Negli ultimi anni, si è sviluppato in Italia un intenso contenzioso tra il ceto bancario ed il ceto correntista in relazione a quali voci di costo del finanziamento includere nel calcolo del tasso annuo effettivo globale. In particolare, per il ceto bancario, la corretta applicazione della normativa antiusura si dovrebbe tradurre in una fedele applicazione delle istruzioni contenute nelle circolari di Banca d’Italia, mentre, per la clientela degli Istituti di Credito, le istruzioni in questione sarebbero in aperto contrasto con il dato normativo e andrebbero disattese.
La giurisprudenza di merito non ha certo contribuito a risolvere tale conflitto, alternando pronunce spesso in contrasto tra loro. Nemmeno i principi introdotti dalle recenti sentenze della Corte di Cassazione al riguardo sono parsi dirimenti, aumentando lo stato di incertezza negli operatori del contenzioso bancario.
A tale querelle non si è sottratto neppure il Tribunale di Pescara che con l’obiter del 28 novembre 2014[1] ha introdotto due importanti e innovativi principi in materia di usura bancaria. Il primo in relazione all’estensione della casistica delle voci di costo da includere nel calcolo del TEG ed il secondo in relazione alla modalità di calcolo di quest’ultimo.
Quanto al primo principio, l’ordinanza sostiene che debba essere incluso nel calcolo del TEG anche il costo che il mutuatario si impegna a corrispondere alla banca in caso di risoluzione unilaterale e anticipata del contratto di finanziamento, con restituzione del capitale residuo.
Quanto al secondo principio, il Collegio abruzzese stabilisce che per la verifica del rispetto del tasso soglia al momento della stipula del contratto occorrerebbe calcolare il TEG anche sotto ipotesi. In particolare, occorre stabilire quale possa essere il costo complessivo dell’operazione di finanziamento, anche nella peggiore delle ipotesi possibili (ovvero quella economicamente più svantaggiosa per il mutuatario).
Per compiere un’accurata esegesi dell’ordinanza in commento, occorre precipuamente stabilire quale natura giuridica rivesta il costo per l’estinzione anticipata.
Il legislatore disciplina l’estinzione anticipata, in varie disposizioni del testo unico bancario, senza peraltro cogliere mai a pieno nel segno. In particolare, la normativa specialistica conferisce a tale voce di costo ora la natura di compenso, ora quella di indennizzo e, infine, anche quella di penale. Nell’ambito del credito fondiario, il legislatore definisce tale voce di costo come un compenso (omnicomprensivo) che il mutuatario riconosce all’Istituto di Credito, a fronte del diritto ad esercitare il recesso anticipato dal contratto, con rimborso del capitale residuo (cfr Art. 40 1° comma TUB).
Sempre nel TUB, ma con riferimento al credito al consumo, a tale voce di costo è conferita la natura di indennizzo (cfr Art. 125-sexies 2° comma TUB)[2]. Com’è noto, l’indennizzo mira a ristorare il sacrificio dell’interesse altrui ed assolve la funzione riparatoria del pregiudizio arrecato al patrimonio del danneggiato, a prescindere da ogni indagine sulla colpevolezza, tipica invece della clausola penale, dalla quale pertanto si distingue[3].
Infine, nell’ambito della disciplina dei mutui finalizzati all’acquisto e/o alla ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazioni ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche (art. 120-ter 1°comma TUB), il legislatore ritratta quanto appena stabilito affermando timidamente che l’estinzione anticipata potrebbe rivestire sia la natura di compenso, sia quella di penale e, comunque, di ogni altra prestazione. Per la costituzione della c.d. penale connessa all’esercizio della facoltà di estinzione anticipata del mutuo, v. Dolmetta e Sciarrone, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 523 ss., che, constatata l’evidente assenza di qualunque inadempimento riferito al debitore medesimo, ritengono vada qualificata come compenso corrispettivo della «rinuncia» da parte del creditore al potere consentitogli dall’art. 1815 c.c. Si tratta, insomma, di un compenso che fronteggia la solutio ante diem.
Da parte sua, la stessa giurisprudenza non è riuscita asuperare tale confusione normativa, emettendo pronunce spesso in aperto contrasto le une con le altre.
A tal proposito, la citata ordinanza del Tribunale di Pescara stabilisce che “… in termini elastici la mora e la penale per estinzione anticipata possono essere tra loro accumunate, in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato”. Per una visione diversa, se non opposta, del Tribunale di Pescara da cui prende spunto il presente lavoro, v. Dolmetta, Rilevanza usuraria dell’anatocismo (con aggiunte note sulle «clausole di inadempimento»), in Dirittobancario.it, dove si interpreta la decisione come sostanzialmente imperniata sulla distinzione tra oneri necessari e oneri eventuali nelle voci che formano il costo complessivo dell’operazione. Il Tribunale di Pescara ha preso posizione sulla natura giuridica di tale voce di costo del finanziamento definendola “…penale per estinzione anticipata” ed accumunandola agli interessi di mora che, com’e’ noto, la giurisprudenza ha già da tempo pacificamente equiparato a clausole penali[4]. La previsione contrattuale che disciplina tale voce di costo altro non sarebbe che una clausola penale e costituirebbe il risarcimento del danno subito dalla banca in conseguenza dell’inadempimento contrattuale del mutuatario. Tale inadempimento sembrerebbe riconducibile – pur nel silenzio dell’ordinanza de qua – alla violazione del piano di ammortamento pattuito al momento della concessione della linea di credito; pertanto, la “penale di estinzione anticipata” andrebbe a risarcire il danno subito dall’Istituto di Credito, in conseguenza del mancato introito degli interessi corrispettivi/commissioni/oneri non ancora maturati e dunque inesigibili.
La tesi sostenuta dal Tribunale di Pescara è condivisa da una nutrita e recente giurisprudenza.[5]
Tuttavia, tale interpretazione non è univoca. Infatti, sia alcune pronunce giurisprudenziali[6] sia alcuni autorevoli interpreti[7] hanno conferito a tale voce di costo una natura giuridica completamente differente. A mente di questo diverso orientamento, essa costituirebbe una multa penitenziale ex art. 1373 c.c., ovvero la remunerazione che il mutuatario si impegna a riconoscere a favore dell’Istituto di Credito per l’esercizio del diritto di recesso (cd. prezzo del recesso).
In dottrina c’è anche chi assume una posizione intermedia per cui tale voce di costo avrebbe “…una natura composita sia di multa penitenziale sia di clausola penale in quanto se da un lato, è vero che il recesso anticipato dal mutuatario è una facoltà prevista dall’art. 1373 c.c., tuttavia, al contempo l’esercizio di tale facoltà costituisce anche un inadempimento all’obbligo di non restituire ante tempus (per il mutuatario) e di richiedere ante tempus (per il mutuante)…” (cfr. Fausti, Il Mutuo, cit. 249 ss). Tale tesi è comunque assolutamente minoritaria.
La distinzione sulla natura giuridica del costo per l’estinzione anticipata del finanziamento non è speciosa. Infatti, per una parte della giurisprudenza, suffragata da autorevole dottrina, gli interessi moratori – e più in generale le clausole penali – non rileverebbero ai fini della verifica sul rispetto della normativa antiusura, in quanto svolgerebbero una funzione risarcitoria e, dunque, ontologicamente differente da quella degli interessi corrispettivi. Questi ultimi sono voltia remunerare il mutuante per il finanziamento concesso.
Tale orientamento si pone però in contrasto con quanto recentemente stabilito dalla Corte di Cassazione nella ormai celebre sentenza n. 350/13, la quale, confermando un principio ormai consolidato[8], ha stabilito che anche gli interessi moratori rilevano ai fini della verifica dell’usura della linea di credito concessa.
Anche in questo caso, la conseguenza non è banale. Infatti, se tale voce di costo costituisse un compenso, questo dovrebbe essere ricondotto alla disciplina della multa penitenziale ex art. 1373 c.c. e sarebbe sottratto alla disciplina di cui all’art. 1384 c.c., in materia di riduzione sub iudice della penale per manifesta eccessività[9].
In verità, l’obiter in commento supera tale problematica attribuendo agli interessi risarcitori e a quelli corrispettivi pari dignità ai fini della verifica del rispetto della normativa antiusura. In particolare, per il Collegio abruzzese “…la mora e la penale di estinzione anticipata possono essere tra loro accumunate in quanto entrambe rappresentano un costo del mutuo erogato, seppur solo incerto e potenziale circa il verificarsi in concreto”.
Il principio non è di poco conto.
Infatti, a mente dell’ordinanza in questione, per verificare se il finanziamento concesso rispetti la normativa antiusura al momento della stipula, occorre procedere con un’indagine nelle diverse ipotesi di esecuzione fisiologica e/o patologica del contratto. In buona sostanza dovrà analizzarsi il costo complessivo, anche solo potenziale, dello stesso finanziamento. L’archetipo del contratto di finanziamento sottoposto dalla banca al cliente non può pertanto prevedere modalità di esecuzione del contratto che determinino un costo per il mutuatario la cui espressione in termini di tasso effettivo globale possa essere in concreto superiore al tasso soglia. Se ciò dovesse accadere le conseguenze sarebbero sia l’applicazione dell’art. 1815 2° comma c.c. sia l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato di usura di cui all’art. 644 c.p..
Alla medesima conclusione è giunto anche recentemente il Tribunale di Udine[10], fugando ogni dubbio in materia di verifica del rispetto della normativa anti usura. In particolare, il Tribunale friulano ha considerato rilevanti anche casi limite, quali il pagamento dell’intero finanziamento e degli interessi di mora maturatisolo alla scadenza del piano di ammortamento.
L’autore condivide tale orientamento giurisprudenziale che conferisce all’ente mutante una posizione di responsabilità per gli equilibri del mercato. Tale posizione di garanzia deriva dallo status di operatore professionale della banca che eroga il credito, proprio nell’ambito della propria attività istituzionale. Peraltro, il sistema bancario è oggi dotato di specifiche competenze e strumenti tecnologici all’avanguardia, che gestiscono algoritmi in grado di predisporre paradigmi contrattuali ben conformi alla vigente normativa antiusura.
In ogni caso, l’incertezza interpretativa della normativa vigente, unitamente ad una buona dose di diffidenza reciproca tra il ceto correntista ed il ceto bancario, hanno contribuito, in questi anni, ad aumentare in modo significativo il contenzioso in questo specifico ambito del diritto bancario. Pertanto, un deciso intervento del legislatore appare quanto mai auspicato, proprio nell’interesse delle parti coinvolte e nell’ottica di una pronta ripresa del sistema economico e finanziario del nostro paese.
[1] In Dirittobancario.it.
[2] Art. 125-sexies comma 2 TUB (aggiunto dall’art. 1, d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141) disciplina che, “…in caso di rimborso anticipato, il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito”
[3] (cfr Trib. Bologna Sez. III, 13/02/2012 – massima redazionale 2012 su http://pluris-cedam.utetgiuridica.it; conforme App. Roma, 30/11/1993 – Rass. Dir. Civ., 1996, 193 nota di MORACE PINELLI contr. Commiss. Trib. Centr., 16/04/1988, n. 3408 su Fisco, 1988, 4708 per cui sarebbe assimilato ad una clausola penale)
[4] Premesso che la convenzione con cui si determina la misura degli interessi moratori ben può essere assimilata ad una clausola penale, in quanto essa predetermina l’importo dei danni conseguenti all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie (cfr. Cass. Civ. , sez. III, sentenza 18.11.2010 n° 23273 e conforme Cass. Civ. Sez. 2, 17 marzo 1994 n. 2538; Cass. Civ. Sez. 3, 21 giugno 2001 n. 8481 e Arbitro Bancario e Finanziario- Collegio di Roma n. 260 17.1.2014)
[5] La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito incidenter tantum che “…Qualora si tenga poi conto del fatto che la più recente evoluzione legislativa in materia di rapporti derivanti da operazioni di finanziamento risulta ispirata da una rafforzata tutela del debitore, identificato come contraente debole, al quale vengono semplificati adempimenti ed esclusi oneri – come l’eliminazione delle clausole penali per l’estinzione anticipata dei mutui (D.L. n. 7 del 2007, art. 7) (cfr. Cass. civ. Sez. V, 16-04-2008, n. 9931).
In tema di contratti del consumatore, la clausola penale prevista a carico dell’investitore in caso di estinzione anticipata del finanziamento va definita vessatoria, ai sensi dei già citati art. 1469 bis, n. 6, c.c. e art. 1469 ter c.c., qualora sia manifesta l’eccessività dell’importo che la Banca può ottenere dall’investitore che receda dal rapporto prima della scadenza negozialmente stabilita, e considerando, altresì, che la Banca stessa non ha provato o dedotto che la clausola “de qua” sia stata oggetto di specifica trattativa con il cliente (cfr Trib. Genova Sez. I, 23/08/2005 su http://pluris-cedam.utetgiuridica.it massima redazionale 2005);
Per la Corte d’Appello di Roma “…la banca trarrebbe dall’esecuzione del negozio, sempre e comunque, enormi vantaggi lucrando sugli interessi che maturano sul finanziamento erogato, sull’acquisto degli strumenti finanziari emessi da società del gruppo MPS, sulle commissioni e sull’eventuale penale dovuta per l’estinzione anticipata del rapporto” (cfr. App. Roma Sez. III, Sent., 24-02-2012)
Il pagamento della penale prevista in caso di estinzione anticipata di un mutuo discendendo da una manifestazione di volontà dell’ente locale di modificare l’originario negozio, si configura quale onere straordinario di gestione corrente (cfr C. Conti Lombardia Sez. contr. Parere, 27/05/2011, n. 317).
[6] A tal proposito il Tribunale di Roma ha stabilito che “…In tema di mutuo fondiario, in conformità all’orientamento giurisprudenziale per il quale non hanno carattere vessatorio le clausola riproduttive del contenuto di norme di legge, non può ritenersi vessatoria la clausola contrattuale che, nel prevedere l’ipotesi di estinzione anticipata totale o parziale del mutuo, riconosce all’Istituto un compenso in misura percentuale sul capitale anticipatamente restituito nonché una quota aggiuntiva, se positiva, pari alla differenza tra il valore delle rate a scadere attualizzato (nella specie al tasso Euribor tre mesi denaro del mese precedente la data di estinzione) e l’importo rimborsato. In tal caso, difatti, la multa penitenziale dovuta dai mutuatari viene calcolata secondo due diversi criteri che, però, in conformità a quanto previsto dall’art. 40 T.U.B., presentano in comune l’elemento essenziale di utilizzare, come parametro di riferimento, l’ammontare del capitale restituito anticipatamente (cfr. App. Roma Sez. II, 06/04/2006 http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/massima redazionale 2006).
[7] Con riguardo invece alla clausola penitenziale o per estinzione anticipata va notato che si tratta di clausola diversa da quella penale che non presuppone l’inadempimento di una delle parti (cfr. art. 1373 c.c.) (cfr. Profili civilistici dell’usura nel contratto di mutuo e di apertura di credito di Dott. Mauro Bernardi – Magistrato in Mantova – su ilcaso.it doc. 183/2009 – sez. II Dottrina, opinioni interventi).
Nel senso di identificare il compenso contrattualmente stabilito come ‘multa penitenziale’, SEPE, Commentario al testo unico delle Leggi in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa, Capriglione, Padova 1998, ed analogamente, criticando la ricostruzione in termini di penale DE NOVA.
[8] Conformi Corte Costituzionale con sentenza n. 29 del 25.2.2002 e dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 5324 del 2003.
[9] Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 18128/2005.
[10] Sul punto “…nello scenario peggiore per il finanziato sopra segnalato (inadempimento di tutte le rate ma pagamento di tutte le more maturate), il costo effettivo annuo del contratto comprensivo dell’incidenza della mora, mai si sarebbe potuto contenere entro la soglia di usura” (cfr. Tribunale di Udine seconda sezione civile del 26.9.2014 su www.dirittobancario.it).