1. Introduzione
Si può affermare con ragionevole certezza che lo strumento giuridico del trust abbia trovato pieno ingresso nel nostro ordinamento tanto per la numerosa produzione scientifica quanto soprattutto per la positiva risposta della giurisprudenza, oltre centosessantacinque decisioni negli ultimi sedici anni.
Il terreno di elezione del trust in Italia è ad oggi la famiglia, intesa in senso ampio, ma i campi di applicazione del trust coprono tendenzialmente l’intero spettro dell’ordinamento giuridico.
I trust ricorrono nella finanza di progetto, nei prestiti obbligazionari, per rendere più forti i patti di sindacato in quanto le azioni sono trasferite a un terzo – il Trustee – che ne acquista la proprietà e si assume l’obbligazione giuridica fiduciaria di adempiere quanto stabilito dai disponenti (i membri del patto) nell’atto istitutivo di trust circa le azioni oggetto del patto di sindacato.
Più di recente è stata compresa la potenzialità del trust anche nelle procedure concorsuali e pre-concorsuali, tema dell’odierna conversazione.
Ritengo che il trust debba essere valutato quale soluzione ogniqualvolta si intenda segregare una posizione soggettiva per una finalità meritevole di tutela e affidare al Trustee, che sovente è un Trustee professionale di emanazione bancaria, la realizzazione delle proprie volontà.
Da quanto precede, si può affermare che stia avvenendo la percezione del trust quale soluzione che ha condotto l’avvicinamento dei giudici e dei professionisti ai trust; in particolare dei professionisti specializzati nella pianificazione dei patrimoni (wealth management), si pensi alle problematiche assai diffuse nel nostro Paese relative al passaggio generazionale nelle imprese familiari, per le scelte relative alla ottimale intestazione (personale, formale, societaria, trust in Italia o all’estero..) ed alla protezione dei patrimoni (asset protection) richieste dai clienti al professionista.
2. La privatizzazione della crisi d’impresa, il trust per agevolare un concordato preventivo.
Le recenti riforme legislative in materia concorsuale sono il frutto di un’operazione di liberalizzazione nella quale si è verificata una accentuazione generale del carattere “privatistico” delle procedure concorsuali e quindi della crisi dell’impresa con una conseguente drastica diminuzione del ruolo del tribunale, deputato per lo più ad un controllo di legittimità1.
Ed infatti nel concordato preventivo (d’ora innanzi: CP) è avvenuta la perdita della sua natura giurisdizionale-contenziosa, esso si fonda sull’accordo tra il debitore ed i creditori: su quell’equilibrio di reciproche concessioni che le parti devono riuscire a raggiungere; pena l’insuccesso per tutti della procedura.
La funzione del giudice è diretta ad effettuare un controllo di legittimità con il decreto di ammissione alla procedura di CP e con la successiva omologazione, ma solo se sono state raggiunte le maggioranze attraverso le votazioni dei creditori innanzi alle percentuali offerte dal debitore nel proprio piano di riparto ed al convincimento che il debitore è riuscito ad ottenere sui creditori circa il buon esito della procedura.
Ed infatti l'art. 160 Legge Fallimentare (d’ora innazi: L.F.) individua nel piano l’elemento centrale della proposta concordataria; la legge oramai non pone limiti in ordine agli strumenti utilizzabili nel piano: flessibilità e duttilità dei contenuti del piano, ampiezza di scelte del debitore nella predisposizione del piano e di regolamentazione della crisi dell’impresa. In tale contesto si comprende come nuovi e flessibili strumenti giuridici come il trust possono inserirsi perfettamente.
Il vero problema del risanamento è la affidabilità del piano: se esso possa essere concretamente realizzato secondo le modalità offerte ai creditori.
La realizzazione delle aspettative dei creditori si può attuare solo con uno strumento che vincoli giuridicamente, per il tempo necessario, il patrimonio del debitoree gli eventuali apporti dei terzi allo scopo perseguito nel piano. Ed allora ecco l’utilizzo del trust che, come effetto primario, ha quello di segregare un patrimonio per destinarlo a delle finalità che, nella fattispecie, sono il soddisfacimento dei creditori secondo le regole del piano di riparto.
3. Un esempio di concordato per garanzia con l’apporto di un terzo
Il terzo che intende porre a disposizione della procedura suoi beni o attività come può prestare una garanzia reale o personale? Oppure il terzo che intende assumersi l’onere della procedura con pagamento dilazionato ai creditori: quale forma di garanzia può dare al suo apporto economico? Va da sé che la sola assunzione dell’obbligazione di effettuare l’apporto è ben poco convincente per i creditori della procedura.
Ed, inoltre, c’è un altro aspetto non di poco conto da tenere presente che, se anche il terzo volesse mantenere l’impegno assunto, i suoi creditori personali potrebbero legittimamente attaccare i beni del terzo qualora questi avessero legittime pretese creditorie nei suoi confronti con la conseguenza della perdita di quei beni per la procedura .
Secondo la L.F. il terzo non è vincolato alla procedura ed i suoi creditori, se ritengono l’atto dispositivo lesivo dei loro diritti, possono aggredire il patrimonio del terzo con azioni esecutive anche in pendenza di procedura di CP.
Mentre per il debitore trova applicazione l’art. 168 L.F., secondo cui i creditori concorsuali non possono agire esecutivamente sul patrimonio del debitore dalla data di presentazione del ricorso per CP e sino all’omologazione, non trova applicazione verso il terzo2.
Pertanto tutte le volte che il concordato è supportato da mezzi esterni nel nostro ordinamento non è configurabile un vincolo tecnico per i beni, le garanzie ed ogni altra prestazione patrimoniale del terzo.
Con il Trust questo vuoto è colmato!
Esaminiamo una delle concrete applicazioni del trust nella procedura di CP3 (concordato per assunzione) nella quale il terzo:
- si accolla cumulativamente ed irrevocabilmente le obbligazioni concordatarie,
- si rende cessionario dei beni del debitore (società concordataria)
-
ed a garanzia delle obbligazioni assunte istituisce un TRUST:
- con i beni della società concordataria ed i propri,
- chiede la nomina da parte del Tribunale del Trustee in un professionista terzo,
- chiede la nomina del Guardiano nella persona del Commissario Giudiziale.
Si legge nella proposta di concordato che il terzo intende creare un sistema legale che consente non solo l’assunzione della sua obbligazione ma anche la sua concreta esecuzione.
Ed infatti è prevista la istituzione di un Trust:
“..per effetto del quale i beni offerti ai creditori – tanto del debitore quanto del terzo – pur passando nella proprietà del Trustee – costituiranno patrimonio separato il cui ricavato a seguito della vendita sarà destinato al soddisfacimento dei creditori secondo il piano concordatario.”
Si legge nel testo del decreto che il debitore ed il terzo assuntore “assicurano la soddisfazione dei creditori attraverso la garanzia atipica rappresentata dalla costituzione del trust nel quale confluirà l’intero patrimonio (immobiliare) dei due soggetti, come individuato nella perizia…”
Nella fattispecie il trust aveva la seguente struttura :
- Disponente: il terzo assuntore;
- trasferimento in piena proprietà dell’intero patrimonio immobiliare delle due società (debitrice e terza) al Trustee;
- Nomina del Trustee da parte del Tribunale nella persona di un professionista di fiducia del tribunale
- Nomina del Guardiano: il Commissario Giudiziale, che opera una funzione di controllo sul Trustee (come il G.D. sul Commissario Giudiziale);
- Espressa indicazione delle finalità del trust: la devoluzione di ogni ricavato dalla vendita degli immobili al soddisfacimento dei creditori in concordato.
Il trust istituito ha prodotto i seguenti effetti che gli appartengono:
- L’effetto segregativo: la creazione immediata, con il trasferimento della proprietà al Trustee, di un patrimonio destinato ad uno scopo specifico: soddisfare i creditori concorsuali; per mezzo della segregazione i beni si sono resi insensibili alle vicende personali e patrimoniali del Trustee, del debitore e del terzo. Alla luce di quanto detto sino ad ora di particolare interesse è la segregazione verso il terzo: i beni che trasferisce in trust sono indisponibili tanto per il terzo medesimo quanto per i suoi futuri creditori.
- Il Trustee ha assunto l’obbligazione giuridica fiduciaraia di impiegare i beni secondo il programma rappresentato nell’atto di Trust.
- L’effetto reale della segregazione di un patrimonio destinato ad uno specifico scopo, previa valutazione della meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti, ex art. 2645 ter c.c. si crea un vincolo di destinazione opponibile ai terzi sul patrimonio .
- La causa del negozio istitutivo di trust è il programma della segregazione, il programma di un complesso di posizioni giuridiche soggettive affidate al Trustee.
Ci se deve domandare, di volta in volta, quale è il programma e se nel nostro ordinamento vi sono strumenti giuridici ugualmente o maggiormente efficienti rispetto al trust. Nella fattispecie gli stessi giudici4, di un altro precedente sempre relativo ad una procedura di CP,hanno risposto al quesito in modo estremamente esaustivo:
“..il trust assicura margini di certezza nella soddisfazione dei creditori superiori rispetto a quelli tipici della semplice offerta dei beni da parte dei terzi; il trust consente di superare le incertezze interpretative del concordato misto, le incertezze della sua attuazione e le problematiche legate alla trascrizione e assicura una meritevole composizione degli interessi coinvolti nella procedura”
In conclusione, si può affermare che il miglioramento del trust nella procedura di Concordato Preventivo – nella fattispecie esaminata di un concordato per assunzione – è stata la creazione di una forma di garanzia atipica, rapida ed efficace potendo così definire il Trust quale valido strumento per il superamento della crisi d’impresa in quanto diretto ad agevolare gli accordi negoziali fra i creditori ed il debitore.
1
Corte di Cassazione ss.uu. 16.07.2008 n. 19506 in Fallimento, 2008, pag. 1394 (si è posta il problema se fosse ricorribile in Cassazione il provvedimento emesso – in sede di Concordato Preventivo – dal Tribunale Fallimentare su reclamo avverso il provvedimento del GD di vendita di alcuni beni oggetto della procedura
2
Cass. sez. I, 08.07.1998 n. 6671 in Fallimento, 1999, pag.406
“..Il divieto per i creditori, disposto dall’art.168 LF…. e quindi di realizzare il diritto di pegno dalla data di presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura di CP e fino alla omologazione non è estensibile al creditore del diritto di pegno su un bene oggetto della cessione offerta da un terzo.”