La dichiarazione di operatore qualificato è stata oggetto di un’approfondita analisi giurisprudenziale, giunta al suo epilogo con l’intervento della Corte di Cassazione nel 2009.
La figura dell’operatore qualificato era prevista dall’articolo 31 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998.
Tra le figure professionali enucleate da tale norma si annovera anche quella di persone giuridiche con specifica competenza dichiarata per iscritto dal legale rappresentante, lasciando comunque sostanzialmente indeterminata quest’ultima figura.
Tale indeterminatezza ha fatto sorgere non poche difficoltà per ciò che attiene sia il valore della dichiarazione resa dal legale rappresentante; sia per l’obbligo o meno di verifica della corrispondenza alla realtà di tale dichiarazione da parte di chi la riceve.
A tenore di un risalente orientamento giurisprudenziale , la dichiarazione è di per sé sufficiente e valida a provare la competenza del soggetto che la rende, liberando da ogni obbligo di verifica l’intermediario che la riceve.1
Di opposto avviso è altra correntela quale ha approfondito non tanto l’aspetto documentale, quanto quello del reale possesso della dichiarata competenza in strumenti finanziari,rifacendosi sostanzialmente al concetto di professionalità.
Da tale impostazione, discende la necessità di un approfondimento sulla conoscibilità da parte del ricevente della esistenza del requisito dichiarato dall’operatore che si proclama qualificato.
Più precisamente si è posta l’attenzione in un’ottica di responsabilizzazione dell’intermediario che riceve la dichiarazione, ritenendo che questo debba sincerarsi del grado effettivo di competenza dichiarato, poichè la dichiarazione non possa avere valore di autocertificazione.2
Un ulteriore orientamento ha poi preso in esame un altro aspetto del documento in oggetto, rilevando nella dichiarazione di operatore qualificato un carattere “ intrinsecamente valutativo”.
La stessa, pertanto, deve essere confermata da riscontri oggettivi in grado di confermare l’esperienza dichiarata.
Possono, infatti, verificarsi distonie circa la qualifica dichiarata e la reale competenza che il sottoscrittore ha in concreto.
Da qui, la necessità di una analisi di questa prima problematica affrontata dalla più recente giurisprudenza.
Muovendo dalle premesse sin qui svoltesi evince come il punto di partenza sia l’orientamento per cui la sola dichiarazione di competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari édi per sé sufficiente a qualificare come competente la società che la rilascia, esonerando l’intermediario dalla verifica della stessa.3
Sostanzialmente è la dichiarazione – documento a far sì che vi sia una qualificazione nel soggetto giuridico che la rilascia.4
Vi è quindi una applicazione letterale della norma regolamentare che vede nella dichiarazione, l’elemento idoneo a provare l’esperienza e la competenza di chi la rende.
Viene dato quindi rilievo alla dichiarazione in sé liberando il ricevente intermediario da una verifica della qualifica attestata. 5
Nell’affrontare il tema dell’operatore qualificato, però, alcune Corti di merito hanno evidenziato anche le problematiche che da tali dichiarazioni possono sorgere.
In particolare, ove tale dichiarazione sia frutto non semplicemente di mendacio ma ad esempio di semplice sopravvalutazione delle proprie conoscenze e capacità in ambito finanziario, occorre chiedersiquali siano le soluzioni che possono essere prospettate.
Una prima risposta giunge da una decisione di merito la quale conferma l’orientamento secondo cui è da escludersi qualsiasi onere di verifica da parte del ricevente il documento, avallando con ciò sia la prevalenza dell’aspetto documentale della dichiarazione, sia il criterio letterale nella interpretazione della norma regolamentare. 6
E’ proprio muovendo da una predominanza della dichiarazione sulla realtà dei fatti, però, che si evidenzia il limite di tale impostazione, in quanto si afferma che non è compito dell’intermediario verificare l’esattezza e la veridicità di quanto attestato dal dichiarante.7
Andando oltre tale assunto, si giunge anche ad escludere che i requisiti dichiarati dall’operatore qualificato debbano essere documentati, confermando l’esclusione di alcun obbligo di verifica da parte dell’intermediario.8
Questa linea di pensiero formatasi nella giurisprudenzainquadra già di per sé una serie di tangibili problematiche che restano irrisolte.
In primo luogo viene da chiedersicosa possa fare quel soggetto che erroneamente dichiaratosi qualificato abbia interesse a voler dimostrare che tale non è.
Come possa, inoltre,essere evitata una errata o comunque non reale dichiarazione di qualifica in strumenti finanziari; ed infine come possa essere provata l’erroneità o non corrispondenza al reale di tale dichiarazione.
Per rispondere ai prefati quesiti, occorre comprendere gli effetti della disapplicazione della disciplina posta a tutela del contraente debole derivante dalla dichiarazione stessa.
In via esemplificativa, può essere considerata quella particolare categoria di strumenti finanziari denominata S.W.A.P. e gli effetti sopra descritti in tale ambito.
La complessità di tale prodotto finanziario non risiede certamentenella comprensione da parte del sottoscrittore del meccanismo con cui esso opera.
Infatti, le parti, semplicemente, si scambiano a date stabilite importi ottenuti dal rapporto di rispettivi indici con un capitale a loro comune c.d. nozionale.
La complessità della operazione risiede, invece, nell’aspetto previsionale dell’andamento di tali indici.
Da qui, la fondamentale importanza di una informativa trasparente ed esaustiva per l’investitore privo di conoscenze specifiche in ambito finanziario, mirata soprattutto alla comprensione delle dinamiche che sottendono allo strumento finanziario sottoscritto.
Tornando alle citate problematiche si vuole con questa breve disamina tentare di evidenziare le possibili soluzioni di fronte ad una dichiarazione di operatore qualificato non corrispondente a realtà e come sia possibile evitare che ciò accada.
L’orientamento giurisprudenziale che prende in esame l’aspetto della dichiarazione non come documento ma come enunciazione di una reale esperienza nel settore finanziario, evidenzia alcune possibili soluzioni.
Sotto questo aspetto, emerge con forza come tale dichiarazione non possa assumere i termini di una autocertificazione “dovendo per contro ricorrere in concreto il possesso di una conoscenza specifica che consenta al giudice di ritenere il consenso prestato come un consenso pienamente consapevole”.9
Con tale sillogismo logico si giunge ad evidenziare quale sia il concreto problema che sottende a questa tematica.
Infatti, la dichiarazione non può essere semplice richiamo di una norma ma deve “allegare e riportare elementi circostanziati ( quali ad esempio: operazioni intraprese, negozio professionalità acquisita, studi effettuati), da cui dedurre che il contraente fosse effettivamente in grado di comprendere la natura del negozio sottoscritto.” 10
Vi è la necessità, quindi, di una dichiarazione che discostandosi dall’aspetto letterale, giunga a contenere in sé i concreti elementi da cui poter evincere la corrispondenza a vero della autoqualificazione del dichiarante.
Tale elaborazione giurisprudenziale ha reso possibile non solo la individuazione di indici presuntivi di professionalità, ma anche la possibilità per l’operatore dichiaratosi qualificato di provare la assenza di tale requisito.
In tale dibattito è intervenuta la Suprema Corte con la Sentenza n. 12138/2009, giungendo ad attribuire a tale dichiarazione non valore confessorio ma di argomento di prova che il Giudice può porre alla base della propria decisione ex art. 116 c.p.c..
La portata di tale decisione comporta non poche ricadute giuridiche sul tema che ci occupa.
Infatti, mentre l’opinione prevalente in giurisprudenza riconosceva rilievo all’aspetto documentale della dichiarazione, attribuendo ad essa valenza confessoria e sollevando l’intermediario da ogni verifica circa la veridicità di essa, la Suprema Corte supera tale impostazione chiarendo che può essere data facoltà al dichiarante di provare la non corrispondenza a vero della autoqualificazione resa.
Una simile impostazione apre nuovi scenari sia in termini di valore della dichiarazione, sia in termini di prova della non professionalità asserita.
Nel ribadire l’assenza di obblighi per l’intermediario di verifica dei contenuti della dichiarazione, il Supremo Collegio ammette che il dichiarante possa provare la sua “ non professionalità” ridimensionando la portata giuridica della dichiarazione daconfessoria ad argomento di prova.
Viene così meno la superiorità attribuita all’aspetto documentale della dichiarazione rispetto a quello della reale esistenzadi esperienze in ambito finanziario.
Tale impostazione è ribadita dalla più recente giurisprudenza di merito che muovendo proprio da tale decisione, arriva ad ipotizzare indici presuntivi di professionalità, con ciò affrontando sostanzialmente le problematiche sopra descritte.
Emerge così la necessità di una enucleazione di caratteristiche in base alle quali un operatore può essere definito professionale.
Proprio alcune sentenze di merito compiono tale tentativo ritenendo possibile evincere la professionalità del dichiarante dagli studi effettuati, dalle operazioni intraprese in precedenza, dalla presenza nella società di personale qualificato in ambito finanziario, dal titolo di studio del legale rappresentante, dalla struttura societaria stessa, nonché dalla sua attività prevalente.11
Una simile lettura è sicuramente più in linea con quel concetto di professionalità che anima la norma regolamentare Consob citata, oggi superata dal nuovo regolamento Consob.12
Sembra quindi essere confermato nella prassi quell’orientamento che riteneva la necessità che la dichiarazione atto dovesse essere corroborata da elementi di riscontro poiché non sufficiente da sola a disapplicare la normativa posta a tutela dell’investitore soprattutto in termini di informazione. 13
Una simile impostazione di pensiero nell’affrontare il valore della dichiarazione in sé comporta effetti giuridici di notevole importanza per ciò che attiene il rapporto tra intermediario e investitore.
Infatti, vi è la necessità di una visione rigorosa dei rapporti tra investitore e intermediario i quali devono essere improntati al criterio di buona fede e correttezza .14
Volendo coordinare tale orientamento con la decisione della Suprema Corte, può giungersi ad alcune conclusioni circa l’evoluzione del valore della dichiarazione in oggetto.
La Corte di Cassazione, come detto, ritiene che colui il quale abbia interesse a rilevare una discordanza tra il contenuto della dichiarazione e la situazione reale, vede incombere su di sé il conseguente onere probatorio.15
Da ciò si può giungere a considerare come non vi sia per l’intermediario un obbligo di controllare pedissequamente la rispondenza a vero di quanto dichiarato dall’investitore.
Vi è invece per lo stesso un onere di verificare quei fatti che possono essere indicativi della competenza ed esperienza affermata dal sottoscrittore, sincerandosi così del quadro effettivo della esperienza del cliente.
Si giunge quindi ad una responsabilizzazione anche dell’intermediario che riceve un simile documento e ciò ai sensi di quegli oneri di correttezza e buona fede che animano il rapporto tra le parti.
Ciò determina una visione del rapporto cliente – intermediario totalmente diverso.
Infatti, pur rimanendo l’intermediario libero di non verificare la discordanza tra la dichiarazione e la realtà, attraverso la possibilità di provare il contrario della qualifica attribuitasi da parte dell’investitore “ non operatore qualificato “, si giunge a ritenere che l’intermediario possa tenere in opportuno conto le informazioni in suo possesso circa il dichiarante.16
Vi è, quindi,una apertura nelle più recenti decisioni ad una visionedi responsabilizzazione dell’intermediario il quale, proprio attraverso il concetto di diligenza e correttezza sembrerebbe avere l’obbligo di valutare non tanto i contenuti della dichiarazione, ma tutti quegli elementi che esulano dalla stessa e che spesso sono già in suo possesso e che gli permettono di avere una idea precisa circa la veridicità o meno del documento.
Nel merito è sufficiente ricordare gli indici presuntivi di professionalità citati, i quali sicuramente delineano la qualifica reale dell’operatore.
Superato, quindi, lo schema di una autoqualificazione priva di unqualsiasi riscontro materiale e soprattutto semplice ripetizione formale di una norma17, si giunge a ritenere necessaria la diligenza da parte dell’intermediario che la riceve, di verificare quanto meno la corrispondenza di essa con i dati di cui già dispone e di cui è in possesso.18
Ne consegue che, in un’ottica di risoluzione della problematica circa la prova di una discordanza tra la dichiarazione di opertore qualificato resa e la realtà dei fatti, l’interessato ben potràallegare tutta una serie di fatti e documenti idonei a provare il reale stato di cose.
Altresì a suffragio di quanto allega in prova, l’operatore “non qualificato” potrà evidenziare anche come questi elementi siano stati conosciuti o conoscibili dall’intermediario e ciò attraverso una lettura a contrario di tutti gli elementi addotti a prova della sua non qualifica.
Per mera esemplificazione si può nel merito pensare a tutti quei pregressi rapporti intrattenuti con l’intermediario stesso come correntista, ad esempio, oppure l’oggetto sociale della persona giuridica stessa, il grado di istruzione ecc., tutti quegli elementi cioè in grado di qualificare concretamente un operatore.19
Sembra quindi superata la concezione di una mera autoqualificazione di operatore qualificato nei termini di semplice “autocertificazione”20, a favore di una dichiarazione di nuova forma in cui vi sia un ruolo anche dell’intermediario ricevente, in termini di diligenza , intesa quale confronto tra tale documento e reale status dell’investitore conosciuto o conoscibile dall’intermediario.
1
Tribunale di Torino, Sentenza 18 settembre 2007 n. 5930 in www.ilcaso.it sez. I, doc. 998/2007.
2
Tribunale di Vicenza, Sentenza 29 gennaio 2009 n. 143/2009 in www.ilcaso.it sez.I doc. 1648/2009 .
9
Tribunale di Rovigo, Sentenza 3 gennaio 2008 in www.ilcaso.it, Sez.I doc.1094/2008, conforme Tribunale di Vicenza, Sentenza29 gennaio 2009 cit..
10
Tribunale di Rovigo, Sentenza 3 gennaio 2008 cit. e Tribunale di Reggio Emilia Sentenza n. 1281 del 2009 in www.almaiura.it.
11
Tribunale di Rovigo, Sentenza 3 gennaio 2008 cit. e Tribunale di Reggio Emilia, Sentenza n. 1281 del 2009 cit..
12
Reg. Consob n. 16190 del 2007 che abroga con l’art 113 il precedente Reg. Consob n. 11522 del 1998 a far data dal 02.11.2007 in Sentenza Tribunale di Ancona 10 marzo 2011 in www. Il caso.it Sez.I doc. 3410
13
Tribunale di Forlì Sentenza 12 settembre 2008 in www.ilcaso.it Sez.I doc.1396/2008 conforme Tribunale di Vicenza 12 febbraio 2008 in www.ilcaso.it Sez.I doc.1141/2008.
14
Filippo Sartori, “ Gli Swap, i clienti corporate e la nozione di operatore qualificato”, in www.ilcaso.it, Sez. II doc.33.
15
Luca Ruggeri, “ L’operatore qualificato arriva in Cassazione” in www.ilcaso.itSez. II, doc. 190/2010.
18
Tribunale di Udine, Sentenza 13 aprile 2010 in www.ilcaso.itSez.I doc. 2156/2010 , conforme Tribunale di Torino, Sentenza 30 novembre 2009 n. 8151in www.Almaiura.it.