Le recenti e recentissime[1] evoluzioni del mercato finanziario hanno portato all’attenzione mediatica e non solo un “nuovo” concetto: il tasso (od i tassi) di interesse negativo.
Tale concetto, da sempre relegato nei volumi di macroeconomia quale scenario squisitamente teorico, è oggi divenuto una realtà che sta spiazzando gli operatori economici e soprattutto finanziari per i suoi inusitati effetti. Scopo del presente scritto è passare in rassegna alcuni di tali effetti nonché di chiarire quali conseguenze occorre attendersi sul lato tecnico ed operativo; sebbene verranno affrontate alcune conseguenze giuridiche del fenomeno si premette che il presente scritto è di matrice tecnico-finanziaria e come tale non intende assumere posizioni su questioni giuridiche.
1. Cos’è il tasso di interesse.
Il tasso di interesse tecnicamente è definito come: “la remunerazione del costo finanziario del tempo e del rischio di un investimento”.
Il modello più accreditato, ovvero il capital asset pricing model[2](CAPM), aiuta a determinare il tasso di remunerazione di un investimento stabilendo una stretta relazione fra il rischio ed il rendimento di tale asset ed assumendo quale base minima di rendimento il tasso pagato dal titolo privo di rischio (risk free asset). Il CAPM assume quindi che anche un titolo privo di rischio debba garantire un rendimento per la mera necessità di remunerare il costo finanziario del tempo.
Al fine del presente scritto concentriamoci sul caso limite del mondo dei “risk free assets”; tali titoli presentano la componente rischio azzerata (o quasi) e quindi sono i titoli che si limitano a remunerare il solo “costo finanziario del tempo” o poco più. Ne sono un chiaro esempio i titoli di Stato, si pensi ai “bund” tedeschi od ai bond Elvetici. Anche titoli di primari emittenti quali Istituti di Credito o grandi corporations che godono di rating tripla A[3] possono essere assunti quali esempi di titoli privi di rischio.
La prima conclusione cui giungiamo attraverso la nostra analisi esegetica è che la definizione di tasso di interesse quale remunerazione del rischio e del tempo non riesce a spiegare l’esistenza di tassi negativi, il rischio, infatti, trova un limite invalicabile nello zero mentre il tempo non può far altro che scorrere e non può invertire il suo corso. Ci è necessario quindi muovere oltre e studiare quali sono i componenti del tasso privo di rischio che possono condurlo in terreno negativo.
2. I tassi negativi: la differenza fra tassi nominali e tassi reali.
I tassi negativi che oggi osserviamo sono definibili in senso ancor più rigoroso quali “tassi nominali negativi”. Il mondo finanziario, infatti, opera con tassi nominali (positivi o negativi) e non con tassi reali. I tassi reali, tuttavia, sono una soluzione teorica necessaria a spiegare che le remunerazioni del capitale presenti sul mercato, in un mondo che presenti dinamiche inflattive, sono squisitamente “nominali” in quanto dedotta la componente inflattiva il denaro è “realmente” remunerato in misura inferiore da ciò che potrebbe sembrare osservando i tassi nominali.
Irving Fisher[4] è stato lo studioso che più ha contribuito allo studio delle differenze fra tassi nominali e reali grazie alla famosa equazione che pone a sistema i tassi reali ed inflazione quali componenti del tasso nominale che correntemente osserviamo sui mercati.
La ragione dell’esistenza di tassi negativi a parere dello scrivente va ricercata (ma non solo come riferiremo successivamente) nella c.d. “equazione di Fisher”.
L’equazione di Fisher, nella sua formulazione più semplice è la seguente:
Dove:
L’equazione spiega come il tasso di interesse nominale (col quale i mercati finanziari lavorano) altro non sia che la somma algebrica del tasso di interesse reale (la vera remunerazione del denaro non dilatata dall’inflazione) ed il tasso di inflazione attesa.
Se l’equazione di Fisher è corretta possiamo comprendere perché il tasso del bund tedesco è negativo. La teoria di Fisher ci spiega che la remunerazione in termini reali del costo finanziario del tempo è più che assorbita dalle aspettative deflazionistiche. In presenza di deflazione, infatti, il fattore “π” non è più “inflazione attesa” ma diviene di segno negativo tramutandosi in “deflazione attesa”.
Riflettendo ancor più a fondo possiamo chiederci se possa essere immaginata una remunerazione del costo finanziario del tempo in un mondo nel limbo della deflazione. Possiamo assumere tale mondo come congelato e dove il tempo in un’economia dove i prezzi decrescono porta giocoforza a rimandare investimenti e consumi nell’attesa di prezzi futuri più contenuti. In tal senso il sistema economico entra in un torpore da ibernazione dal quale diventa molto difficile uscire. Il tempo quindi non è più un costo ma una opportunità, il suo solo passare crea un vantaggio di riduzione dei prezzi.
Quanto sopra riportato ci fa comprendere come i tassi negativi nominale che stiamo osservando siano strettamente collegati allo stato deflattivo dell’economia e come ne siano diretta conseguenza. All’equazione di Fisher, come in precedenza anticipato, si aggiungono poi anche altri fattori che spingono i tassi in territorio negativo, essi sono:
- Le recentissime manovre della BCE che non hanno fatto altro che certificare lo stato deflattivo dell’economia Europea. La stessa Banca Centrale, nella speranza di dissuadere gli operatori finanziari a depositare denari presso di sé, ha portato il tasso di riferimento sui depositi al – 0,40% contribuendo alla crescita in senso negativo dei tassi.
- Le aspettative degli operatori finanziari non sono ancora cambiate verso scenari inflattivi. Il recente deprezzamento del petrolio altro non ha fatto che confermare il trend deflattivo dei prezzi.
- L’economia reale langue, gli operatori finanziari, in particolare gli istituti di credito, non trovano terreno fertile nel finanziare l’economia reale e si trovano a dover gestire e dover “parcheggiare” enormi quantitativi di moneta arrivando al punto di dover pagare per depositare la loro liquidità.
3. Gli effetti distorsivi ed i paradossi del binomio deflazione-tassi negativi.
Le riflessioni condotte in precedenza ci hanno consentito di comprendere le motivazioni alla base della genesi dei tassi negativi attraverso i meccanismi deflattivi. In questa sezione esamineremo alcuni degli effetti distorsivi di tali dinamiche che pongono sia il tecnico che il giurista di fronte a problematiche operative e riflessioni di non poco momento.
3.1. L’indice ISTAT 2014 = 0,999
L’ISTAT ha censito un fenomeno figlio della deflazione ovvero il calo dell’indice prezzi al consumo. Ne consegue che per acquistare il medesimo paniere di beni nel 2013 servivano 1.000 € mentre nel 2014 ne bastavano 999 €.
I vecchi adagio del piccolo risparmiatore assumevano la necessità di investire le proprie sostanze per difendere i propri risparmi in quanto l’inflazione erode il potere di acquisto; essa veniva paragonata ad una sorta di tassazione nascosta. Se ciò è vero, come è vero, non si vede il motivo per il quale abbiamo bisogno di tassi di interesse positivi se la deflazione al contrario dell’inflazione aumenta il potere di acquisto invece che eroderlo. I tassi negativi non fanno altro che censire la situazione di fatto.
Il tecnico tuttavia e soprattutto il giurista incontrano nuove fattispecie quali la posizione da assumere a fronte di un contratto le cui prestazioni sono adeguate all’andamento dell’indice ISTAT. L’esempio più calzante è un contratto di locazione ove il canone di affitto deve essere annualmente aggiornato in ragione dell’indice ISTAT. L’immediata conseguenza è interrogarsi se di fronte ad un indice deflattivo il canone vada aggiornato verso il basso.
Per il tecnico la risposta è semplice e certamente affermativa tuttavia per il giurista la fattispecie può risultare tutt’altro che semplice in quanto il nostro ordinamento non è concepito per la deflazione.
Si pensi a titolo di esempio all’art. 2120 c.c. (disciplina del trattamento di fine rapporto), il legislatore prevede che: “Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell'anno, e' incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell'anno precedente”.
In presenza di deflazione risulta impossibile incrementare, anzi si andrebbe a ridurre e su base di capitalizzazione per giunta composta. Occorre osservare come la norma utilizzi un verbo specifico: “incrementare” che difficilmente può essere sostituito col suo contrario “ridurre”. Una mera operazione algebrica trova un ostacolo nel tenore letterale del dettato normativo; fattispecie che lasciano il tecnico disorientato auspicando un intervento chiarificatore del mondo giuridico.
3.1.1. I contratti bancari
I contratti bancari sono certamente fra i rapporti giuridici con gli aspetti tecnici più interessanti nell’ottica dei tassi negativi. In questa sede esamineremo due particolari categorie di contratti:
3.1.2. I contratti di finanziamento.
In tema di contratti di finanziamento la fattispecie dei tassi negativi sta generando scenari del tutto inesplorati e molto complessi dal punto di vista tecnico e giuridico.
Ciò che si osserva è la possibilità che i tassi negativi scendano a livelli tali da assorbire più che completamente gli spread applicati sino a rendere il finanziamento erogato al cliente un finanziamento a tasso negativo. Si osservi solo il fatto che che in Svizzera la Banca Nazionale già applica un tasso negativo del – 0,75% sui depositi e che la Riksbank Svedese applica addirittura il tasso del – 1,25%. Un cliente di banca Svedese che avesse un contratto con spread dell’1% indicizzato al tasso della Banca Centrale Riksbank vedrebbe tale spread già più completamente assorbito dal tasso negativo Svedese e si troverebbe lui stesso a versare alla controparte banca un tasso negativo pari al 1% – 1,25% = – 0,25%.
Lo scenario che andremo a delineare con l’esempio che segue sul caso italiano è quindi tutt’altro che teorico, la recente ulteriore contrazione dei tassi da parte della BCE rende ancor più attuale il problema.
Si pensi ad un contratto di mutuo a tasso variabile. Per ipotesi assumiamo che tale contratto sia remunerato come segue: Euribor 3 Mesi (base 365) + 0,6% quale spread indicizzato a cadenza mensile e senza soglia di tasso minimo “floor”.
Immaginiamo ora che il tasso Euribor 3 Mesi divenga negativo. L’evidenza empirica mostra come in data 11 marzo 2016 l’Euribor a 3 Mesi (base 365) fosse pari a -0,228%. Assumendo per ipotesi che la media del marzo 2016 dell’Euribor 3 Mesi sia pari a – 0,228% potremmo assumere che alla prossima indicizzazione l’Euribor negativo vada ad erodere lo spread. Tuttavia alcuni istituti di credito sembra che abbiamo assunto quale limite minimo del livello del tasso Euribor la soglia dello 0% proprio ai fini di non erodere i propri spread sui finanziamenti.
Sul punto è intervenuta Banca d’Italia facendo chiarezza. Nel marzo 2016 ha inviato una raccomandazione molto esplicita agli istituti vigilati spiegando ad essi come la soglia dello 0% in termini di Euribor possa essere applicata solo se esplicitamente contrattualizzata e pubblicizzata quale clausola di “tasso floor”.
Nel nostro esempio quindi il mutuatario, che non aveva contrattualizzato soglie di “floor”, trova applicato il seguente tasso -0,228% + 0,6% = 0,372%. Il tasso Euribor negativo è andato quindi ad erodere lo spread applicato.
Proviamo però ora ad andare oltre, immaginiamo che il percorso di calo dell’Euribor 3 mesi non si arresti ed arrivi a raggiungere il livello di – 0,75%. Cosa succederebbe al tasso del mutuo? La semplice somma algebrica conduce al seguente calcolo -0,75% + 0,6% = – 0,15%
Alla luce di quanto sopra il mutuatario comincerebbe a ricevere denari dalla Banca che andrebbero a ridurre l’impatto della quota capitale della rata essendo divenuta negativa la quota interessi. Per il tecnico lo scenario di cui sopra non desterebbe alcun stupore, si tratterebbe di mera algebra e di semplici somme.
A tutt’oggi, infatti, non mancano gli esempi di finanziamenti a tassi negativi ove chi presta denaro riceve meno di ciò che ha prestato; si pensi:
- Al mercato interbancario. Le Banche fra di loro, si prestano correntemente denaro a tassi negativi. La quotazione dell’Euribor (Euro Interbank offered rate) non è altro che la media dei tassi che le stesse Banche applicano sui loro prestiti ad altri Istituti di Credito[5].
- Al deposito di denaro presso BCE e presso altre Banche Centrali[6].
- I nuovi TLTRO (targeted long term refinancing operation) recentemente deliberati. In questo caso sarà la BCE a prestare denari a tassi tanto più negativi quanto più gli stessi saranno utilizzati per finanziare famiglie ed imprese.
- Ai debiti sovrani. L’Italia, la Germania, la Svizzera solo per citarne alcuni sono governi, quindi soggetti pubblici, che si finanziano a tassi negativi.
- Al caso Nestlé: l’azienda svizzera per la prima volta nel mondo dei corporate bonds ha visto nel febbraio 2016 scambiare il proprio debito a tassi negativi. Si noti come la BCE, con gli interventi comunicati il 12 marzo 2016, abbia aperto ai bond di imprese private (purché ad altissimo rating) quali collateral per le operazioni di finanziamento della medesima. Ciò con tutta probabilità spingerà ancora di più verso il basso il rendimento di tali titoli aprendo la possibilità a più imprese ad alto standing di finanziarsi a tassi negativi.
Ciò che per il tecnico non è una sorpresa tuttavia può rappresentare una rivoluzione per il giurista.
Si andrebbe ad assistere a contratti ove una controparte Banca venga a pagare attraverso il tasso negativo (per la quota oltre lo spread) la controparte Cliente per una prestazione resa dalla controparte Banca stessa.
Estremizzando, sarebbe come acquistare un caffè ed essere pagati 5 centesimi per averlo fatto. E’ lecito chiedersi se si tratti ancora di un contratto di finanziamento e se una contingenza esogena quali i tassi negativi possa impattare sulla validità delle pattuizioni di due controparti che sottoscrissero a suo tempo un contratto di tipo oneroso.
Ancora una volta il supporto del mondo giuridico diviene irrinunciabile.
3.1.3. I contratti derivati: il caso degli interest rate swaps.
L’interest rate swap è un contratto che prevede, nella sua formulazione plain vanilla, lo scambio di flussi di pagamento periodici determinati su un capitale nozionale ove una controparte versa il tasso fisso e l’altra versa il tasso variabile.
Esaminiamo la seguente fattispecie: un’impresa ha sottoscritto con una Banca uno swap che prevede che essa paghi trimestralmente il tasso del 3% su un capitale nozionale di 1.000.000 € e che riceva dalla Banca il tasso variabile Euribor 3 mesi.
Osserviamo che finché l’Euribor 3 mesi rimane in territorio positivo l’azienda versa il 3% e riceve una controprestazione. Esaminiamo ora cosa accade quando il tasso Euribor 3 mesi scende il territorio negativo e diviene pari a – 0,228% come nel precedente caso:
- L’impresa paga il 3% per il trimestre ovvero (1.000.000*3%)/4 = 7.500 €
- L’impresa riceve dalla Banca il – 0,228% per il trimestre in esame ovvero (1.000.000*-0,228%)/4 = – 570 €
Quanto sopra significa che l’impresa dovrà versare 8.070 € (7.500 – (-570) = 7.500 + 570 = 8.070) alla Banca quale differenziale trimestrale sul derivato.
La situazione venutasi a creare può risultare paradossale ma è figlia della mera applicazione, in senso algebrico, delle condizioni contrattuali. Il cliente, infatti, alla sottoscrizione del contratto voleva fissare un tasso del 3% per un certo periodo; il fatto che l’Euribor scenda in territorio negativo comporta che il cliente debba retrocedere alla Banca non solo il 3% pattuito ma anche la quota di beneficio che il tasso negativo sta portando alla sua impresa.
Entrando ancora una volta in territorio giuridico in quanto la fattispecie di cui sopra fa sorgere importanti interrogativi quali chiedersi se il contratto è stato snaturato o è del tutto valido oppure se si possa ancora parlare di copertura del rischio tassi o se occorre concludere che il contratto è divenuto speculativo.
3.1.4. Il contenzioso bancario
La singolarità dei tassi negativi sembra si protrarrà per lungo tempo[7] e con esso si osserva anche come il bilancio dello Stato Italiano stia enormemente beneficiando di risparmi sul capitolo di spesa per interessi grazie ad emissioni di BOT e BTP a tassi negativi.
Tuttavia se i BOT proseguiranno a remunerare i prenditori a tassi negativi si rileva come l’applicazione del 7° comma dell’art. 117 TUB diverrà un vero e proprio rompicapo in quanto le intenzioni del legislatore risulteranno completamente sovvertite. Esaminiamo tale previsione normativa:
“In caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano:
a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione;”
Immaginiamo di operare in un mondo a tassi negativi dove nel corso dell’anno si è osservato il seguente scenario:
Tasso BOT minimo = – 1%
Tasso BOT massimo = – 0,05%
Immaginiamo che il correntista sia rimasto per 6 mesi costantemente a debito (posizione attiva per la Banca) per 1.000.000 € e per 6 mesi costantemente in attivo (posizione passiva per la Banca) per 1.000.000 €. Seguendo il dettato della norma si opererebbero i seguenti conteggi:
Tasso BOT minimo = – 1% * 1.000.000 / 2 = – € 5.000
Tasso BOT massimo = – 0,05% * 1.000.000 / 2 = – € 250
L’applicazione letterale del 117 TUB porta quindi il correntista a versare € 4.750 alla Banca. Specifichiamo come in un mondo a tassi positivi sarebbe avvenuto l’esatto contrario. Il correntista avrebbe incassato 5.000 € di interessi attivi (l’1% sarebbe stato il tasso massimo) ed avrebbe versato € 250 di interessi passivi (lo 0,05% sarebbe stato il tasso minimo). La fattispecie di cui sopra dimostra ancora una volta come il nostro ordinamento non sia pronto per un mondo a tassi negativi e come la formulazione di quesiti peritali possa divenire fattispecie particolarmente complessa per gli organi giudicanti.
3.2. La redditività degli Istituti di Credito
Quanto esposto sinora restituisce l’immagine di un mondo del tutto sovvertito nei suoi equilibri tradizionali e dove la profittabilità del denaro è non solo azzerata ma addirittura dove il possesso di grosse somme divenga un onere. E’ pacifico che una banca non possa detenere presso di sé tutte le proprie disponibilità ma il deposito di tali fondi a tutt’oggi comporta un costo definibile quale onere “di parcheggio liquidità”. La BCE riconosce infatti il tasso negativo del – 0,40% sui depositi presso la banca centrale stessa con il chiaro messaggio alle banche di orientarsi su utilizzi più profittevole dei loro denari con l’invito a dirottarli verso l’economia reale. Nemmeno il mercato dei tassi interbancari si rivela luogo migliore in quanto tutti i tassi Euribor da 1 settimana a 12 mesi sono in terreno negativo.
Dall’altro lato la BCE, con le manovre comunicate il 12 marzo 2016, si è resa anche disponibile a prestare denaro alle Banche a tassi negativi fino allo – 0,40%[8] tramite il TLTRO di cui si è già accennato in precedenza. L’intento è quello di rendere disponibili risorse addirittura “pagando” le banche purché prestino denaro alle imprese ed alle famiglie.
Quanto esposto fa comprendere quanto sia arduo per la Banche conseguire risultati positivi in un mondo a tassi negativi. Il trend di compressione dei margini di interesse, altro elemento distorsivo delle dinamiche deflattive ove i tassi nominali sono inferiori ai tassi reali[9], sta causando importanti riduzioni dei risultati in termini di margine di interesse solo in parte compensabile da margine di servizi o da proventi finanziari da gestione della tesoreria.
Si pensi solo che nel dicembre 2015 si è assistito all’ennesima bizzarria del “mondo alla rovescia” di cui stiamo ove Barclays ha ceduto le sue 89 filiali italiane a CheBanca! pagando alla controllata del gruppo Mediobanca ben 237 milioni di sterline per compensarla dell’acquisto. Mantenere una rete creditizia è divenuto così oneroso che il venditore deve attrarre l’acquirente con una compensazione in denaro purché rilevi i suoi assets.
I TLTRO potranno certamente essere elemento di aiuto nella ripresa della redditività degli istituti di credito ma due effetti potrebbero ridurre sensibilmente la magnitudo della manovra ovvero:
- Maggiore propensione al rischio nel prestare od investire denari. Diviene un buon affare prestare denaro anche allo 0% od acquistare azioni o bond a rendimenti nulli o di poco negativi.
- La disponibilità dei TLTRO è per tutti gli intermediari finanziari. Nel medio periodo, visto l’esacerbarsi della concorrenza, i vantaggi del TLTRO rischiano di essere girati alla clientela tramite ulteriori riduzioni di tassi e condizioni pur di conservarla o di sottrarla alla concorrenza con la conseguenza di registrare scarsi benefici sul conto economico delle banche.
4. Conclusioni.
Quanto esposto nel presente scritto è sintetizzabile in due messaggi fondamentali. Il primo: un mondo a tassi negativi comporta distorsioni così estreme da creare questioni tecniche molto complesse e tali da mettere in dubbio principi giuridici ritenuti inopinabili fino al prospettarsi di tali nuovi e per lo più inusitati scenari.
Il secondo: quanto stiamo vivendo è figlio dello scollamento che si è venuto a creare fra economia reale e finanziaria. Ciò che si osserva è che i regulators proseguono nel demandare alla BCE il ruolo di promotore della ripresa quando essa dispone solo armi di matrice finanziaria.
Una ripartenza dell’economia reale prevede la creazione di condizioni adatte per gli investimenti, una forte spesa pubblica (di Keynesiana memoria) che faccia da volano alle imprese, una saturazione del mercato del lavoro e delle materie prime al fine di far ripartire i meccanismi inflattivi. Tali sfide in una economia globale e caratterizzata da interessi contrastanti (si pensi solo al mercato del greggio ove le spinte rialziste e ribassiste si contrappongono ferocemente all’interno della stessa OPEC) sono tutt’altro che semplici.
[1] Ci riferiamo agli interventi della BCE comunicati al mercato il 10 marzo 2016 nonché alle notizie di stampa del 12 marzo 2016 che riferiscono di tassi negativi in emissione per i BTP triennali italiani.
[2] Il CAPM è un modello di equilibrio dei mercati finanziari elaborato da William Sharpe nel 1964. Tale teoria portò Sharpe, insieme con M.M. Miller e H. Markowitz, a conquistare il Premio Nobel per l'economia nel 1990.
[3] AAA è il giudizio di rating più alto che Standard and Poor's Corporation (S&P); società privata con base negli Stati Uniti che realizza ricerche finanziarie e analisi su titoli azionari e obbligazioni, attribuisce agli emittenti da essa valutati.
[4] La famosa equazione che mostreremo di seguito prende il nome da Irving Fisher divenuto famoso anche per il suo articolo: “The Debt-Deflation Theory of Great Depressions”; lavoro che sorprendentemente ai giorni nostri risulta ancora attualissimo.
[5] L’Italia contribuisce alla quotazione dell’Euribor con tre panel banks: Unicredit, Banca Intesa, Banca Monte dei Paschi di Siena.
[6] A tutt’oggi sono 5 le Banche Centrali che accettano depositi a tassi negativi: BCE = – 0,40%, BNS (Svizzera) = – 0,75%, RiksBank (Svezia) = – 1,25%, DNB (Danimarca) = – 0,65% e la BOJ (Giappone) = – 0,10%.
[7] Il governatore della BCE il 12 marzo 2016 ha annunciato tassi bassi per molto tempo, almeno fino alla fine degli stimoli BCE.
[8] La condizione è che vengano finanziate famiglie ed imprese.
[9] In presenza di inflazione i tassi nominali sono maggiori dei tassi reali e consentono di conseguire, seppur nel breve periodo, maggiore redditività.