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Approfondimenti

Le procedure concorsuali dei soggetti “non fallibili”

7 Dicembre 2012

Avv. Antonio Morello, Senior Legal Counsel, Multinazionale italiana, Collaboratore Diritto Bancario

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo contiene personali riflessioni di commento frutto dell’interesse scientifico, dell’Autore, per la materia. Ogni opinione è, dunque, espressa, dall’Autore, esclusivamente a titolo personale.

In questo breve contributo proverò a raccogliere, senza pretesa di essere esaustivo, qualche personale appunto di commento sul D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (il “Decreto 179”) nella parte in cui rettifica ed integra il Capo II della Legge 27 gennaio 2012, n. 3 (la “Legge 3”): mi soffermerò, quindi, sulle “nuove” procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento valevoli per i soggetti “non fallibili” con la precisazione che non rientra nell’economia di questa mia breve nota premettere inquadramenti generali sulla materia dei c.d. “micro-fallimenti” né sfogliare integralmente il contenuto della Legge 3.

Parto dalla rubrica del Capo II della Legge 3 come riscritta dal Decreto 179: “Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”.

La scelta “semantica” di ricorrere ad una voce plurale – “procedimenti” – lungi dall’essere accidentale è coerente col nuovo impianto normativo: da una disciplina del sovraindebitamento “appiattita” su un unico iter procedimentale siamo, infatti, passati (col Decreto 179) ad una disciplina che apre a tre differenti soluzioni concorsuali: un procedimento “generale” valevole per l’omologazione dei piani di ristrutturazione “concordati” (nel seguito, gli “Accordi di Composizione”), uno “speciale” riservato all’omologazione del progetto di ristrutturazione presentato dal consumatore (nel seguito, il “Piano del Consumatore”) ed uno “alternativo” ai primi due avente una “definitiva” finalità liquidatoria dei beni del debitore.

Appena più nel dettaglio:

  1. Accordo di Composizione. Si tratta di un’intesa tra il debitore ed una maggioranza qualificata di creditori che (dopo il Decreto 179) vincola, una volta omologata, tutto il ceto creditorio e, quindi, non solo i creditori che non vi hanno aderito ma anche – seppure alle condizioni fissate dal nuovo art. 12, comma 2 – l’eventuale “minoranza dissenziente” (da qui, la natura “concordataria” dello strumento): detta maggioranza va conteggiata sul valore complessivo del monte crediti tenendo, però, conto del fatto che il Decreto 179 ha abbassato al 60% l’aliquota del 70% inizialmente richiesta dalla Legge 3 per il raggiungimento del patto concordatario; per minima completezza non posso, poi, omettere di ricordare che tra i creditori che “devono” accettare il contenuto del patto non figurano i soggetti titolari di crediti impignorabili, tributari e previdenziali per i quali il Decreto 179 ha mantenuto un “regime di favore” (questi crediti non possono, infatti, subire alcuna falcidia).
  2. Piano del Consumatore. Si tratta uno strumento che tutti i creditori, lungi dal poter accettare, rischiano – se mi è permessa la semplificazione – di “subire” nel senso che il consumatore, fermo il diritto di proporre ai creditori un Accordo di Composizione, può richiedere l’omologazione del proprio piano senza doversi preventivamente conquistare il consenso della maggioranza dei creditori: questi ultimi, in definitiva, non hanno la possibilità di “votare” la qualità della proposta del consumatore tutto essendo rimesso al vaglio del giudice dell’omologa il quale, prima di accordarla, deve valutare, oltre alla fattibilità del piano, anche la “meritevolezza” della condotta del consumatore1. Affinché questo giudice sia, però, nelle effettive condizioni di vagliare il comportamento tenuto dal consumatore, il Decreto 179 ha stabilito l’obbligo (o, forse meglio, l’onere) per il consumatore di produrre, a corredo della propria proposta, una “relazione particolareggiata” dell’organismo di composizione della crisi da cui emergano, tra gli altri aspetti, le cause dell’indebitamento e, dunque – stringendo sul “vero” tema – le ragioni dell’incapacità di adempiervi.

Passo alla terza ipotesi di intervento – quella liquidatoria – appuntando qualche riflessione relativamente alla fase di avvio ed al ruolo, per così dire sistematico, della relativa procedura.

Sotto il primo profilo, alla procedura liquidatoria può approdarsi o per libera opzione del debitore oppure per disposizione del giudice il quale, su istanza del debitore o di un creditore, può ordinare la conversione di uno dei due procedimenti “non liquidatorio” in un procedimento liquidatorio al fine di “sanzionare” le seguenti ipotesi patologiche: annullamento o revoca dell’Accordo di Composizione, cessazione o revoca degli effetti della omologazione del Piano del Consumatore.

Quanto, invece, al significato “sistematico” che mi pare assegnabile all’istituto della liquidazione, nel nuovo impianto normativo il valore di realizzo che si può attendere all’esito della procedura liquidatoria rappresenta il termine di riferimento per stimare, in caso di contestazione, la convenienza dell’Accordo di Composizione o del Piano del Consumatore: i piani “non liquidatori” – quelli, cioè, finalizzati ad una ristrutturazione del debito – per potersi aggiudicare l’omologazione, devono, infatti, lasciare prevedere una possibilità di soddisfazione del credito non inferiore a quella ipotizzabile in caso di attivazione della procedura liquidatoria. Ci si trova di fronte, in sostanza, ad valutazione prognostica e comparativa (per non dire “competitiva”) tra l’esecuzione del piano di ristrutturazione e l’avvio della liquidazione, valutazione anche conosciuta come “giudizio di cram down.

In stretta connessione col procedimento liquidatorio deve, infine, leggersi l’importante beneficio di esdebitazione e, cioè, di “stralcio” dei crediti non pagati: il Decreto 179 ha, infatti, dilatato la sfera applicativa del c.d. “discharge” fino ad oggi legato al concorso fallimentare, così permettendo anche ai soggetti non fallibili sovra-indebitati di avvantaggiarsi del c.d. fresh start.

Avendo tratteggiato, seppure per rapidi rimandi, le principali caratteristiche dei nuovi procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento, mi dedico a qualche conclusiva osservazione di insieme sulla Legge 3 e sui “ritocchi” – invero consistenti – raccolti nel Decreto 179.

Se mi è permessa l’approssimazione, la Legge 3 è un esempio di intervento legislativo per certi versi “emergenziale” perché approvato (non per caso da un Governo soprannominato “tecnico”) con l’obiettivo di porre rimedio – senza (ulteriori) ritardi – a quella oramai duratura congiuntura economica che, da tempo, sta colpendo, assieme alla medio-grande impresa, anche i soggetti “meno robusti” del nostro tessuto socio-economico: penso al, sempre crescente, numero di piccole imprese e di consumatori che negli ultimi anni stanno facendo i conti – per usare le parole della Legge 3 – con la definitiva incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni” o, comunque – con una condizione di “perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte.

Non può, allora, meravigliare se, già all’indomani dell’entrata in vigore della Legge 3, ci si è accorti della necessità di rimettere mano alle norme sul sovraindebitamento dei “non fallibili” raccolte in quella legge.

Il legislatore del Decreto 179 si è, appunto, mosso in questa direzione:

  1. riscrivendo, in chiave concordataria il procedimento di omologazione dell’Accordo di Composizione
  2. affrancando, il Piano del Consumatore dalla necessità di aggiudicarsi il consenso dei creditori, e
  3. ricalibrando – in senso estensivo – la portata applicativa della Legge 3 a questo ultimo fine introducendo un nuovo procedimento dedicato al consumatore e spiegando, con una limatura testuale, il significato di alcune disposizioni (penso, ad esempio, all’utile “chiarimento” sull’imprenditore agricolo).

Ci viene, così, consegnata, dai redattori del Decreto 179, una Legge 3 ampliata nella sua sfera applicativa e, più in generale, migliorata nelle sue “potenzialità di tutela” e, cioè, nella sua utilità pratica per consumatori e piccoli imprenditori.

Oltre a questo obiettivo (certamente prioritario) di “maggiore protezione” dei soggetti economicamente più deboli, il Governo ha, poi, inteso perseguirne una secondo di tipo “deflattivo”: diminuire la quantità di procedure esecutive individuali incardinate presso i nostri tribunali.

È prematuro dire, oggi, qualcosa di attendibile sul grado di efficacia delle nuove norme (sempre che verranno confermate) e, cioè, (pre)dire in che misura la Legge 3, nella sua rinnovata fisionomia, permetterà, da un lato, di tutelare realmente consumatori e piccoli imprenditori e, dall’altro, di ridurre il “workload” delle varie procure e, segnatamente, i carichi di lavoro in materia di “esecuzioni”: tuttavia, e non per chiudere con un impulso di forzato ottimismo, fa ben sperare il tentativo (risalente già al D.L. n. 212/2011) di progettare una risposta normativa – quanto possibile organica ed efficace – al “macro-problema” dei “micro-fallimenti”.

1

Sul contenuto della valutazione che il giudice è chiamato a svolgere nel procedimento di omologa del piano del consumatore, mi permetto di rinviare ad un mio precedente approfondimento pubblicato su http://www.diritto24.ilsole24ore.com/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2012/11/il-fallimento-del-consumatore-giudizio-di-meritevolezza.html

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