1. Premessa
Con la risoluzione 97/E del 2013, l’Agenzia delle Entrate ha fornito interessanti chiarimenti circa il trattamento fiscale ai fini IVA relativo ai servizi di controllo e sorveglianza svolti dalle banche depositarie (cfr. art. 38 T.U.F. – D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) nei confronti delle società di gestione del risparmio (SGR), per conto degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) dalle stesse costituiti, qualora tali prestazioni siano svolte nell’ambito di un unico contratto di servizi e con la previsione di un corrispettivo indistinto comprensivo di attività all’un tempo imponibili ad IVA ed esenti.
All’origine del sopra citato documento di prassi, vi è la richiesta di consulenza giuridica avanzata dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI), interessata a conoscere il parere della Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Amministrazione finanziaria circa l’interpretazione da attribuire alla previsione di cui all’art.10, primo comma, n. 1) del d.P.R. 633/1972 che riconduce, in via generale, nell’alveo delle operazioni esenti quelle connesse alla gestione dei fondi comuni di investimento.
L’esigenza manifestata dall’ABI – nata a seguito della nota sentenza 4 maggio 2006, causa C-169/04 c.d. <<Abbey National>> emessa dalla Corte di giustizia UE in merito alla nozione di “gestione dei fondi comuni di investimento” così come prevista dall’art. 13, parte B), lett. d) punto 6 della sesta direttiva 77/388/CEE1 ed all’ambito di applicazione del regime di esenzione da IVA per le prestazioni di servizi in essa ricompresa – ha trovato ragion d’essere nel non univoco indirizzo seguito dagli Uffici locali dell’Agenzia delle Entrate in sede di accertamento dei corrispettivi pagati alle banche depositarie in costanza di un unico contratto di servizi, con corrispettivo unitario, per le prestazioni da queste rese ai sensi dell’art. 38 del D.lgs. 58/1998 alle SGR, per conto degli OICR da esse istituiti.
Sul punto, giova ricordare come i giudici comunitari2 abbiano escluso dall’ambito applicativo di cui all’art.13, parte B), lett. d) punto 6 della sesta direttiva (i.e. esenzione da IVA) le funzioni di depositario come quelle indicate agli articoli 7 e 143 della Direttiva 85/611/CEE che << non fanno parte infatti della gestione degli organismi di investimento collettivo, ma del controllo e della sorveglianza dell’attività di questi ultimi […]>> , ritenendo pertanto le stesse imponibili ad IVA.
Chiarito dalla Corte UE il regime IVA dei corrispettivi pagati al depositario per le funzioni di controllo e sorveglianza come sopra individuate, da un punto di vista operativo, difficile si è dimostrata la corretta applicazione di tale principio per le ipotesi in cui le prestazioni in discussione siano svolte dalla banca depositaria verso la SGR nell’ambito di un contratto unico di servizi, con corrispettivo unitario riferibile ad una pluralità di attività (esenti da IVA e imponibili), nel quale non sia indicata, appunto, in maniera analitica la quota imputabile al controllo e alla sorveglianza.
2. Orientamento Agenzia delle Entrate ante Risoluzione 97/E del 2013
Un costante orientamento consolidatosi negli anni4 prevedeva che, in presenza di un corrispettivo unico, non scindibile, riferibile indistintamente sia ad attività imponibili ad IVA che escluse e/o esenti, in via prudenziale il corrispettivo doveva essere considerato per l’intero ricadente nel campo applicativo IVA, anche per la parte che remunerava le attività non soggette a imposta5.
Seguendo tale impostazione, l’Agenzia delle Entrate – nell’ambito dell’attività di accertamento eseguita sulla base della pronuncia dei giudici comunitari sopra citata – ha contestato alle banche depositarie il mancato assoggettamento ad IVA dell’intero ammontare del compenso, riferibile, invero, ad una pluralità di attività dalle stesse svolte nei confronti delle SGR per conto degli OICR.
Tutto ciò, nel presupposto che la sottoscrizione di un unico contratto con corrispettivo indistinto tra attività imponibile ed attività esente da IVA, non permetterebbe di individuare con “ragionevole” certezza le diverse prestazioni rese dalla banca depositaria.
Il riconoscimento del regime di imponibilità ad IVA dell’intero corrispettivo percepito dalle banche depositarie – anche per quella parte di prestazioni realmente esenti da imposta – e pertanto la contestazione del mancato assoggettamento ad IVA dell’intero compenso da queste percepito, hanno manifestato il loro effetto in termini di “recupero” ad imposizione non soltanto nei confronti dei soggetti prestatori del servizio, ma anche nei confronti dei fruitori dello stesso (SGR) cui veniva contestata la violazione per l’omessa auto-fatturazione dell’IVA6 su quanto pagato in esenzione d’imposta.
L’approccio adottato dall’Amministrazione finanziaria – finalizzato ad evitare la perdita di gettito per l’Erario alla luce del “riconoscimento” comunitario di imponibilità ad IVA delle prestazioni di controllo e sorveglianza rese dalle banche depositarie verso le SGR emotivato sulla base dell’impossibilità di determinare in maniera oggettiva la quota di corrispettivo realmente riconducibile a tale attività – rivelava, tuttavia, una carica “distorsiva” eccessiva nel sistema applicativo dell’imposta, in quanto finiva per negare l’esenzione da IVA a quelle prestazioni che, in verità, ne risultavano beneficiarie a pieno titolo.
E’ interessante notare tuttavia come, pur rilevata la difficoltà ad individuare criteri omogenei di riferimento cui affidarsi per la definizione di accertamenti in corso, nonché per i contenziosi ancora aperti, l’Agenzia delle Entrate abbia deciso di eseguire- di concerto con alcuni operatori del settore – un’analisi dettagliata circa le attività svolte dalle banche depositarie nei confronti degli OICR, al fine di determinare la quota di corrispettivo che – nell’ambito di un contratto di servizi con corrispettivo unitario – può ragionevolmente ritenersi attribuibile all’attività di sorveglianza e controllo, imponibile ad IVA, per distinguerla da quella riferibile a quei servizi esenti da imposta.
3. Quota di contratto considerata prestazione di servizi non esente da IVA per le banche depositarie – Criteri di valutazione
L’Amministrazione finanziaria, in buona sostanza, ha fatto proprie le richieste di un’applicazione più equa dei principi comunitari, nell’ambito di una non sempre agevole qualificazione ai fini IVA dei corrispettivi relativi alle attività svolte dagli operatori finanziari.
D’altronde, come riconosciuto dalla medesima Amministrazione finanziaria, i chiarimenti forniti in passato in merito alla imponibilità delle specifiche attività di controllo svolte dalle banche depositarie in favore degli organismi di investimento collettivo7, non hanno mai affrontato compiutamente il caso in cui unitamente a queste prestazioni la banca depositaria nell’ambito di <<[…] contesto contrattuale unitario, globalmente considerato ed a fronte del quale è previsto un corrispettivo unitario […]8>> svolga anche prestazioni esenti da IVA.
All’esito dell’analisi svolta dall’Agenzia, è stata individuata una quota percentuale pari al 28,3% del corrispettivo complessivo, attribuibile all’attività di controllo e sorveglianza svolta dalle banche depositarie in favore degli OICR.
Nel corpo della risoluzione in esame l’Agenzia ha voluto esplicitare i passaggi logico sistematici in base ai quali tale risultato percentuale è stato ricavato. In particolare nell’ambito di uno studio condotto sulle attività tipiche svolte dalle banche depositarie nei confronti degli OICR è emerso che le prestazioni da queste rese sono da intendersi come <<servizio complesso unitariamente prestato ai clienti9>>, preliminarmente suddiviso dall’Agenzia in componenti e/o attività elementari, riconducibili alle seguenti classi di “Macro-Attività”:
- Gestione Partecipanti;
- Tenuta Conti di Liquidità;
- Calcolo NAV;
- Controllo Banca Depositaria;
- Assistenza Amministrativa.
Al fine di individuare la quota parte della attività di banca depositaria riferita alla funzione di controllo (imponibile ad IVA secondo l’orientamento comunitario), a ciascuna classe di “Macro-Attività” sopra indicate, sono state imputate, in ragione della funzione di ogni settore di cui si compone l’attività propria delle banche depositarie, le relative risorse dirette e indirette, umane e materiali, ponendo poi sotto forma di frazione il rapporto esistente tra l’ammontare delle risorse utilizzate per la funzione di controllo (al numeratore) e l’ammontare del totale delle risorse del servizio – visto nel suo complesso – di banca depositaria (al denominatore).
La percentuale ottenuta da tale rapporto, pari al 28,3% al netto della parte riferibile alla custodia ed amministrazione dei beni degli OICR, rappresenta – a parere dell’Agenzia delle Entrate –la quota ragionevolmente rappresentativa delle attività imponibili (di sorveglianza e controllo) svolte dalle banche depositarie, tutte le volte in cui, in presenza di un unico contratto di servizi da queste resi in favore degli OICR , non possa individuarsi la parte del corrispettivo riferibile all’attività imponibile da quella relativa alle altre attività esenti.
4. Risvolti operativi (future convenzioni, annualità in corso ed annualità pregresse)
4.1. Future convenzioni
L’avere riconosciuto la possibilità di pre-determinare – sulla base di un calcolo a forfait, avallato dall’Agenzia – quanta parte del corrispettivo unico riconosciuto alle banche depositarie per i servizi di depositario svolti nei confronti degli OICR sia da considerare imponibile ad IVA, ha sicuramente permesso a tali operatori finanziari di evitare, pro futuro, eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Tutto ciò, rappresenta ovviamente un importante strumento di interpretazione per i contratti “nuovi” da stipulare a partire dal 17 dicembre 2013 (data di pubblicazione del documento di prassi oggetto di discussione).
Tale percentuale, è bene evidenziarlo, non costituisce tuttavia una presunzione “assoluta” posto che la quota individuata dall’Agenzia non considera le diversità che potrebbero originarsi nei vari casi sia tra diverse banche che possono organizzare i vari servizi con differenti risorse dirette e indirette, sia nello svolgimento dei servizi di vigilanza e controllo in ragione dell’esistenza di diverse tipologie di fondi di investimento nonché di differenti modelli organizzativi di questi.
A tal riguardo, sottolinea l’Agenzia, tale percentuale costituisce un indicatore di massima da cui le parti possono discostarsi per assumerne una diversa: a tal fine, dovranno essere in grado – sulla base di criteri “oggettivamente riscontrabili”– di dimostrare come la diversa quota assunta sia maggiormente rappresentativa dell’effettivo peso attribuibile all’attività di controllo e sorveglianza (imponibile ad IVA) rispetto all’insieme dei servizi forniti dalla banca depositaria.
4.2. Annualità in corso
Con riferimento all’annualità 2013, l’applicazione dell’IVA al 28,3% delle attività rese dalla banca depositaria ha come conseguenza diretta – per effetto di quanto previsto dall’art. 26, primo comma del d.P.R. 633/1972 – il sorgere in capo a questa dell’obbligo di emettere nota di debito per integrare le fatture emesse per tali attività considerate erroneamente ricadenti nel regime di esenzione da IVA ed addebitare perciò l’imposta al cessionario.
In relazione alla regolarizzazione a debito della erronea fatturazione posta in essere nel corso del 2013, l’Agenzia si sofferma a chiarire che:
- la “correzione” delle fatture originariamente emesse in regime di esenzione mediante l’emissione delle note di variazione in aumento deve essere eseguita, in accordo con le regole generali di funzionamento dell’imposta, entro i termini di liquidazione IVA previsti per il documento originariamente emesso;
- pertanto, la nota di variazione, laddove emessa oltre i termini di scadenza della liquidazione di periodo, dovrà fare riferimento al codice di liquidazione relativa alla fattura originaria;
- considerata la complessità ed incertezza propria del regime fiscale delle attività rese dalla banca depositaria (come sopra anticipato), è esclusa l’applicazione di sanzioni amministrative10 per la regolarizzazione delle operazioni relative al 2013, fermo restando l’obbligo in capo alla banca depositaria prestatore delle attività imponibili ad IVA di corrispondere gli interessi moratori per il tardivo versamento di imposta. Come riconosciuto dalla stessa Amministrazione Finanziaria, la corretta qualificazione ai fini IVA delle attività rese dalla banca depositaria ha rappresentato negli anni, un tema caratterizzato da obiettive condizioni di incertezza e complessità. In tale quadro, non può che ammettersi la ricorrenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 6, comma 2, del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 47211 e pertanto, la non irrogabilità delle sanzioni amministrative nei confronti delle banche depositarie per il mancato assoggettamento ad imposta del corrispettivo incassato per l’attività di sorveglianza e controllo (e quindi anche nei confronti delle SGR eventualmente in relazione alla contestazione per la violazione di mancata “auto-fatturazione”).
4.3. Annualità pregresse
Per quanto riguarda le annualità anteriori al 2013 – viste le numerose contestazioni mosse da parte degli Uffici locali avverso le banche depositarie e le SGR, come sopra anticipato – l’ABI ha chiesto all’Agenzia di esprimersi in merito alle modalità applicative del diritto di rivalsa, ai sensi del comma 7 dell’art. 60 del d.P.R. 633/1972 (come modificato dal decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1).
In particolare, è stato domandato se il diritto di rivalsa:
- sia esercitabile in base ad una contestazione definita in via amministrativa o giudiziale ed anche per l’ipotesi in cui venga applicata la percentuale del 28,3% delineata dalla stessa Agenzia senza applicazione di sanzioni;
- sia esercitabile per accertamenti relativi ad annualità precedenti l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 60, comma 7;
- sia esercitabile, ed in che modo, nel caso in cui la banca depositaria abbia chiesto la rateizzazione dell’imposta dovuta.
In via generale l’Agenzia ha affermato come il diritto in questione presupponga la definizione dell’accertamento ed il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni (se dovute) e degli interessi, non essendo pertanto consentita la rivalsa della imposta o della maggiore imposta versata a seguito di atti non divenuti definitivi. Ciò posto nel caso di rateazione, il diritto alla rivalsa può essere esercitato progressivamente in relazione al pagamento delle singole rate.
Come specificatamente e più nel dettaglio chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 35/E del 2013 pubblicata lo stesso giorno della risoluzione in discussione e concernente l’ambito di applicazione dell’articolo 60, settimo comma, del Dpr 633/1972, posto che la norma prevede espressamente che tale diritto sia esercitabile in relazione ad “avvisi di accertamento o rettifica”, è stata espressamente esclusa la rivalsa dell’IVA dovuta a seguito di accertamento induttivo e di quella versata all’Erario a titolo provvisorio12.
In merito all’ambito temporale di applicazione della disposizione di cui al comma 7 dell’art. 60 del d.P.R. 633 del 1972, l’Amministrazione sostiene che << Per quanto riguarda la decorrenza della disposizione in argomento, si fa presente che la stessa la stessa trova applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti divenuti definitivi successivamente alla sua entrata in vigore, vale a dire successivamente al 24 gennaio 2012.>>
Al riguardo si deve osservare che nell’ambito della disciplina IVA nazionale (D.P.R. 633/1972), l’art. 60, comma 7, prima delle modifiche apportate dall’art. 93 del decreto “liberalizzazioni”13 prevedeva che “il contribuente non ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”.
In sostanza la norma inibiva al contribuente il diritto di rivalersi nei confronti del proprio cessionario o committente dell’imposta (o maggiore imposta) pagata in conseguenza di un accertamento.
Il motivo di tale preclusione, come si desume dalla Relazione illustrativa al d.P.R. IVA, risiedeva in un intento sanzionatorio e in considerazioni di ordine pratico legate all’esigenza di stabilità dei rapporti giuridici (cit. Relazione Ministeriale al testo del decreto IVA – “Questa disposizione, oltre che da intenti sanzionatori, è suggerita da valutazioni pratiche, data l’impossibilità e, comunque, l’inopportunità di porre le premesse legislative per una riapertura dei rapporti contrattuali allo scopo di recuperare, a posteriori, l’imposta a suo tempo non addebitata”).
Se è vero il dato storico che precede, tuttavia, non va trascurato il fatto che nell’ambito dell’IVA, quale imposta armonizzata, le norme nazionali devono essere conformi ai sovraordinati principi della Direttiva. In particolare la norma sopra richiamata non si conciliava con i principi su cui si basa l’intero sistema impositivo IVA; infatti la stessa contrastava con gli inviolabili principi che assicurano la simmetria e neutralità dell’imposta. Pertanto, la Commissione dell’Unione Europea, con la procedura n. 2011/4081 del 24 novembre 2011, ha messo in mora l’Italia, ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, per violazione della Direttiva 2006/112/CE, relativa alla disciplina comunitaria dell’IVA, che impone, infatti, la neutralità dell’Iva e l’inderogabilità del diritto alla sua detrazione, in capo ai soggetti che esercitano attività d’impresa.
Conseguentemente, il decreto “liberalizzazioni” al fine di “sanare la procedura d’infrazione n. 2011/4081 (costituzione in mora del 24 novembre 2011), relativa alla rettifica dell’IVA fatturata” (così come si legge nella relazione accompagnatoria al citato decreto), ha sostituito l’ultimo comma dell’articolo 60 del decreto IVA, che secondo il nuovo testo recita così: “Il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”).
In considerazione del fatto che l’articolo 60, comma 7 del Decreto IVA è stato introdotto al fine di porre rimedio alla pregressa incompatibilità della norma IVA italiana – che precludeva il diritto di rivalsa – rispetto alla sovraordinata normativa comunitaria di riferimento14 è ragionevole ritenere che l’ambito applicativo della detta norma si estenda a periodi che precedono la sua formale vigenza.
Se così non fosse, in Italia si legittimerebbe, per il periodo pregresso, l’applicazione di una norma contraria al dettato comunitario (sovraordinato nella gerarchia delle fonti) e, conseguentemente, passibile di ulteriori possibili censure da parte degli organi europei.
A tal riguardo, la possibilità di rivalsa in relazione agli accertamenti divenuti definitivi prima del 24 gennaio 2012 non può essere in alcun modo negata proprio perché la norma che la vietava si poneva in contrasto con gli inviolabili principi che assicurano la simmetria e neutralità dell’imposta, tanto da divenire oggetto di procedura di infrazione da parte della Commissione Europea.
Sul punto, sicuramente meritevole di ulteriore analisi, si evidenzia come – quasi a rafforzare tale rigido approccio – l’Agenzia ribadisca asetticamnete tale assunto anche nella già citata circolare 35/E del 201315.
Nella citata circolare, infatti, l’Agenzia, pur avendo ricordato, nelle premesse, la genesi della versione attuale della norma (e quindi come la stessa sia nata per porre rimedio ad una procedura di infrazione al diritto comunitario aperta contro l’Italia dalla Commissione UE), sembra non dare la giusta considerazione al fatto che la superata e contestata formulazione della norma non possa trovare applicazione perché in contrasto con i principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’imposta sul valore aggiunto.
L’Agenzia ha fissato precisi paletti, disciplinando le modalità di detta rivalsa con la sostituzione dell’ultimo comma dell’articolo 60 del decreto IVA, entrato in vigore il 24 gennaio 2012; ritenere che la norma introdotta si applichi solo in relazione agli accertamenti resisi definitivi a far data della sua entrata in vigore può aver significato solo in relazione alle modalità da essa prescritte, ma non può aver alcun effetto sul diritto alla rivalsa sancito dal principio comunitario della neutralità, diritto alla rivalsa che era, è e rimane incomprimibile.
Né lo Stato potrebbe opporsi invocando per il passato16 l’applicazione della superata norma nazionale in quanto contraria al diritto comunitario,17 facendo valere a suo favore gli effetti di una normativa contraria alla Direttiva e traendo così vantaggio dalla propria inadempienza e dai propri ritardi nella correzione della stessa18.
5. Regime IVA del servizio di calcolo del valore della quota del fondo (N.A.V.)
Da ultimo è da segnalare, inoltre, come a parere dell’Agenzia , il servizio concernente la determinazione del valore unitario della quota di ciascun fondo (c.d. calcolo del NAV del fondo di investimento) delegato dalla SGR ad un soggetto terzo (in outsourcing), possa godere del regime di esenzione da IVA previsto dall’art 13, parte B), lettera d), punto 6) della sesta direttiva 77/388/CEE19 in quanto, in ossequio ai chiarimenti forniti dalla Corte di Giustizia UE in merito alle caratteristiche dei servizi in cui si sostanzia l’attività di gestione del fondo comune di investimento20 esente da imposta, tale attività assume una funzione specifica ed essenziale riconducibile alla complessiva gestione dei fondi comuni di investimento.
A contrario, la fornitura di una semplice prestazione materiale o tecnica come ad esempio la messa a disposizione di un sistema informatico, non può godere del regime di esenzione in discussione in quanto non ha l’effetto di adempiere le funzioni specifiche ed essenziali del servizio di gestione del fondo di cui al richiamato dall’art 13, parte B), lettera d), punto 6) della sesta direttiva 77/388/CEE.
6. Considerazioni conclusive
Il documento di prassi oggetto di analisi ha il pregio di fornire agli operatori del settore un esempio concreto dell’attuazione dei principi di diritto enunciati dai giudici comunitari sul delicato tema dell’ambito applicativo del regime di esenzione da IVA dei servizi di natura finanziaria.
D’altro canto però, non può non apprezzarsi lo sforzo profuso dall’Agenzia nel cercare di superare l’approccio eccessivamente prudenziale di tutela della pretesa erariale da questa sempre seguito, allorquando si prevedeva l’addebito dell’IVA sull’intero corrispettivo pattuito per prestazioni soggette ad un trattamento IVA differenziato, nel caso in cui non fosse stato preliminarmente specificato quanta parte fosse relativa al servizio non soggetto ad imposta in quanto esente o fuori campo.
La scelta di fornire agli operatori del settore la misura di una percentuale convenzionale (addirittura “derogabile” sulla base di criteri oggettivi non meglio specificati) per identificare la parte di corrispettivo imputabile all’attività di controllo e sorveglianza imponibile ad IVA, rappresenta – a parere di chi scrive una revoca “seppur tacita” di vecchie risoluzioni ministeriali sul tema.21 La portata innovativa di tale pronuncia, potrebbe dunque leggersi in un’ottica più ampia, non limitandone gli effetti al solo caso esaminato, ma estendendo la soluzione a tutti i casi di servizi unitariamente resi a fronte di un unico corrispettivo.
In tal senso, forse, giunge in aiuto quanto affermato en passant al paragrafo 1.1. della circolare 35/E del 17 dicembre 2013 in tema di “ambito di applicazione della rivalsa ai sensi dell’art. 60, comma 7 del d.P.R. 633/1972” in cui si legge << D: Si chiede di conoscere l’ambito applicativo della rivalsa dell’IVA prevista dall’articolo 60, settimo comma del DPR n. 633 del 1972, ed in particolare se la stessa sia esercitabile anche laddove la maggiore imposta sia calcolata su una base imponibile determinata in via forfetaria.
R: L’esercizio della rivalsa dell’IVA, ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone la riferibilità dell’imposta accertata a specifiche operazioni e la conoscibilità del cessionario/committente. Ciò posto, si ritiene che la maggiore imposta possa essere addebitata in via di rivalsa, a seguito del relativo pagamento, anche quando sia stata calcolata su una base imponibile determinata in via forfetaria, laddove sia comunque riferibile a specifiche operazioni effettuate nei confronti di determinati cessionari o committenti. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui, in sede di accertamento, le operazioni effettuate nei confronti di un soggetto – considerate esenti da IVA – siano ripartite forfetariamente tra operazioni imponibili ed operazioni esenti […]>>.
1
Tale disposizione è oggi contenuta nell’art. 135 , par. 1, lett. g) della direttiva 2006/112/CE
4
Cfr. a titolo di esempio le risoluzioni 391056 del 23 marzo 1983, 356351 del 25 novembre 1987, 6/E – VII-15-19280 dell’11 febbraio 1998
10
Il riferimento è alle sanzioni amministrative di cui agli artt. 6 e 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 relative alla violazione degli obblighi relativi alla documentazione e registrazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto ed ai ritardati od omessi versamenti diretti.
11
Cfr. art. 6, comma secondo, D.lgs. 472/1997: << 2. Non è punibile l'autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento>>.
12
Al paragrafo 2.1 della circolare 35/E del 17 dicembre 2013 si legge: << […] L'operatività dell'articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633 presuppone la definizione dell'accertamento ed il pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. Si tratta di quanto dovuto sulla base di un accertamento resosi definitivo attraverso uno degli istituti sotto elencati:
• accertamento con adesione, di cui agli articoli 6 e seguenti del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218;
• adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio di cui ai commi 1-bis e seguenti, dell’articolo 5 del d.lgs. n. 218 del 1997;
• adesione ai processi verbali di constatazione di cui all’articolo 5-bis del d.lgs. n. 218 del 1997;
• acquiescenza di cui all’articolo 15 del d.lgs. n. 218 del 1997;
• conciliazione giudiziale di cui all’articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992;
• mediazione di cui all’articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546;
o, per mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini previsti dalla legge, ovvero, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, nell’ipotesi di contestazione, in sede giudiziale, della pretesa dell’amministrazione finanziaria.>>.
14
Come anticipato, anche la relazione illustrativa all’art. 93 del Decreto “liberalizzazioni” sopra richiamato afferma che l’intento da essa perseguito consiste nello sterilizzare la procedura di infrazione già avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia.
16
Più precisamente per gli accertamenti divenuti definitivi successivamente alla entrata in vigore della nuova formulazione, vale a dire successivamente al 24 gennaio 2012.
18
In tal senso sentenze della Corte di Giustizia 26 febbraio 1986 C-152/84 Marshall ed 8 ottobre 1987 C-80/86 Kolpinghuis Nijmegen VB.