1. Il Supremo Collegio torna su di un tema molto sensibile in materia di revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario, vale a dire quello di un conto corrente assistito, (eventualmente) in aggiunta ad un’apertura di credito ordinaria, da un’apertura di credito per smobilizzo di portafoglio commerciale. Dico, genericamente, “smobilizzo di portafoglio commerciale” per comprendere tutte quelle forme tecniche di anticipazione della “carta commerciale” che, per la loro complessità, ingenerano spesso difficoltà di analisi e di successiva comprensione nella giurisprudenza.
Prima di giungere alla decisione in commento, va premesso che la novella degli artt. 67 e 70 l. fall. (che è ormai diritto applicato alle procedure concorsuali apertesi dopo il 16.03.05) non ha modificato la fondamentale distinzione tra rimesse su c/c scoperto e su c/c passivo. Il c/c scoperto non è assistito da alcuna apertura di credito, oppure si versa nella situazione in cui il c/c sia affidato, ma il saldo debitore ecceda l’affidamento e per ciò il c/c risulti scoperto per l’eccedenza non affidata; mentre il c/c passivo è assistito da un’apertura di credito ordinaria (o per smobilizzo crediti) e la movimentazione del rapporto si mantiene nei limiti dell’affidamento concesso. Nel primo caso le rimesse, anche di terzi, affluite sul c/c hanno carattere solutorio dell’esposizione nei confronti della Banca e, come tali, sono revocabili; mentre nel secondo caso le rimesse hanno carattere ripristinatorio della disponibilità dell’affidamento concesso dalla Banca e, come tali, non sono revocabili. La persistenza di tale distinzione è stata autorevolmente statuita dalla giurisprudenza ambrosiana (ex plurimis, Trib. di Milano, Sez. II civ., G.U. dott. Vitiello, 27.03.2008).
Rispetto a questa distinzione, però, si può compiere fin d’ora un passo avanti, per cogliere un punto nevralgico delle anticipazioni bancarie, a prescindere dalla varietà delle relative forme tecniche, che analizzeremo di seguito. Immaginiamo che un c/c, intestato ad un’impresa, sia affidato nella forma dello smobilizzo di portafoglio commerciale, sino a concorrenza di 100; che l’impresa, avendo presentato un portafoglio pari a 100, sia ammessa all’anticipazione dell’intero portafoglio presentato, evidenziato sul conto anticipi, e che, quindi, lo sfrutti appieno; che, tuttavia, oltre a tale utilizzo, la stessa impresa, nella “tolleranza” della Banca, abbisogni di ulteriore credito per 20 (un inciso: la “tolleranza” di una Banca è sempre frutto di un processo di autorizzazioni, che sale dal Preposto di Filiale sino al Capo Area territorialmente competente, tutti muniti dei necessari poteri all’uopo delegati, anche in assenza di un contratto di affidamento; è, quindi, una tolleranza che riveste la forma scritta delle singole autorizzazioni volta a volta accordate, sulla cui natura sostanzialmente contrattuale, a fronte di un’eventuale richiesta scritta del cliente, la giurisprudenza dovrebbe quantomeno discutere). Ora, nel momento in cui affluiscono i pagamenti dei terzi debitori dell’impresa, lo smobilizzo di portafoglio commerciale si “autoliquida” progressivamente sul conto anticipi (salva la presenza di insoluti), mentre l’utilizzo sul c/c ordinario è già avvenuto. Questa autoliquidazione, però, non incide affatto sullo sconfino di 20 preesistente sul conto corrente ordinario. Riprenderemo questa riflessione al momento opportuno, per ora basti avere accennato ad un colore intermedio nella rigida dicotomia tra conto scoperto e conto passivo.
2. La sentenza in commento trae origine dal fallimento di un “Ombrellificio”, occorso nel 1995 (sulla funzione di protezione degli ombrelli e l’assenza, nella fattispecie in esame, di un “ombrello” per la Banca – che pure tanto si era adoperata per questa fabbrica di ombrelli – si potrebbe quasi imbastire una pièce teatrale!). La società aveva dei c/c radicati presso la BNL di Napoli. In primo grado il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l’inefficacia di una serie di rimesse intervenute dopo la formale revoca degli affidamenti da parte della Banca, comunicata alla società il 02.08.1994 (nella sentenza si parla di “conti correnti” e di “affidamenti”, al plurale, ma dalla lettura integrale pare evincersi che si trattasse di un unico conto corrente ordinario, assistito da un affidamento per anticipazione di carta commerciale, contabilmente regolato su di un conto anticipi). In secondo grado la Corte d’Appello di Napoli (appellante la curatela) aveva dichiarato l’inefficacia anche delle ulteriori rimesse affluite sul c/c nell’intero anno anteriore alla dichiarazione di fallimento (rammentiamo che, ante novella 2005, l’attuale termine di mesi sei, ex art. 67, comma 2, l. fall., era di anni uno), sostenendo, in particolare: 1) che, nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, il c/c aveva avuto un andamento anomalo, tanto che nel mese di maggio 1994 “presentava uno scoperto di oltre 900 milioni, nonostante gli accrediti per circa 1 miliardo e mezzo rivenienti da operazioni di giroconto”; che, stante la scientia decoctionis della Banca (maturata a seguito delle azioni monitorie di un terzo istituto di credito), “tutte le rimesse affluite sul conto corrente ordinario nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, pacificamente intervenute allorché il conto era scoperto, andavano revocate; che la revocabilità non era esclusa dal fatto che alcune di tali rimesse derivavano da operazioni di giroconto dai c.d. conti anticipi, in quanto era evidente “dalla documentazione prodotta” che i vari rapporti negoziali tendevano a realizzare il fine pratico unitario dell’estinzione dei debiti risultanti dal predetto conto corrente; che ugualmente irrilevante era la circostanza che i conti anticipi risultassero “a debito” all’atto dei giroconti, posto che ciò che rilevava era che le somme oggetto di anticipazione fossero state utilizzate per ridurre od estinguere lo scoperto; che in tali sensi l’appello andava accolto, mentre andava respinta la domanda di revoca delle operazioni annotate a credito sui conti anticipi, prive di funzione solutoria, e indicative dell’avvenuta anticipazione, confluita sul conto corrente ordinario”.
Alla luce di questo quadro informativo, si può tratteggiare la forma tecnica applicata dalla Banca ed ipotizzare l’andamento concreto del rapporto. Innanzitutto, il c/c era affidato nella forma dell’anticipazione su crediti commerciali; inoltre, la società, mentre utilizzava appieno tale affidamento, necessitava di ulteriore credito, che il competente personale della Banca autorizzava alla bisogna, e che determinava lo scoperto. In punto specifico dell’affidamento, questo presupponeva che i crediti anticipati fossero evidenziati sul “conto anticipi”, e che, poi, le somme anticipate fossero effettivamente poste nella disponibilità della società, con giroconto sul conto corrente ordinario. Ancora: ciascun giroconto generava una scrittura in accredito sul conto corrente ordinario; la società utilizzava l’anticipazione con successive disposizioni in addebito, e, così facendo, riduceva progressivamente l’intero importo accreditato. A scadenza, infine, l’importo riveniente dal pagamento del terzo debitore veniva accreditato sul conto anticipi per chiudere l’anticipazione (lucrando, ovviamente, sulle valute); nel caso d’insoluto, l’anticipazione avrebbe potuto essere chiusa con una scrittura di accredito (fittizia) sul conto anticipi, con corrispondente addebito sul conto corrente ordinario.
Ciò posto, se è vero come è vero che la scrittura di accredito sul conto corrente ordinario è soltanto lo strumento contabile per consentire al cliente di utilizzare l’affidamento concessogli, sino a concorrenza del portafoglio presentato ed ammesso all’anticipazione, non è chi non veda come, in costanza di tale affidamento, le scritture in accredito sul conto corrente ordinario per giroconto e le successive scritture in addebito, sullo stesso c/c, per utilizzo dell’anticipazione, siano, nella sostanza, un’operazione unitaria; e che, ove preesista od anche sopravvenga (come nel caso di specie) un utilizzo allo scoperto, l’unitaria operazione di cui sopra sia del tutto neutra rispetto a tale scoperto; come, in buona sostanza, non si realizzi (a dispetto del ragionamento della Corte d’Appello) alcuna funzione solutoria dello scoperto (che persiste), ma si tratti appena del normale funzionamento della forma tecnica di anticipazione in esame.
La Corte, peraltro, dà atto che nel mese di maggio 1994 esisteva uno scoperto di Lire 900 milioni – si leggerà testualmente – “nonostante gli accrediti per circa 1 miliardo e mezzo rivenienti da operazioni di giroconto”; ed ancora che “dalla documentazione prodotta” sarebbe risultato il fine unitario di tutte le rimesse (rivenienti o meno da operazioni di giroconto dal conto anticipi) di “ridurre od estinguere lo scoperto”. Parrebbe, quindi (e l’uso del condizionale si spiega per quello che sarà poi il ragionamento svolto dalla Corte di Cassazione), che le somme anticipate alla società sul conto corrente ordinario fossero, in realtà, “congelate”: in altre parole, sussistendo un rilevante scoperto di c/c, la società avrebbe continuato a presentare carta commerciale, la Banca avrebbe continuato ad anticiparla, ma senza consentire poi alla società l’utilizzo dell’anticipazione con successivi addebiti del conto corrente ordinario, e così distorcendo lo strumento dell’anticipazione, al solo fine di assicurarsi il rientro dello sconfino. Se tale fosse stata la finalità solutoria della Banca, la dichiarazione d’inefficacia dei giroconti sarebbe, allora, ineccepibile.
3. Contro la pronuncia della Corte d’Appello ricorreva la Banca, deducendo due motivi. Tralasciamo il primo, in punto di non conoscenza dello stato d’insolvenza della società; riportando, però, per quanto qui d’interesse, che, a detta della Banca, il conto corrente ordinario “era stato normalmente operativo sino al 2.8.94 ed aveva sempre avuto un incremento negativo, pur nell’oscillazione delle rimesse attive e passive”; ciò è tanto vero che nel luglio 1994 risultava il pagamento “degli assegni [emessi dalla fallita] per decine di milioni”. Quanto, invece, al secondo motivo, la Banca deduceva violazione o falsa applicazione degli artt. 1241, 1248 (compensazione), 1271 (eccezioni opponibili dal delegato), 1853 (compensazione tra i saldi di più rapporti o più conti) cod. civ. ed art. 67 l. fall., nonché vizio di motivazione in punto decisivo della revocabilità delle rimesse derivanti da giroconti disposti dai c.d. “conti anticipi” al conto corrente ordinario. In particolare, negava l’effettivo rientro, posto che i conti anticipi, al momento dei giroconti, presentavano un saldo passivo; pure ammettendo il saldo attivo, invocava il diritto di compensazione; infine, rammentava che non si versava affatto nella deprecabile ipotesi del c.d. “congelamento del conto scoperto” (come sopra rammentata). Su questo motivo la Suprema Corte rilevava, correttamente, che la questione non afferiva al saldo dei conti anticipi; descriveva, altrettanto correttamente, il funzionamento dei conti anticipi, che costituiscono, “una mera evidenza contabile dei finanziamenti per anticipazioni su crediti concessi dalla banca al cliente”, l’incasso dei quali consente al correntista di “tornare ad usufruire di nuove anticipazioni, sino al limite dell’affidamento concessogli”; per poi, tuttavia, passare a sostenere che: “Il rapporto di debito/credito fra la banca e il correntista è invece rappresentato, in ogni momento, dal saldo del conto corrente ordinario, sul quale le anticipazioni affluiscono, mediante “giroconto”, ed al s.b.f., alla stregua di ogni altro versamento eseguito da terzi e, nel momento in cui vengono definitivamente accreditate al correntista, rappresentano anch’esse rimesse revocabili nei limiti in cui hanno contribuito a ridurre od eliminare lo scoperto”. A detta della Suprema Corte, inoltre, la banca anticiperebbe al cliente, “in un primo momento”, l’importo della carta commerciale, ma solo “successivamente (una volta che le abbia effettivamente incassate)” le porrebbe “nella definitiva disponibilità del correntista”, compensando il proprio credito con quello derivante al cliente dalla riscossione del credito. Nel caso di specie, poi, la Corte d’Appello avrebbe ben rilevato che: “le somme oggetto di anticipazione, essendo state poste nella disponibilità dell’Ombrellificio […] attraverso il loro giroconto sul c/c ordinario, allorché questo presentava uno scoperto, avevano avuto finalità solutoria”; dal canto suo, la Banca non avrebbe contrastato l’affermazione che le somme anticipate fossero state poste nell’effettiva disponibilità della società poi fallita, né avrebbe dedotto che fossero state stornate dal conto corrente ordinario. La questione del c.d. “congelamento del conto scoperto” sarebbe, infine, del tutto priva di attinenza.
Il ragionamento svolto dal Supremo Collegio sorprende ed amareggia. Sorprende, perché le premesse sul conto anticipi, quale mera evidenza contabile dell’anticipazione, nonché sulla possibilità di riutilizzo dell’affidamento sino a concorrenza del limite concesso, lasciavano ben sperare. Amareggia, invece, perché compie un incomprensibile salto logico laddove sostiene, del tutto apoditticamente, ed in modo assolutamente contraddittorio rispetto alle premesse, che il rapporto Banca/correntista si evincerebbe appena dalle risultanze del conto corrente ordinario; che le somme anticipate dalla Banca al correntista con accredito sul c/c ordinario sarebbero da considerare alla stregua di qualunque versamento di terzi; che, inoltre, tali somme sarebbero, per l’appunto, anticipate “in un primo momento”, ma che, soltanto nel momento di effettivo incasso dei corrispondenti crediti, sarebbero “poste nella definitiva disponibilità del correntista” e che, quindi, entrando nella disponibilità del correntista su c/c scoperto, sarebbero revocabili. Così ragionando, la Suprema Corte compie un’incomprensibile cesura tra il conto anticipi ed il conto corrente ordinario, obliando del tutto il meccanismo dell’evidenza contabile che la medesima aveva poche righe sopra bene evidenziato. Ritiene, infatti, che le somme accreditate sul conto corrente ordinario a mezzo giroconto dal conto anticipi restino “sospese” in una sorta di limbo, sino all’incasso dei crediti anticipati (confondendo, probabilmente, la postergazione della valuta dell’importo accreditato con la facoltà d’immediato utilizzo dello stesso, a mezzo di successive disposizioni in addebito); ed ancora, che, a questo punto, la scrittura in accredito andrebbe ipso facto in riduzione dello scoperto. Trascura, così, la fondamentale circostanza che la scrittura in accredito sul conto corrente ordinario è proprio diretta a consentire al correntista, per l’appunto, l’immediato utilizzo dell’anticipazione, senza dover attendere l’incasso del credito commerciale evidenziato sul conto anticipi (altrimenti, quale altro scopo avrebbe mai l’anticipazione della carta commerciale?); e che, nel momento in cui il correntista utilizza di quell’anticipazione con disposizioni in addebito, sino a consumarla, il preesistente scoperto non è stato affatto ridotto, stante l’autoliquidazione della carta commerciale anticipata. D’altronde, quando la Corte accomuna, in un passaggio, la forma tecnica dei “giroconti” dal conto anticipi a quella (diversa) del “s.b.f.”, dimostra, una volta di più, come i dicitori del diritto siano ancora lontani dall’avere padronanza di questi meccanismi; e viceversa si preferisca aderire a quell’orientamento – in passato, purtroppo, già espresso dal Supremo Collegio – per cui, assunto che l’operazione di smobilizzo si concreta “in un mandato alla banca di riscuotere il titolo ed in un accredito del relativo importo in conto corrente, subordinato alla condizione sospensiva del salvo incasso”, ne discende che “l’importo anticipato non sarebbe disponibile se non dopo che il titolo è stato pagato” (ex multis, Cass. n. 656/2000, n. 7615/96 e n. 13160/92).
4. In questo quadro, la circostanza che la Banca non avesse negato l’effettiva disponibilità delle anticipazioni da parte della società fallita si ritorce contro la stessa Banca, anziché valere a dimostrare (come il pagamento degli assegni per decine di milioni di lire) che il conto corrente ordinario, in costanza di affidamento, non era affatto congelato; che, quindi, il combinato funzionamento di conto anticipi e di conto corrente ordinario aveva una mera funzione ripristinatoria della possibilità di fruire di nuove anticipazioni; che, se lo scoperto si riduceva, era appena per altre e diverse rimesse, provenienti da terzi, e non certo per i giroconti provenienti dal conto anticipi (altre rimesse della cui esistenza la Corte d’Appello aveva dato atto), strumentali solo all’utilizzo dell’anticipazione concessa. La pronuncia in commento dimostra come la conoscenza delle tecniche bancarie sia un presupposto irrinunciabile per un’adeguata comprensione del confine tra rimesse aventi funzione solutoria e rimesse aventi funzione ripristinatoria; per la qual cosa la dottrina dovrebbe stimolare una migliore riflessione da parte della giurisprudenza, a partire da quella di merito.