Con la sentenza n. 343/2013 il TAR Piemonte affronta numerose questioni attinenti alla attualissima tematica dell’autotutela decisa dagli enti locali in materia di contratti derivati, addivenendo ad alcune conclusioni molto forti che meritano alcune note di commento.
Partiamo dai fatti.
La sentenza si riferisce alla vicenda del Comune di Omegna. Questo ente aveva stipulato e rimodulato, in un arco temporale di tre anni a partire dal 2003, quattro operazioni swap per la copertura di rischi connessi ai mutui in essere con la Cassa Depositi e Prestiti. Le operazioni in derivati erano state sottoscritte sulla base di decisioni assunte esclusivamente dalla giunta comunale e senza esperimento di un adeguato confronto competitivo tra diversi istituti bancari per la scelta della controparte swap. Muovendo da questi due profili (incompetenza della giunta e mancato esperimento di valida procedura selettiva) nel 2012 il Comune ha deciso di agire in autotutela, annullando gli atti precedentemente assunti per autorizzare la stipula dei contratti, dichiarando conseguentemente caducati (perché privi di effetti ex tunc) i contratti stessi. Oltre a questi due profili il Comune ha addotto ulteriori ragioni a supporto della propria decisione di autotutela, segnatamente invocando l’omissione, da parte dell’istituto bancario, degli obblighi informativi pre-contrattuali sanciti dal D.Lgs. 58/98 e dal Regolamento n. 11522 del 1998 (al tempo applicabile) nonché la presenza di condizioni economiche di carattere speculativo contrastanti con le finalità di copertura cui deve attenersi l’operatività in derivati degli enti locali. Avverso l’annullamento, la banca controparte swap ha proposto ricorso al TAR Piemonte, che è stato tuttavia respinto sulla scorta di motivazioni che costituiscono un irrinunciabile riferimento giurisprudenziale per le future controversie in materia.
Vediamo perché.
Innanzitutto, il TAR Piemonte chiarisce i confini della giurisdizione amministrativa in una materia non sempre perspicua. E lo fa usando criteri di semplice individuazione: se l’annullamento d’ufficio poggia su vizi (come l’incompetenza o la mancanza di una procedura di evidenza pubblica) del procedimento prodromico alla stipula dei contratti, allora sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo. Se invece l’annullamento in autotutela è motivato da vizi attinenti al contratto (quali le condizioni economiche di tipo speculativo o la violazione di obblighi informativi), non può sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, perché in tal caso si tratta più propriamente di un recesso dal contratto (per quanto vestito con l’abito del provvedimento di autotutela). In questo ultimo caso, perciò, la giurisdizione è del giudice ordinario. Sulla scorta di questa distinzione il TAR Piemonte ha trattenuto la giurisdizione e si è concentrato sulla incompetenza della giunta a decidere la stipula di un contratto derivato confermando quanto dedotto dal Comune.
In particolare, poiché i contratti derivati comportano spese che impegnano il bilancio degli esercizi successivi, la competenza spetta esclusivamente al consiglio comunale, secondo l’art. 42 del D.lgs. 267/2000 (il Testo Unico degli Enti Locali). In presenza di detto vizio, a nulla rileva che l’autotutela sia stata esercitata dal Comune ben nove anni dopo la stipula dei contratti a valle delle delibere della giunta annullate. Si tratta di un punto cruciale: anche un termine di nove anni è ragionevole per esercitare l’autotutela se è stata violata la competenza primaria dell’organo consiliare. Nulli e privi di effetti sono pertanto i contratti che sono stati stipulati ed eseguiti in base alle delibere annullate, con le conseguenze restitutorie che scattano in questi casi.
In termini altrettanto netti il TAR esclude che la banca possa veder tutelato l’ affidamento posto sulla validità dei contratti stipulati nove anni addietro. Sul punto la pronuncia desta non poche perplessità, in quanto appare non motivata e non sembra voler considerare che un vizio di incompetenza non può trascinarsi per nove anni senza far sorgere dubbi circa la buona fede della stessa amministrazione nel farlo valere così tardivamente.
Vi è un ultimo aspetto su cui mette conto trattenersi, ovvero l’assenza di una procedura di gara prima della scelta della controparte swap. Il TAR fissa un principio interpretativo assai netto anche in tema di servizi esclusi (come sono i servizi finanziari): per quanto esclusi dall’applicazione delle regole di cui al D. Lgs. 157 del 1995, questo per il TAR Piemonte non significa che l’ente sia esentato dalla conduzione di una procedura comparativa. Né può bastare, sostiene il TAR, aver invitato tre istituti perché il requisito del confronto concorrenziale si possa dire correttamente osservato. Anche tale aspetto desta qualche dubbio. Si badi che la regola dell’invito a cinque per l’aggiudicazione dei servizi finanziari è stata introdotta solo con il successivo art. 27 del D.lgs. 163/2006 (c.d. Codice degli Appalti), non vigendo al tempo della vicenda giudicata alcuna regola scritta sul numero minimo di cinque invitati.
È innegabile che questa sentenza costituisca un formidabile compendio di valide motivazioni per tutti gli enti che intendano addivenire all’annullamento dei contratti derivati che siano stati precedentemente stipulati sulla base di sole delibere di giunta o senza esperimento di previe procedure comparative estese ad almeno cinque invitati.
È altrettanto indubbio, però, che spetta alle controparti private saper elaborare i giusti argomenti ed utilizzare i numerosi rimedi che l’ordinamento appresta proprio per veder tutelato il proprio affidamento sulla persistenza degli effetti della azione amministrativa, tanto più se l’esercizio dell’autotutela avviene molti anni dopo la decisione di annullamento, travolgendo posizioni contrattuali che appaiono vieppiù consolidate.