Il graduale cammino verso la piena implementazione dell’EMIR segna una tappa importante.
Poco più di una settimana fa l’ESMA ha annunciato l’approvazione delle prime quattro trade repositories. La registrazione di queste è effettiva dal 14 novembre 2013 e così dal 12 febbraio 2014 (ossia 90 giorni di calendario dopo l’effettiva registrazione), l’obbligo di reporting delle operazioni in derivanti diventerà pienamente operante.
Le trade repositories sono persone giuridiche che raccolgono e conservano in modo centralizzato le registrazioni delle operazioni in derivati. La loro previsione costituisce uno dei pilastri della disciplina EMIR nel segno della trasparenza e riduzione del rischio di sistemico connesso al mercato dei contratti derivati. Prima della formale approvazione da parte dell’ESMA, questo fondamentale presidio era solo lettera morta.
Come spesso capita guardando dalla prospettiva italiana alla normativa comunitaria, anche il campo applicativo delle trade respositories solleva qualche dubbio di natura soggettiva. In particolare, il dubbio riguarda il fatto se le operazioni in derivati stipulate dagli enti locali italiani ricadano tra quelle soggette all’obbligo di reporting e, più concretamente, se gli enti locali siano tenuti ad ottemperare ai relativi obblighi di reporting soggiacendo alle connesse sanzioni in caso di inottemperanza.
Procediamo per gradi.
L’obbligo, in capo alle parti interessate, di segnalare alle trade repositories tutti i derivati stipulati è funzionale ad una piena e tempestiva conoscibilità (da parte delle autorità competenti) dell’entità delle posizioni e dei rischi assunti sul mercato dei contratti derivati. La conoscibilità dovrebbe consentire ai soggetti competenti di prendere od imporre adeguate cautele contro la propagazione delle conseguenze dei defaults in relazione ai contratti derivati. Unitamente alla entrata in vigore (ancora da venire) delle Controparti Centrali e ai relativi obblighi di clearing, la previsione delle trade repositories serve a rendere il mercato meno opaco, più liquido e più sicuro (in termini di rischi di controparte).
Quali sono i contratti derivati sottoposti all’obbligo di segnalazione? Ce lo dice in primis l’art. 9 del Regolamento 648/2012, laddove prevede che sono soggetti alla segnalazione tutti i contratti derivati stipulati prima del 16 agosto 2012 ed ancora in essere (alla data di entrata in vigore dell’obbligo di reporting, il 12 febbraio 2014 appunto) nonché tutti i contratti stipulati a decorrere dal 16 agosto 2012. Tutti i contratti derivati, dunque, come peraltro specificato nel Regolamento delegato 151/2013.
In concreto cosa occorre comunicare? Occorre comunicare le parti dell’operazione, il tipo di contratto, la scadenza, il nozionale, il mark to market, le date di pagamento.
Ci sono termini per l’ottemperanza dell’obbligo di reporting e sanzioni per l’inottemperanza? Quanto ai termini, l’art. 9 del regolamento 648 prevede che “le informazioni sono trasmesse al più tardi il giorno lavorativo che segue la conclusione, modifica o la cessazione del contratto“. Quanto alle sanzioni, una risposta parziale ci viene offerta dall’art. 33 della legge comunitaria per il 2013 (la legge 97 del 2013), che ha modificato il Testo Unico della Finanza (introducendo l’art. 193 quater), configurando una specificazione delle sanzioni amministrative che scattano in caso di inottemperanza degli obblighi previsti dall’EMIR, incluso quello di reporting. Le sanzioni sono pecuniarie e oscillano tra un minimo di duemilacinquecento ed un massimo di duecentocinquantamila.
Chi è tenuto ad ottemperare all’obbligo di reporting? E qui torniamo al punto iniziale. L’obbligo di reporting per esplicita formulazione del dettato normativo del regolamento 648/2012 si applica anche agli “enti del settore pubblico ai sensi dell’art. 4 punto 18 della direttiva 2006/48/CE, che siano di proprietà delle amministrazioni centrali e usufruiscano di espliciti accordi di garanzia da parte di queste ultime”. La terminologia utilizzata dal legislatore comunitario non è di felice comprensione nel quadro dell’ordinamento italiano, laddove il novero degli enti pubblici è sostanzialmente infinito. Si aggiunga che con riguardo agli enti locali raramente ci si esprimerebbe dicendo di questi che “siano di proprietà delle amministrazioni centrali e usufruiscano di espliciti accordi di garanzia da parte di queste ultime”.Tuttavia, non potendosi attribuire che una valenza descrittiva ed atecnica al linguaggio utilizzato per definire gli enti del settore pubblico, occorre avere riguardo alla esigenza sostanziale che aveva in mente in legislatore. E l’esigenza sembra quella di assoggettare al regime EMIR tutti i soggetti la cui operatività incide sugli equilibri finanziari dello Stato centrale. E questo è quanto caratterizza pure gli enti locali italiani (oltre che le Regioni stesse). Se da un lato il quadro costituzionale delinea gli enti locali come enti che costituiscono la Repubblica, dotati di autonomia finanziaria, e’ altrettanto vero, però, che la Costituzione individua un potere sostitutivo generale in capo allo Stato che si estende anche ai casi di crisi economica e finanziaria degli enti locali e la disciplina primaria prevede diverse procedure di supporto finanziario diretto da parte dello Stato in favore degli enti in difficoltà economiche. L’assetto della disciplina sul patto di stabilità, quello sulla tesoreria unica centrale e tutta la disciplina di emergenza a tutela dell’unità economica della Repubblica, completano un quadro già abbastanza chiaro.
In conclusione, e’ indubbio che gravi anche sugli enti locali l’obbligo di reporting. E’ altrettanto indubbio che anche gli enti locali siano soggetti alle sanzioni previste in caso di mancata ottemperanza dell’obbligo di reporting. Le implicazioni operative non sono poche. Gli enti locali dovranno valutare se delegare le proprie controparti finanziarie a provvedere alla effettiva segnalazione dei contratti. Questa valutazione dovrà tenere in considerazione la soluzione più conveniente economicamente, trattandosi in ogni caso di un servizio aggiuntivo che l’ente locale dovrà acquistare (o direttamente o per il tramite della propria controparte finanziaria).