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Approfondimenti

La responsabilità penale dell’Organismo di Vigilanza

1 Luglio 2011

Avv. Davide Picco

Di cosa si parla in questo articolo
OdV

Come noto, l’organismo di vigilanza introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 6 del decreto legislativo n. 231/2001, ha il compito di monitorare il funzionamento e il rispetto dei modelli organizzativi predisposti da ogni singolo ente al fine di prevenire la commissione dei c.d. “reati societari”.

Nel silenzio del d. lgs. 231/2001 è sorto l’interrogativo in merito alla configurabilità di una responsabilità penale in capo ai componenti dell’organismo di vigilanza a titolo di concorso nell’illecito posto in essere dall’ente.

In merito potrebbe essere ravvisabile in capo ai componenti dell’organismo di vigilanza una responsabilità per reato omissivo improprio. Tale istituto è disciplinato dall’art. 40 comma 2 c.p., in forza del quale il non impedire un evento equivale a cagionarlo.

L’operatività di tale clausola di equivalenza è subordinata a tre condizioni: a) la condotta omissiva, b) il verificarsi dell’evento non impedito, c) la sussistenza di una sostanziale posizione di garanzia avente fonte legislativo o contrattuale che impone al soggetto di attivarsi per impedire l’evento.

L’art. 40 comma 2 c.p. sarà dunque applicabile nei confronti dei componenti dell’organismo di vigilanza solo se gli stessi vengono considerati in posizione di garanzia, ossia se in capo ad essi sussiste un obbligo di attivarsi in modo da impedire l’evento reato.

Alla luce del ruolo e dei compiti demandati all’organismo di vigilanza pare possa escludersi la sussistenza di una simile posizione di garanzia. I membri dell’organo infatti hanno il solo compito di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli organizzativi. Sugli stessi non grava alcun potere – dovere che imponga un intervento diretto finalizzato ad impedire ed interferire sulla commissione dell’attività criminosa altrui. In tale ottica l’organo di vigilanza ha la sola facoltà di adire l’organo di gestione per segnalare la condotta illecita, il che, evidentemente, non pone a carico dell’organo alcuna posizione di garanzia.

A sostegno di tale conclusione è utile dar conto della posizione assunta da autorevole dottrina secondo cui, in virtù dei principi di tassatività e determinatezza, l’obbligo di garanzia deve essere tassativamente previsto dalla legge o da un contratto. All’evidenza, non sussiste alcuna disposizioni legislativa che imponga un simile obbligo in capo ai membri dell’organo di vigilanza. Parte minoritaria della dottrina sostiene che la posizione di garanzia discenda dal rapporto contrattuale intercorrente tra l’ente e l’organismo di vigilanza. Tale argomentazione non è condivisibile poiché, quanto in meno in via generale, il mandato conferito all’organismo di vigilanza e le attività ad esso connesse, non possono contemplare un obbligo di impedire la commissione dei reati gravanti sull’organismo di vigilanza.

Inoltre, è possibile escludere a priori una qualsivoglia responsabilità in capo all’organismo di vigilanza in caso di commissione dolosa di un reato da parte dell’ente. La condotta posta in essere dall’organismo di vigilanza – il non impedire, il non vigilare, l’omesso controllo -si connoterebbe infatti come fattispecie colposa. Dunque, non essendo prevista nel nostro ordinamento la punibilità per il concorso colposo nel delitto doloso, è senz’altro escludibile in siffatte ipotesi la responsabilità penale dell’organismo di vigilanza.

Dunque, se la mancata vigilanza da parte dell’organismo sui modello organizzativi espone l’ente all’applicazione di sanzioni amministrative, nessuna responsabilità penale potrà essere imputata al componente dell’organismo di vigilanza.

Pertanto, per poter imputare una qualsivoglia responsabilità penale in capo ai membri dell’organismo di vigilanza sarebbe necessario provare, ai sensi dell’art. 110 c.p.,che il medesimo abbia partecipatodirettamente, omettendo di eseguire i propri e le proprie funzioni, al disegno criminoso compiuto da altri. Sotto questo profilo è opportuno sottolineare che, ai fini della configurabilità del concorso di presone del reato è necessaria la volontaria partecipazione alla condotta criminosa nonché un apporto causalmente rilevante nella commissione dell’illecito. In altre parole, è configurabile in capo al componente dell’organo di vigilanza una responsabile a titolo di concorso del reato qualora, omettendo volontariamente di vigilare sul funzionamento del modello organizzativo, abbia agevolato la commissione di un reato da parte dell’ente.

Infine è opportuno osservare che, se è possibile escludere la configurabilità di una responsabilità per reato omissivo improprio, sussiste nel nostro ordinamento un’ipotesi di reato omissivo proprio che coinvolge l’organo di vigilanza.

Tale fattispecie è prevista dalla normativa antiriciclaggio introdotta dal decreto legislativo 231/2007. L’art. 52 di tale testo normativo demanda ad alcuni organi, tra cui appunto l’organismo di vigilanza, il compito di vigilare sull’esecuzione e sul rispetto delle imposizioni sancite dallo stesso decreto. Il secondo comma di tale articolo, in particolare, impone a tali organi alcuni specifici obblighi di comunicazione riguardanti atti e fatti indicati dal testo normativo. Il combinato disposto degli artt. 52, 2° comma, e 55, 5° comma punisce chi, essendovi obbligato, omette di fornire tali comunicazioni.

 

 

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