoria è chiamato ad esprimersi anche il Presidente della Consob cui è anche demandato il compito di sovraintendere l’attività di vigilanza. Tale vulnus del principio di separazione deve considerarsi inesistente in ragione del fatto che l’Ufficio Sanzioni Amministrative, in base all’assetto organizzativo vigente, risulta essere sottoposto alle dirette dipendenze della Direzione generale e, come tale, si atteggia come un’articolazione organica autonoma sottratta, per i profili qui considerati, alla diretta dipendenza del Presidente e della Commissione. Peraltro, è stato giustamente rilevato che “il compito del Presidente di sovraintendere all’attività istruttoria va inteso come circoscritto ai criteri generali cui debbono attenersi i singoli uffici e non comporta interferenze nelle singole attività di indagine e nelle valutazioni di merito che gli uffici sono chiamati a compiere e che precedono la fase decisoria, affidata alla Commissione” (App. Milano n. 1942/2011).
[6] W. TROISE MANGONI Il potere sanzionatorio della Consob up. ult. cit. 221.
[7] Attenta dottrina ha ricordato che garantire il contraddittorio e la partecipazione del privato alla fase procedimentale che precede l’eventuale irrogazione della sanzione significa, altresì, favorire una più precoce emersione delle possibili ragioni difensive, mettendo così la stessa autorità in condizioni di tenerne conto ai fini della propria decisione: la quale, di conseguenza, anche nel caso in cui sia comunque sfavorevole al privato, potrà risultare più ponderata e, verosimilmente, meglio motivata. R. RORDORF Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, op. ult. cit. pag. 987.
[8] Per un sintetico ma generale quadro della sentenza Grande Stevens e dei suoi effetti VENTORUZZO Abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri c. Italia in Rivista delle Società, 2014, 693 ss.
[9] “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente (…), da un tribunale indipendente e imparziale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia” Art. 6, par. 1, Convenzione Europea Diritti dell’Uomo.
[10] CEDU, 8 giugno 1976, nn. 5100/71, 5101/71, 5102/72, Engel and Others v. The Netherlands. Con tali sentenze sono stati introdotti criteri utilizzati dalla Corte EDU per definire la natura di una disposizione punitiva. Tali criteri sono alternativi (ma possono essere utilizzati cumulativamente se l'analisi separata di ognuno di essi non permette di arrivare ad una conclusione chiara) e stabiliscono che deve riconoscersi un valore relativoalla qualificazione formale della disposizione punitiva effettuata dal sistema giuridico dello Stato firmatario. Infatti, oltre a tale criterio residuale, ai fini della qualificazione della natura penale della disposizione punitiva deve essere considerato se la stessa sia posta a presidio di interessi normalmente protetti dal diritto penale. Inoltre, una valutazione non può prescindere dall’analisi del grado di severità della pena che potrebbe essere irrogata in caso di violazione della disposizione esaminata considerando il massimo edittale delle sanzioni astrattamente irrogabili. M. ALLENA Art. 6 CEDU. Procedimento e processo amministrativo Napoli, 2012.
[11] L’art. 32 della Convenzione EDU attribuisce alla Corte EDU il potere di interpretare autonomamente i concetti contenuti nella Convenzione al fine di garantire un’applicazione uniforme delle disposizioni convenzionali che, altrimenti, potrebbe essere elusa attraverso l’adozione, da parte dei Paesi aderenti, di disposizioni normative interne contenenti differenti qualificazioni dei concetti richiamati nelle norme convenzionali. ZAGREBELSKY Le sanzioni Consob, l’equo processo ed il ne bis in idem, Giurisprudenza Italiana, 2014, pag. 1196.
[12] Anche se il procedimento sanzionatorio innanzi alla Consob non assicura il diritto ad un equo procedimento ciò non significa, tuttavia, che il “sistema sanzionatorio” previsto dal legislatore italiano sia nel suo complesso inadeguato stante la possibilità di impugnare le sanzioni irrogate di fronte all’Autorità Giudiziaria svolgendo un giudizio di opposizione che possa “sanare” le eventuali inadeguatezze del procedimento amministrativo garantendo pienamente il rispetto dei diritti di difesa dei destinatari delle sanzioni. VENTORUZZO Abusi di mercato, sanzioni Consob e diritti umani: il caso Grande Stevens e altri c. Italia op. ult. cit. 714.In tal senso, la CorteEDU nella sentenza in esame afferma che “il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude che in un procedimento di natura amministrativa, una “pena” sia applicata da un’Autorità amministrativa” purché la decisione “sia soggetta all’ulteriore controllo di un organo giurisdizionale di piena giurisdizione”.
[13] Il Consiglio di Stato riconosce che, sotto tale aspetto, il regolamento Consob non presenta motivi di contrasto con l’art. 6, par. 1, della CEDU in quanto le sanzioni “possono essere irrogate in prima battuta da un’Autorità amministrativa priva dei connotati di indipendenza e imparzialità e all’esito di un procedimento che non offre le garanzie richieste dalla piena giurisdizione. È tuttavia, necessario, ai sensi dell’art. 6, par. 1, della CEDU, che contro il provvedimento sanzionatorio sia assicurata agli interessati la possibilità di attivare un controllo di un organo giudiziario dotato di piena giurisdizione, quale, in linea di principio, deve ritenersi essere la Corte di appello competente a decidere sul relativo giudizio di opposizione, salva la necessità della pubblica udienza”(Cons. Stato n. 1536/2015).
[14] Cass. Sez. Un. nn. 20935 – 20939 del 30 settembre 2009.
[15] Il procedimento sanzionatorio presenta una natura particolare rispetto agli ordinari procedimenti amministrativi essendo volto a “punire in nome dell’interesse generale all’osservanza della legge”. Per tale motivo si ritiene che “il procedimento sanzionatorio abbia natura, almeno in parte, paragiurisdizionale che richiederebbe un rafforzamento delle garanzie del contraddittorio”.(Cons. Stato n. 1536/2015).
[16] La Consob, con delibera n. 19158 del 29 maggio 2015, ha modificato il proprio procedimento sanzionatorio riconoscendo agli interessati il diritto all’ultima parola sulla relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative. In particolare, e difformemente rispetto a quanto indicato nelle originarie proposte di modifica del procedimento sottoposte a consultazione, agli interessati deve essere trasmessa integralmente la relazione conclusiva predisposta all’Ufficio Sanzioni Amministrative senza che sia necessaria la presentazione di un’apposita istanza. In tal modo, si consente agli stessi di presentare controdeduzioni di cui dovrà tenersi conto in sede di adozione della decisione. In linea con la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel documento di consultazione era stato proposto di espungere dalla relazione oggetto di trasmissione la sezione relativa alla quantificazione della sanzione. Accogliendo le osservazioni presentate dai partecipanti alla consultazione si è deciso, invece, di trasmettere integralmente detta relazione in ragione del fatto che, costituendo la quantificazione della sanzione l’esito dell’attività istruttoria, la stessa ne rappresenta un inscindibile completamento. Del pari si è considerato che solo avendo evidenza dell’entità della sanzione che potrebbe essere irrogata gli interessati possono valutare le decisioni più opportune in merito alle scelte da assumere. Tuttavia, non è stato esplicitato che oggetto delle controdeduzioni possono essere esclusivamente contestazioni non ancora effettuate nel corso della precedente fase istruttoria né sono stati inseriti puntuali indicazioni circa la portata delle stesse. Per tali motivi, oltre a ripristinare una struttura del procedimento sanzionatorio sostanzialmente “bifasica”, la possibilità di presentare delle controdeduzioni comporta il rischio che queste siano una duplicazione di contestazioni già avanzate nel corso dell’istruttoria in evidente contrasto con quelle esigenze di efficientamento dell’azione amministrativa che aveva giustificato la precedente modifica del procedimento.
[17] Autorevole dottrina ha ricordato che il principio del contraddittorio deve essere rispettato prima, durante e dopo il compimento dell’attività istruttoria con la conseguente necessità di garantire agli interessati il diritto di presentare controdeduzioni avverso la relazione conclusiva dell’Ufficio Sanzioni Amministrativa. Tale conclusione deve intendersi avvalorata a seguito della trasformazione del procedimento sanzionatorio Consob in procedimento accusatorio che, come principio generale, prevede che all’accusato spetti l’ultima parola prima che il procedimento si concluda. R. RORDORF Sanzioni amministrative e tutela dei diritti nei mercati finanziari, op. ult. cit 989.
[18] Prima dell’intervento normativo in parola, esclusivamente l'art. 187– septies del TUF, disciplinante il procedimento di impugnazione delle sanzioni Consob in materia di abusi di mercato, prevedeva lo svolgimento dei giudizi di opposizione in forma pubblica mentre l’art. 195 del TUF – nel disciplinare i procedimenti di opposizione avverso le sanzioni della Consob in tutte le materie diverse dagli abusi di mercato – disponeva lo svolgimento in camera di consiglio delle udienze di discussione dei ricorsi. Con il d.lgs. n. 72/2015 detti articoli sono stati riformulati introducendo un unico rito unitario per disciplinare i ricorsi di opposizione avverso le delibere sanzionatorie della Consob e della Banca d’Italia ( con la conseguente modifica dell’art. 145 TUB). Detto rito ad hoc è stato introdotto non solo onde rimuovere le criticità connesse alla natura non pubblica delle udienze di trattazione delle opposizioni ex art.195 ma anche in quanto l'art. 187 – septies effettuava un rinvio alle ''forme" del giudizio di opposizione''previste dal!'art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689": norma, questa, abrogata dal d.lgs. 10 settembre 2011, n. 150, che, all'art.6, ha ridefinito il procedimento di opposizione ad ordinanza -ingiunzione, attraverso un ampio rinvio al c.d. "rito del lavoro".
[19] Deve segnalarsi che nelle disposizioni di rango primario oggetto di innovazione è stato mantenuto lo schema procedimentale “invertito” secondo cui il ricorso in opposizione deve essere in primo luogo notificato alla Autorità irrogante e, successivamente, depositato presso la cancelleria della Corte d'Appello competente.
[20] MIDIRI La CEDU in Parlamento in SONELLI La Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e l’ordinamento italiano – Problematiche attuali e spinte per il futuro, Giappichelli, Torino, 2015 pag. 135.
[21] “[…]I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali” Art. 6, par. 3, TUE.
[22] “Uno dei principi basilari del nostro sistema costituzionale è quello per cui i giudici sono tenuti ad applicare le leggi e, ove dubitino della loro legittimità costituzionale, devono adire questa Corte che sola può esercitare tale sindacato pronunciandosi, ove la questione sia ritenuta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes” (Corte Cost. sent. n. 285/1990).
[23] “Le norme CEDU possono essere assunte come misura della legittimità di leggi nazionali, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale e, pertanto, devono essere a loro volta conformi alla Costituzione. Diversamente dal vincolo comunitario – che, quando le norme hanno efficacia diretta, è immediatamente rilevabile dai giudici comuni – gli obblighi internazionali di natura pattizia possono fungere da parametro costituzionale delle leggi interne solo dopo aver superato positivamente il vaglio di compatibilità con l'ordinamento costituzionale italiano. Ne consegue che, quando si evidenzia il contrasto fra una legge nazionale e una norma della CEDU, il giudice comune non è autorizzato a disapplicare la norma interna, ma è tenuto solo a sollevare la relativa questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale” GALLO La concorrenza tra il diritto nazionale ed il diritto europeo (UE e CEDU) nella giurisprudenza costituzionale italiana in Atti del XXVIII Convegno di studio “Adolfo Beria di Argentine” su Unione Europea: Concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati, Courmayeur, 19 – 20 settembre 2014.
[24] Sulla delicata questione dei “contro limiti” all’ingresso del diritto comunitario nell’ordinamento nazionale, secondo autorevole dottrina “il fatto che il primato del diritto dell’Unione sul diritto interno sia stato riconosciuto, ex artt. 11 e 117 Cost, dalla Corte italiana anche rispetto a norme formalmente costituzionali e non soltanto rispetto a meri atti legislativi non vuol dire che la Corte Costituzionale abbia inteso rendere l’ordinamento italiano sempre “soccombente” – e, quindi, non concorrente – rispetto a quello dell’Unione […] al contrario la Corte Costituzionale ha con vigore sostenuto che la linea di separazione fra ordinamento interno e quello dell’Unione è presidiata dai principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale” GALLO cit. ibidem.
[25] “Non sembra potersi ravvisare un contrasto con la il principio della riserva di legge in materia penale […] nel fatto che la Corte Europea (come già in altri casi) abbia qualificato “penale”, agli effetti della Convenzione, una sanzione che la legge interna configura invece come amministrativa. Detta qualificazione è funzionale, infatti, ad un incremento del tasso delle garanzie”FLICK – NAPOLEONI Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? Relazione Convegno ABI 14 giugno 2014.
[26] “Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali,gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive”. Art. 14 Direttiva 2003/6/CE.
[27] M. A. CABIDDU Sanzioni amministrative e principi costituzionali davanti alle Autorità amministrative indipendenti in questa rivista 2004, III, pag. 287. L’autrice invita, altresì, a “non calcare troppo la mano sulla distinzione” tra illecito amministrativo e penale ritenendo sufficiente garantire un’equiparazione delle garanzie offerte.
[28] “In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, il TUF individua una serie di fattispecie a carattere ordinatorio, destinata a salvaguardare procedure e funzioni e incentrate su mere condotte considerate doverose. In questo senso, il TUF ancora il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas della condotta inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’Autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza”(Cass. Sez. Un. n. 20930/09).
[29] In tal senso, ex multis, Cass. Sez. Un. n. 14374/12, n. 15314/10.
[30] Cass. Sez. I, n. 4114/16.
[31] Tutti e tre i supremi organi giurisdizionali riconoscono l’esistenza di disposizioni sanzionatorie cui deve riconoscersi una natura penale anche se “minore”. Il Consiglio di Stato – prima di dichiarare l’illegittimità del procedimento sanzionatorio Consob per violazione della normativa interna – rileva che le criticità del procedimento sanzionatorio Consob non hanno indotto la Corte EDU a dichiararne l’illegittimità per mancato rispetto del diritto all’equo procedimento non ritenendo necessaria l’applicazione delle garanzie indicate nell’art. 6 CEDU in quanto non era volto a disciplinare l’adozione di sanzioni penali vere e proprie ossia rientranti nell’ “hard core of criminal law”.
[32] Cass. Sez. I, n. 4114/16.
[33] Attenta dottrina ha rilevato che si potrebbe pensare a uno statuto comune agli illeciti e alle sanzioni discendente dalla connotazione dell’illecito e della sanzione come rispettivamente violazione del diritto e reazione da parte dell’ordinamento. In questi limiti appare ragionevole l’applicazione anche alle ipotesi di responsabilità amministrativa la predisposizione di una procedura idonea alla verifica dell’infrazione che soddisfi le istanze di un accertamento storico dei fatti e del diritto applicabile alla fattispecie. Questo principio – assicurato per gli illeciti civili e penali da un accertamento giurisdizionale corredato dalle garanzie di difesa e contraddittorio – dovrebbe trovare la maniera di inverarsi, per le sanzioni amministrative, sin dalla disciplina dell’organizzazione e delle procedure per la loro irrogazione e commisurazione dalla pubblica amministrazione. M. A. CABIDDU Sanzioni amministrative e principi costituzionali davanti alle Autorità amministrative indipendenti op ult. cit. pag. 288.
[34] Corte Cost. 6 giugno 2012, n. 162, in Banca Borsa e Titoli di redito, 2013, II, 245 ss., con nota di A. SCOGNAMIGLIO, La giurisdizione sui provvedimenti sanzionatori della Consob.
[35] Solo il parlamento “discrezionalmente” e “democraticamente” può selezionare gli strumenti di tutela penale e, eventualmente, stabilire di sostituirli con strumenti diversi, civili ed amministrativi ANGIOLINI Principi costituzionali e sanzioni amministrative in Jus, 1985, pag. 241.