Sommario: 1. Il tema di indagine. 2. La posizione della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze. 3. Le posizioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario. 4. La posizione della giurisprudenza. 5. Computabilità e rilevanza degli interessi di mora ai fini usura.
1. Il tema di indagine
Questione assai complessa e dibattuta di recente concerne, nell’ambito della disciplina anti usura, la computabilità e rilevanza degli interessi di mora.
Sul punto le opinioni espresse dalla Banca d’Italia, dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e dell’Arbitro Bancario e Finanziario risultano diverse e, talvolta, persino antitetiche.
Pare quindi opportuno dapprima ricostruire le diverse posizioni, per poi esprimere alcune considerazioni critiche.
2. La posizione della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze
Occorre in primo luogo considerare che le istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura adottate da Banca d’Italia escludono, espressamente, quali oneri oggetto di rilevazione “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo” (1).
Nei decreti ministeriali di rilevazione del TEGM e nella relativa nota metodologica, in modo pressoché costante dal 2003 sino ad oggi, gli interessi di mora sono esclusi dalla rilevazione dei tassi effettivi globali medi. Gli interessi di mora sono rilevati “separatamente”, nella loro misura media pari a 2,1 punti percentuali, ciò sulla base di una indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia nel 2002 (2).
Anche di recente la Banca d’Italia, nella nota di “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” datata 3 luglio 2013 (disponibile sul sito www.bancaditalia.it), ha ribadito le motivazioni poste alla base della “scelta” di non includere gli interessi di mora nel calcolo del TEGM (3).
Nella stessa nota di “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” datata 3 luglio, peraltro, la Banca d’Italia ha rilevato che “gli interessi di mora sono assoggettati alla normativa anti-usura”. Ad avviso dell’Autorità di vigilanza, quindi, l’esclusione degli interessi di mora dalla rilevazione e calcolo del TEGM non esclude che gli stessi oneri siano “estranei” alla normativa anti-usura.
Per Banca d’Italia, quantomeno ai fini di vigilanza, occorre quindi procedere con un “ulteriore calcolo” allorquando vi siano interessi di mora e si voglia verificare il rispetto della normativa anti-usura. In particolare, ad avviso dell’Autorità di Vigilanza, “per evitare il confronto con tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora) i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali. In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d’Italia adotta nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo” (Banca d’Italia, nota di “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013, www.bancaditalia.it).
Occorre infine ricordare che, sebbene rilevi a diversi fini e ferma la (necessaria ed opportuna) distinzione tra TEGM e TAEG, la disciplina, comunitaria e nazionale, esclude la computabilità e rilevanza degli interessi di mora in materia di TAEG (4).
3. Le posizioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario
Anche in tema di interessi di mora e usura l’Arbitro Bancario e Finanziario si è ripetutamente pronunciato.
Un primo ordine di decisioni del Collegio di Napoli hanno posto l’accento sulla asserita circostanza che l’applicazione degli interessi di mora non si cumulerebbe con l’applicazione degli interessi corrispettivi, essendo gli interessi di mora “sostitutivi” degli interessi corrispettivi (5).
Lo stesso Collegio di Napoli dell’Arbitro Bancario e Finanziario ha di recente, nel 2014, escluso “in linea di principio gli interessi di mora dalla valutazione dell’usura” sulla base di una motivazione che poggia su plurime considerazioni.
In primo luogo, l’ABF di Napoli ha enfatizzato la differenza funzionale tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, nonché l’assenza di diretta correlazione tra le condizioni di erogazione del credito e gli interessi di mora (6).
Lo stesso Collegio di Napoli dell’ABF ha poi messo in luce l’unitarietà dell’obbligazione debitoria che rappresenta la base di calcolo degli interessi moratori (7).
Importanti considerazione sul tema della rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura sono state svolte anche Collegio di Roma dell’Arbitro Bancario e Finanziario che, discostandosi dall’orientamento sopra richiamato del Collegio di Napoli, rileva che “rispetto alle rate scadute gli interessi moratori (non si sostituiscono ma) vengono ad aggiungersi a quelli corrispettivi” (8).
Il Collegio di Roma sembra, peraltro, escludere la rilevanza ai fini usura degli interessi di mora e ciò, in primo luogo, valorizzando il dato letterale di cui alle norme di riferimento (9).
Lo stesso Collegio di Roma dell’ABF, inoltre, rimarca la differenza funzionale tra interessi di mora e interessi corrispettivi su cui, peraltro, poggia anche la “scelta” di Banca d’Italia di non computare gli interessi di mora nelle rilevazione del TEGM (10).
Un giudizio dubbioso è stato peraltro espresso dal Collegio di Roma dell’ABF in relazione all’orientamento della Banca d’Italia che, come visto, ai fini di vigilanza, propone di ricalcolare il tasso soglia utilizzando la rilevazione statistica, peraltro datata, secondo cui gli interessi di mora “medi” sarebbero pari a 2,1 punti percentuali (11).
Il Collegio di Roma, esclusa la computabilità ai fini del TEG degli interessi di mora, conclude affermando che qualora il tasso convenzionale degli interessi di mora fosse eccessivo risulta applicabile il rimedio della riduzione equitativa da parte del giudice ex art. 1384 c.c. (12).
In ogni caso il Collegio di Roma considerata “la particolare rilevanza della questione” ha rimesso la questione al Collegio di Coordinamento (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
4. La posizione della giurisprudenza
In tema di interessi di mora ed usura, l’esame della giurisprudenza non può che muovere dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2002 chiamata a pronunciarsi sulla legge di interpretazione autentica contenuta nel d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in legge con modificazioni dall’art. 1 della l. 28 febbraio 2001, n. 24.
Il giudice delle leggi, sebbene in un obiter dictum, ha affermato la rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa anti usura (13).
Al pari la Cassazione, in numerose sentenze, ha affermato che (anche) gli interessi di mora rilevano ai fini della normativa anti-usura (14).
Anche i giudici di merito, con diverse motivazioni, hanno sovente affermato la rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa anti-usura (15).
Non sono mancate, peraltro, in giurisprudenza e dottrina, posizioni volte ad escludere la rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica usura (16).
5. Computabilità e rilevanza degli interessi di mora ai fini usura
Nell’esame della “relazione” tra interessi di mora e normativa anti-usura spesso si sovrappongono due piani che, a ben vedere, dovrebbero essere tenuti distinti e (quantomeno in prima battuta) singolarmente considerati.
Il primo piano attiene alla computabilità, opportuna o necessaria, degli interessi di mora ai fini della rilevazione e determinazione dei tassi effettivi globali medi.
Banca d’Italia e Ministero dell’Economia e delle Finanze escludono, come detto, la computabilità degli interessi di mora nel processo di rilevazione e determinazione dei tassi effettivi globali medi. Gli interessi di mora sono stati rilevati “separatamente”, nella loro misura media pari a 2,1 punti percentuali, ciò sulla base di una indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia nel 2002.
La prima domanda cui occorre (tentare di) dare risposta concerne proprio la legittimità ed opportunità della scelta della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze di “escludere” gli interessi di mora dal calcolo dei tassi effettivi globali medi.
Tale scelta, si anticipa, appare legittima e opportuna.
Quanto al profilo della legittimità della scelta di escludere gli interessi di mora dal computo dei tassi effettivi globali medi, si evidenzia come l’art. 644, 1° co. c.p., definisca usurari gli oneri (tra cui gli interessi), dati o promessi “in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità”.
Ebbene, gli interessi di mora non possono certo qualificarsi, sotto il profilo funzionale, quale corrispettivo di una prestazione di denaro ma hanno, come noto, una funzione risarcitoria assimilabile ad una clausola penale.
L’art. 644., 4° co. c.p., prevede che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tenga conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese “collegate all’erogazione del credito”.
Gli interessi di mora sono un onere eventuale, non dovuto dal momento ed in ragione dell’erogazione del credito, ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. Di per sé, quindi, gli interessi di mora non sono strettamente e propriamente collegati all’erogazione del credito, bensì all’inadempimento del cliente all’obbligo di pagamento.
Passando al profilo dell’opportunità dell’inclusione degli interessi di mora nel calcolo del TEGM, occorre in primo luogo considerare che la rilevazione non potrebbe che considerare quali rilevanti gli interessi di mora convenuti nel contratto di credito, ossia oneri “applicabili” solo in via eventuale.
L’inclusione degli interessi di mora nel TEGM andrebbe ad innalzare i tassi soglia, con detrimento per tutti i prenditori. Banche ed intermediari finanziari potrebbero, in ipotesi, ridurre la misura degli interessi di mora ed innalzare (per tutti i rapporti) la misura degli interessi corrispettivi.
L’inclusione degli interessi di mora nel calcolo dei tassi effettivi globali medi, quindi, si risolverebbe in un probabile pregiudizio per tutti i clienti e ciò in ragione della inclusione di elementi tipici non dei rapporti che abbiano una evoluzione fisiologica, bensì di elementi (quali gli interessi di mora) propri di andamenti anomali del rapporto.
Occorrerebbe poi considerare, sempre ove si intenda procedere con l’inclusione degli interessi di mora nel calcolo dei tassi effettivi globali medi, che sussiste una profonda differenza tra interessi corrispettivi ed interessi moratori con riferimento alla base di calcolo ed ai periodi di applicazione.
Gli interessi corrispettivi si applicano all’ammontare totale del credito e per il periodo di durata del finanziamento. Gli interessi di mora si applicano, invece, all’ammontare delle rate non pagate e per il periodo dell’inadempimento.
Se gli interessi di mora fossero, in ipotesi, conteggiati in astratto ai fini della rilevazione nel TEGM sull’intero ammontare del finanziamento e per tutto il periodo di durata del finanziamento, ancora una volta l’effetto che si avrebbe sarebbe un innalzamento dei tassi medi. Senza considerare poi l’oggettiva difficoltà di procedere al conteggio nei rapporti a tempo indeterminato.
In conclusione, anche sotto il profilo dell’opportunità della non inclusione degli interessi di mora nel calcolo dei tassi effettivi globali medi, la scelta della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze appare sia condivisibile, specie ove si abbia realmente a cuore la sorte dei clienti prenditori del credito.
In ogni caso, si condividano o meno le suddette considerazioni, resta il fatto incontestabile che le istruzioni per la rilevazioni dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura adottate da Banca d’Italia, nonché i decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze di pubblicazione dei TEGM, escludono gli interessi di mora dal relativo computo.
Tale semplice considerazione conduce a ritenere non legittimo, sotto il profilo giuridico (e prima ancora matematico-finanziario) il confronto tra tasso soglia desunto dal TEGM pubblicato (come detto privo degli interessi di mora) e TEG del singolo rapporto (comprensivo degli interessi di mora, pattuiti o effettivamente applicati secondo le preferenze).
Si tratta di realtà tra loro non comparabili in quanto marcatamente disomogenee. Sia perdonata la (voluta) grossolanità dell’esempio, sarebbe come voler confrontare le mele con le pere.
Fermo che gli interessi di mora non sono computati ai fini della rilevazione e pubblicazione dei tassi effettivi globali medi, occorre approfondire il “secondo” piano della questione, ossia domandarsi se gli interessi di mora siano rilevanti o meno ai fini della normativa anti-usura.
Ove si abbia a mente il contenuto letterale dell’art. 644, 1° e 4 ° co c.p., la diversità funzionale degli interessi di mora rispetto agli interessi corrispettivi e la considerazione, fattuale, che i tassi effettivi globali medi pubblicati non computano gli interessi di mora, potrebbe concludersi per la non “rilevanza” degli interessi di mora ai fini della normativa anti-usura.
Tale soluzione, peraltro, si scontra con il c.d. “diritto vivente” nelle decisioni giurisprudenziali che, con innegabile forza, propende per una rilevanza degli interessi di mora nella valutazione dell’equilibrio del carico economico in capo al debitore.
Presupposta (come detto in termini di diritto vivente) l’esigenza di considerare quali rilevanti gli interessi mora, l’esame non può che condursi in termini di individuazione: a) del criterio di rilevanza; b) del rimedio esperibile dal cliente in caso di rilevata sproporzione.
Muovendo dal criterio di rilevanza, si è già detto che non appare corretto operare un confronto tra due realtà disomogenee, in cui la prima (tassi soglia desunti dai TEGM pubblicati) sia priva degli interessi di mora e la seconda (TEG del singolo rapporto) comprenda gli interessi di mora.
A ben vedere, oggi, ai sensi dell’art. 644, 3° co. c.p., la soglia determinata dalla legge non comprende gli interessi di mora.
La ricerca (forse fallace per definizione) di un criterio alternativo rispetto alla soglia fissata per legge può condurre a diverse strade, tra loro alternative.
Il criterio indicato, ai “meri fini di vigilanza” da parte della Banca d’Italia prevede di aggiungere 2,1 punti ai TEG medi pubblicati e, su tale valore, determinare quindi la “nuova” soglia inclusiva degli interessi di mora.
Le criticità di tale criterio sono notevoli. In primo luogo, la maggiorazione di 2,1 punti trae origine da un’indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia nel (lontano) 2002 e mai più aggiornata. Non vi è quindi alcuna plausibile certezza che tale valore possa essere oggi rappresentativo.
Si aggiunga poi che, attraverso il suddetto criterio proposto dalla Banca d’Italia, si finisce per operare un conteggio unico, inclusivo di interessi corrispettivi e di mora, ossia si diluiscono in un unico computo due realtà che dovrebbero rimanere partitamente considerate, riferite alle diverse fasi, fisiologica (interessi corrispettivi) e patologica (interessi di mora), del rapporto, fasi che si connotano di profonde differenze in termini di base di calcolo, periodo di rilevanza e, soprattutto, di diversi metri di giudizio di “proporzionalità” quanto a carico economico in capo al cliente.
Tali considerazioni spingono ad andare ancora oltre, alla ricerca (si ripete fallace per definizione) di un criterio alternativo sia alla soglia fissata per legge (ex art. 644, 3° co. c.p.), sia alla soglia rideterminata da Banca d’Italia secondo quanto sopra ricordato.
Gli interessi di mora, per quanto detto, dovrebbero rilevare di per sé. Accanto alla (necessaria e legittima) verifica d’usurareità di un rapporto effettuata considerando gli interessi corrispettivi e gli ulteriori oneri computati nei TEG medi, si potrebbe ipotizzare una verifica specifica e separata riferita ai soli interessi di mora.
Tale verifica potrebbe, ma non dovrebbe necessariamente, essere operata avendo come entità di riferimento la maggiorazione di 2,1 punti di cui all’indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia nel 2002. Pare evidente che sarebbe preferibile avere a disposizione un dato maggiormente aggiornato, se del caso rilevato dalla stessa Banca d’Italia.
A fronte di tale criterio di rilevanza, il rimedio esperibile per il cliente in caso di accertata sproporzione dovrebbe essere individuato nell’art. 1384 c.c. e, quindi, nella riduzione della penale secondo equità. Il dato della maggiorazione media potrebbe, in tal senso, essere utile ma non decisivo e vincolante per il giudice.
1
) Nel “Resoconto della consultazione sulla disciplina in materia di usura – 2009” pubblicato da Banca d’Italia, disponibile sul sito www.bancaditalia.it, la stessa Autorità di Vigilanza ha rilevato che “gli interessi di mora sono esclusi dalla rilevazione del TEG in quanto riferiti a situazioni di deterioramento del rapporto e a casi di inadempimento, che normalmente determinano un inasprimento delle condizioni economiche inizialmente applicate. L’eventuale inclusione degli interessi di mora nel TEG andrebbe ad innalzare le soglie applicabili ai rapporti normali, lasciando margini per ingiustificati incrementi nell’onerosità del finanziamento. E’ allo studio una rilevazione degli interessi di mora, separata dal TEG, che potrà fornire utili informazioni per le valutazioni sulla usurarietà dei tassi, anche nei casi di morosità del debitore”.
2
) L’art. 3, comma 4, dei decreti ministeriali di rilevazione del TEGM, prevede che “i tassi effettivi globali medi di cui all’articolo 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”.
Nella nota metodologica allegata ai decreti ministeriali di rilevazione del TEGM si chiarisce che “nell’anno 2002 la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi hanno proceduto a una rilevazione statistica riguardante la misura media degli interessi di mora stabiliti contrattualmente. La rilevazione ha riguardato un campione di banche e di società finanziarie individuato sulla base della distribuzione territoriale e della ripartizione tra le categorie istituzionali. In relazione ai contratti accesi nel terzo trimestre del 2001 sono state verificate le condizioni previste contrattualmente; per le aperture di credito in conto corrente sono state rilevate le condizioni previste nei casi di revoca del fido per tutte le operazioni in essere. In relazione al complesso delle operazioni, il valore della maggiorazione percentuale media è stato posto a confronto con il tasso medio rilevato”.
3
) Ad avviso della Banca d’Italia, “gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo, che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora” (Banca d’Italia, nota di “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 3 luglio 2013, www.bancaditalia.it).
4
) Per quanto concerne la disciplina comunitaria del TAEG, “Al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito (…)” (Direttiva 2008/48/CE, art. 19, par. 2). In merito alla normativa (secondaria) nazionale si consideri che dal calcolo del TAEG sono comunque escluse: “le eventuali penali che il consumatore è tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti dal contratto di credito compresi gli interessi di mora” (Provvedimento di Banca d’Italia del 29 luglio 2009 in tema di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti).
5
) “La domanda del ricorrente, quale riveniente dalla combinazione di causa petendie petitum, riposa sul presupposto che, nel quadro delle pattuizioni contrattuali, fosse prevista l’applicazione del tasso dell’interesse attraverso la eventuale sommatoria del tasso contrattuale degli interessi corrispettivi e di quello moratorio, così eccedendo il limite fissato imperativamente dal tasso soglia anti usura. Tale circostanza risulta tuttavia palesemente smentita tanto dalle prescrizioni contrattuali, dove l’applicazione dell’interesse moratorio è prevista come sostitutiva e non additiva rispetto all’interesse corrispettivo, quanto dal resto della documentazione versata in atti. Del pari, la stessa documentazione fornisce testuale conferma che, nei confronti dei ricorrenti, non è mai stato applicato l’interesse di mora, in assenza dei relativi presupposti. L’accertamento di tali elementi in fatto, in uno col principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c. p. c.), conducono conseguentemente al rigetto del ricorso”(ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 5877 del 20 novembre 2013, www.arbitrobancariofinanziario.it. In senso conforme, ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 21/2014, www.arbitrobancariofinanziario.it ).
6
) “Il carattere risarcitorio degli interessi moratori pone questi ultimi su di un piano profondamente diverso dagli interessi corrispettivi. E, soprattutto, in situazioni patologiche li rende riequilibrabili attraverso il rimedio di salvaguardia dettato dall’art. 1384 c.c. (…) Resta la convinzione che l’interesse moratorio, dal punto di vista del debitore, assolve ad un ruolo essenzialmente dissuasivo, ricordandogli che l’inadempimento comporta per lui un aggravio dell’onere. Mentre dal punto di vista del creditore assume un ruolo puramente risarcitorio, non rappresentando un vero e proprio corrispettivo del credito erogato. (…) Il carattere degli interessi moratori e l’indipendenza rispetto alle condizioni di erogazione del credito si desumono anche da un altro punto di vista. Per la banca, ad esempio, la pattuizione di interessi moratori, per quanto detto in precedenza, potrebbe anche mancare del tutto, posto che questi interessi (sia pure in misura pari a quelli corrispettivi) sarebbero comunque dovuti. Essi svolgono sicuramente una funzione di ammonimento verso il debitore, ma non sono determinanti nella formazione del credito, distanziandosi, così, dall’attività bancaria propriamente intesa. Per il cliente, all’opposto, la concreta applicazione degli interessi moratori dipende, in definitiva, solo dal proprio comportamento. Se le rate vengono rimborsate al momento dovuto, ovviamente, non si applicano mai gli interessi di mora. In sostanza, il fatto che tutto dipenda esclusivamente dal debitore e che ci si trovi al cospetto di un fattore non cogente confermano che si è al di fuori del fenomeno dell’usura” (ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 125/2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
7
) “Gli interessi moratori si applicano (sia pur in misura corrispondente alla durata dell’inadempimento) sulla rata non riscossa, che comprende, per più (come nella specie), sia il capitale sia gli interessi corrispettivi. Sicché, diviene inevitabile chiedersi se quest’applicazione di interessi (moratori) su interessi (corrispettivi) sia legittima e se il tema dell’usura, uscito dalla porta non finisca, per così dire, con rientrare dalla finestra. (…). Al momento dell’inadempimento, infatti, ci si trova al cospetto dell’unica obbligazione che il debitore è tenuto a soddisfare per capitale e interessi. Quest’unitarietà risulta confermata, ad esempio, dalle regole in tema di imputazione, che non lasciano spazio al debitore di scegliere tra l’una o l’altra obbligazione all’atto del pagamento. Ed è ulteriormente dimostrata dal modo di operare degli interessi moratori, che si applicano all’intero debito inadempiuto, senza dar rilievo a capitale e interessi. In sostanza l’inadempimento della rata non può che trasformare le due obbligazioni, seppur originariamente distinguibili, in un unico debito (…). Se, come visto, l’obbligazione è unitaria ed inscindibile al momento dell’inadempimento il problema viene risolto in radice perché non si crea un fenomeno anatocistico” (ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 125/2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
8
) “Si deve rilevare infatti che il decorso degli interessi moratori sostituisce quello degli interessi corrispettivi soltanto a partire dal giorno in cui il mutuante provochi la risoluzione del contratto per l’inadempimento del mutuatario. Quest’ultimo deve allora provvedere sì «alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nella semestralità a scadere, dovendosi invece calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora a un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale, secondo quanto previsto dall’art. 1224, 1° comma, c.c.» (Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2008, n. 12639).
Ciò non toglie che, com’è stato chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione che è stata appena menzionata, il mutuatario resti obbligato «al pagamento integrale delle rate già scadute» prima della risoluzione del contratto per il suo inadempimento: egli sarà pertanto obbligato al pagamento degli interessi moratori non soltanto sulla quota di capitale, ma anche su quella di interessi che è incorporata in ciascuna delle rate già scadute. In tal senso, si è più recentemente pronunciata anche Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2013, n. 21885: «In tema di mutuo fondiario è prevista la decorrenza automatica degli interessi corrispettivi maturati alle singole scadenze e l’applicabilità degli interessi di mora sugli importi a tale titolo dovuti, al pari del capitale versato».
In altri termini, quanto dovuto dal mutuatario a titolo di interessi corrispettivi produce a sua volta interessi moratori, verificandosi così un fenomeno di anatocismo ai sensi dell’art. 120, 2° comma, t.u.b. Se ne trova del resto un’espressa conferma nella deliberazione che, proprio sulla base di tale disposizione di legge, è stata emanata dal CICR il 9 febbraio 2000 (Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, 2° comma, del testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del decreto legislativo n. 342/1999), il cui art. 3, 1° comma, così prevede: «Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento […]».
E’ pertanto evidente che, rispetto alle rate scadute, gli interessi moratori (non si sostituiscono, ma) vengono ad aggiungersi a quelli corrispettivi.” (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
9
) “A ciò consegue che, laddove l’art. 644, 4° comma, c.p. fosse ritenuto applicabile anche agli interessi moratori, il loro tasso dovrebbe essere sommato a quello degli interessi corrispettivi convenuti tra le parti contraenti, al fine di accertare se sia stato superato il limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dall’art. 2, 4° comma, della legge n. 108 del 1996.
A sostegno delle loro domande, i ricorrenti hanno invocato l’applicazione del principio di diritto che è stato affermato da Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, secondo il quale «ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori».
Nella motivazione di tale sentenza si richiama espressamente il precedente di Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2003, n. 5324, il quale ha stabilito che: «In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori […]». Si richiama inoltre la sentenza della Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, la quale, sia pure in un passaggio incidentale della motivazione, ha affermato che: «va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto all’art. 1, 1° comma, del decreto-legge n. 394 del 2000 agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori». Già in precedenza, Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2000, n. 5286 aveva infatti deciso che: «L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla l. 7 marzo 1996 n. 108 vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori».
Potrebbe peraltro obbiettarsi che il dettato dell’art. 644, 1° comma, c.p. inequivocabilmente stabilisce che possano essere usurari gli interessi dati o promessi «in corrispettivo di una prestazione di denaro o di ogni altra utilità», ossia quegli interessi che si qualificano appunto come corrispettivi, in quanto costituiscono la prestazione sinallagmatica della dazione di una somma di denaro da parte del mutuante e del suo passaggio in proprietà del mutuatario, ai sensi dell’art. 1814 c.c. Tali evidentemente non sono gli interessi moratori, i quali, secondo quanto si desume in modo inequivoco fin dalla rubrica dell’art. 1224 c.c., costituiscono invece una preventiva e forfetaria liquidazione del danno risarcibile che l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria ha cagionato al creditore.
Né varrebbe in contrario osservare che il già menzionato art. 1, 1° comma, del d.-l. n. 394 del 2000, provvedendo a interpretare autenticamente l’art. 644 c.p. e l’art. 1815, 2° comma, c.c., avrebbe chiarito che possono essere usurari gli interessi promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», e pertanto anche quelli moratori.
Per quanto qui rileva, già il dettato dell’art. 644, 1° comma, c.p. fa riferimento agli interessi che una parte «si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma», ma ciò non toglie che essi siano proprio e solo quelli corrispettivi: l’inciso finale di tale espressione legislativa chiarisce piuttosto che possono essere usurari anche quegli interessi (corrispettivi) che siano dissimulati o che comunque, in frode al divieto imperativo posto dalla medesima disposizione di legge, siano convenuti in un apposito patto aggiunto o contrario al contratto stipulato tra le parti. Poiché l’espressione di interessi «promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo» che è impiegata dall’art. 1, 1° comma, del d.-l. n. 394 del 2000 non risulta avere un significato diverso, si deve ritenere che l’entrata in vigore di quest’ultimo provvedimento legislativo non abbia ampliato l’àmbito oggettivo di applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art.1815, 2° comma, c.c. a una categoria di interessi (quelli moratori, appunto) che in precedenza non vi rientrava.
In realtà, l’autonomo contenuto precettivo dell’art. 1, 1° comma, del d.-l. n. 394 del 2000 è consistito nel limitare l’applicazione delle suddette disposizioni legislative agli interessi (corrispettivi) che fossero usurari al giorno in cui essi sono promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», escludendo invece che esse siano altresì applicabili agli interessi (corrispettivi) che siano divenuti usurari durante l’esecuzione del contratto. Ciò risulta chiaro, se si considera che i presupposti di necessità e di urgenza per l’emanazione del decreto-legge di cui si tratta sono espressamente individuati negli «effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale»: gli effetti di tale sentenza si riferiscono infatti all’usurarietà c.d. sopravvenuta degli interessi corrispettivi, non riguardando invece quelli moratori (…)” (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
10
) “Invero, gli interessi moratori realizzano una liquidazione preventiva e forfetaria del danno risarcibile, e, pertanto, la clausola che ne determina convenzionalmente l’ammontare è certamente assimilabile alle “penali” cui fanno specifico riferimento i testi comunitari.
Sembrerebbe così trovare ulteriore conferma la validità dell’orientamento espresso dalle già menzionate “Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura”, le quali dispongono che «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo» siano esclusi dal calcolo del TEGM (paragrafo C4, Trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG). – Tale precisazione è riportata anche nei decreti ministeriali che, ai sensi dell’art. 4, 1° comma, l. n. 108 del 1996, periodicamente rilevano il TEGM – D’altro canto, com’è stato osservato dalla Banca d’Italia nei Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura del 3 luglio 2013, l’eventuale inclusione degli interessi moratori nel calcolo del TEGM avrebbe una conseguenza giuridicamente ed economicamente perversa, risolvendosi in un vero e proprio pregiudizio a carico dei clienti delle banche e degli intermediari abilitati. In tal caso, posto che il tasso degli interessi moratori è naturalmente maggiore di quello degli interessi corrispettivi, si verificherebbe infatti un aumento del TEGM, facendo così innalzare il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ai sensi dell’art. 644, 3° comma, c.p. e dell’art. 2, 4° comma, della legge n. 108 del 1996” (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
11
) “La Banca d’Italia ha peraltro di recente riconosciuto che “anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura”, con la precisazione che, in relazione ad essi, l’usura andrebbe accertata sulla base di un tasso soglia diverso, risultante dalla maggiorazione di 2,1 punti percentuali dei tassi globali medi periodicamente rilevati e pubblicati con decreti del ministro del Tesoro (ora dell’Economia) ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 108 del 1996 (Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura, 3 luglio 2013); maggiorazione che – come si ricava in una nota illustrativa contenuta nei citati decreti – corrisponde a quella rilevata come “mediamente stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento”, a seguito un’indagine statistica eseguita nel 2002 “a fini conoscitivi” dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi.
La legittimità dell’introduzione di un tasso soglia diverso e più elevato per la rilevazione dell’usura, in presenza di interessi moratori, appare tuttavia dubbia, se si considera che le norme in tema di usura non contemplano alcuna deroga, né prevedono alcuna differenziazione del tasso soglia connessa alla funzione assolta dall’interesse.
Sarebbe d’altro canto incongruo ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori possa essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore” (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
12
) “Deve comunque escludersi che la determinazione convenzionale degli interessi moratori sfugga, sotto il profilo quantitativo, ad ogni controllo di legittimità. Da tempo, invero, è stata riconosciuta la “confluenza nel rapporto negoziale – accanto al valore costituzionale della «iniziativa economica privata» (sub art. 41) che …. si esprime attraverso lo strumento contrattuale – di un concorrente «dovere di solidarietà» nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.).”. E da tale dovere è stata desunta «l’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie» (C. Cost. n. 19 del 3 febbraio 1994; Cass. n. 10511 del 24 settembre 1999; ABF, Coll. coord. n. 77 del 10/01/2014) .
La determinazione convenzionale degli interessi moratori, come si è già osservato, realizza una liquidazione preventiva e forfetaria del danno risarcibile e può essere quindi assimilata alla clausola penale.
Da ciò consegue che, laddove il tasso convenzionale degli interessi moratori sia manifestamente eccessivo, esso potrà essere diminuito equamente dal giudice, ai sensi dell’art. 1384 c.c., anche d’ufficio (Cass. 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. sez. un. 13 settembre 2005, n. 18128). Fermo restando che rispetto ai consumatori – ed è questo il caso di specie – la “manifesta eccessività” rende la clausola determinativa, che non sia stata oggetto di trattativa, fino a prova contraria “abusiva” e, come tale, nulla (art. 33, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 206/05, in relazione all’art. 36 dello stesso decreto).
Resta inteso, a giudizio del Collegio, che le conseguenze della manifesta eccessività del tasso convenuto vengono ad incidere solo sugli interessi moratori (art. 1224 c.c.) e non anche su quelli corrispettivi inglobati, nelle rate già scadute (art. 1282 c.c.), ai quali quelli moratori vengono a sommarsi, a partire dalla data della mora.
Onde evitare ingiustificate disparità nella individuazione della “manifesta eccessività”, potrebbe infine farsi riferimento alla maggiorazione di 2,1 punti percentuali prevista dai decreti ministeriali sulla rilevazione e la pubblicazione dei tassi globali medi ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n.108 del 1996, già richiamati. Trattasi, invero, di maggiorazione corrispondente a quella mediamente stabilita dalle parti per compensare l’aggravio di costi determinato dall’inadempimento del debitore e appare quindi ragionevole ritenere gli importi ad essa superiori “manifestamente eccessivi”, in mancanza di prove più specifiche” (ABF, Collegio di Roma, decisione n. 260 del 17 gennaio 2014, www.arbitrobancariofinanziario.it).
13
) “Il riferimento contenuto nell’art. 1, comma 1, del decreto- legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori” (Corte Costituzionale, 25 febbraio 2002, n. 29, Guida al Diritto 2012, 5, 70).
14
) “Ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori” (Cass. 9 gennaio 2013, n. 350, www.ilcaso.it. In senso conforme Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, Giustizia Civile 2000, 3099; Cass. 4 aprile 2003, 5324, Giustizia Civile Massimario 2003, 4).
In termini analoghi, “Va subito detto che, proprio con riferimento a tale ultima disposizione, la non copiosa, giurisprudenza di merito e la dottrina si sono occupate essenzialmente del problema delle conseguenze sui contratti di mutuo già stipulati alla data di entrata in vigore della nuova normativa in altri termini, con esclusivo riguardo alla natura compensativa degli interessi pattuiti. Tuttavia, non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nell’ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori, risultati di gran lunga accedenti lo stesso tasso soglia: va rilevato, infatti, che la legge n. 108 del 1996 ha individuato un unico criterio ai fini dell’accertamento del carattere usurario degli interessi (la formulazione dell’art. 1, 3 comma, ha valore assoluto in tal senso) e che nel sistema era già presente un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione, come emerge anche dell’art. 1224, 1 comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”. Il ritardo colpevole, poi, non giustifica di per sè il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (Cass. 22 aprile 2000, n. 5286, Giurisprudenza Italiana, 2000, I, 1665).
15
) “L’art. 1815 co. II, c.c. esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie (…) esso prevede la conversione forzosa del mutuo usurario in mutuo gratuito, in ossequio alla maggiore tutela del debitore (…) la sanzione così stabilita dell’abbattimento del tasso di interesse applicabile si applica a qualunque somma fosse dovuta a titolo di interesse legale o convenzionale, sia agli interessi corrispettivi che agli interessi moratori (…)” (App. Venezia, 18 febbraio 2013, www.ilcaso.it).
“E’ indubbio che il divieto di usura colpisce anche gli interessi moratori e che la determinazione del pertinente “tasso soglia”, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari deve farsi ai sensi della legge 7.3.1996 n. 108. La giur. in proposito è pacifica: Cass. 22.4.2000 n. 5286; Cass. 17.11.2000 n. 14899; Cass. 13.6.2002 n. 8442; Cass. 4.4.2003 n. 5324. 4.3.2. è altresì indubbio che il D.M. 25.3.2003 e quelli successivi hanno ritenuto di non provvedere a un autonomo e distinto rilievo del tasso di interesse moratorio medio per ogni singola categoria di operazioni e indicato la “maggiorazione media” dell’interesse corrispettivo normalmente applicata per il caso di mora nella generalità delle operazioni. Il “tasso di interesse moratorio medio” si desume pertanto dalla sommatoria del TEGM pertinente alla singola operazione (mutuo, apertura di credito, leasing etc.) e della maggiorazione media di mora, pari al 2,1% (v. per l’applicazione pratica elaborato 2 C.T.U.). Il tasso così ottenuto, indicando valori medi di mercato in entrambe le sue componenti, deve poi aumentarsi della metà al fine di ricavarne “il limite – oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” ai sensi dell’art. 2 comma 4 della legge n. 108”. (Trib. Torino, 3 novembre 2006, Responsabilità civile 2006. Sul punto si vedano anche Trib. Campobasso, 3 ottobre 2000, Foro Italiano 2001, I, 333; Trib. Roma, 10 luglio 1998, Foro Italiano 1999, I, 343; Trib. Napoli, 19 maggio 2000, Giurisprudenza italiana 2000, 1665; Trib. Bologna, 19 giugno 2001, Corriere Giuridico 2001, 1347; Tribunale di Napoli, 19 maggio 2000, Giurisprudenza italiana, 2000, 1665).
16
) In dottrina, Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in I Contratti 2014, 85; Realmonte, Stato di bisogno e condizioni ambientali, nuove disposizioni in tema di usura e tutela civilistica della vittima civile del reato, in RDC, 1997, pag. 777; Oppo Lo squilibrio contrattuale tra diritto civile e penale, Riv. dir. civ, 1999, 42.