Con sentenza 23 marzo 2011 n. 668, la III^ Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha sancito la responsabilità della Consob per violazione delprincipio di diligenza nello svolgimento della propria attività di controllo, confermandone la condanna al risarcimento del danno in favore di alcuni risparmiatori truffati da una società di intermediazione mobiliare (SIM) di cui la Commissione avrebbe dovuto sospendere l’attività.
In particolare, nel confermare l’orientamento espresso dai giudici di merito, la Corte ha affermato il seguente principio di diritto:“l’attività della pubblica amministrazione, ed in particolare della Consob, ente pubblico di garanzia di controllo e vigilanza sul mercato dei valori mobiliari e sulla raccolta finanziaria del risparmio, deve svolgersi nei limiti e con l’esercizio dei poteri previsti dalle leggi speciali che la istituiscono, ma anche della norma primaria del neminem laedere, in considerazione dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione dettati dallo art. 97 della Costituzione in correlazione con l’ art. 47 prima parte della Costituzione; pertanto la Consob è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’ art. 2043 c.c. atteso che tali principi di garanzia si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario. L’illecito civile, per la sua struttura, segue le comuni regole del codice civile anche per quanto concerne l’ imputabilità soggettiva, la causalità, l’ evento di danno e la sua quantificazione”.
Nel caso di specie, quindi, la Corte ha individuato un’ipotesi di illecito aquiliano ex art. 2043 c.c. nel mancato rispetto, da parte della Consob, degli ordinari criteri di diligenza dovuti nell’esercizio della propria attività di controllo, in ossequio al generale principio del neminem laedere, valido anche in materia di attività della pubblica amministrazione.
Di qui i fatti.
Nel 2007 la Corte d’appello di Roma aveva condannato la Consob a risarcire alcuni risparmiatori per la truffa perpetuata in loro danno da una società di intermediazione mobiliaresoggetta al suo controllo. In particolare, la Consob, dopo aver rilasciato alla società in questione l’autorizzazione a svolgere attività d’intermediazione mobiliare e di gestione dei patrimoni, disponendone la iscrizione allo Albo delle SIM, avrebbe omesso di vigilare sulla stessa pur quando, per usare le parole della Corte, “risultò evidente che la società in questione faceva parte di un più vasto gruppo […] che svolgeva intermediazione finanziaria, senza autorizzazione alcuna”.
Nell’impugnare la sentenza della Corte d’appello di Roma avanti la Suprema Corte di Cassazione, la Consob, eccependo che un eventuale controllo successivo al rilascio dell’autorizzazione de qua non sarebbe stato atto dovuto, contestava la sussistenza di obblighi di controllodi natura “sostanziale” nei suoi confronti. Tale tesi formalistica si ponevain contrasto con quella seguita dai giudici di merito, il quali avevano individuato obblighidi natura più strettamente sostanziale sul presupposto che la stessa Consob non fosse “soltanto organo di vigilanza del mercato dei valori, ma anche un organo di garanzia del risparmio pubblico e privato”. Con la conseguenza che la stessa avrebbe dovuto orientare la propria attività,oltre che al rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione ex art. 97 della Costituzione, in funzione dei principi di promozione e tutela del risparmio imposti dall’art. 47all’autorità pubblica.
Il suddetto orientamento si pone in continuità quanto già espresso dalla I^ sezione della Suprema Corte nella sentenza del 03 marzo 2001, n. 3132, leading case in materia di responsabilità civile dell’Autorità di vigilanza per omessa o insufficiente attività di controllo delle informazioni contenute nel prospetto.
Già in tale occasione, infatti, la Suprema Corte aveva riconosciuto in capo alla Consob un penetrante e diffuso potere di controllo della completezza – veridicità delle notizie ricevute lungo tutto l’arco procedimentale corrente dalla data della comunicazione della operazione,“espressione della scelta legislativa di assegnare alla Consob la massima funzione di garante della legalità dell’agire delle società e tradotto in plurime potestà di intervento”, che si concretizza nella potestà per l’Autorità di Vigilanza di disporre esibizioni ed integrazioni documentali, ispezioni ed inchieste, al fine di accertare l’esattezza e completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati.Poteri, questi, qualificanti per lo stesso rilievoordinamentale della Consob “in assenza dei quali il ruolo dell’organo sarebberidotto a quello di un ufficio di deposito atti”.
In tal senso, se pure la scelta relativa allo specifico strumento da utilizzare appartiene alla sfera decisionale dell’organo, la Commissione deveritenersi vincolata internamente all’attivazione della vigilanza nell’interesse pubblico della trasparenza del mercato dei valori mobiliari.
E’indiscutibile, infatti, sempre per usare le parole della Corte, che “l’omissione di alcuna iniziativa funzionale allo scopo assegnato non possa trovare esimente nell’appartenenza anche di tale omissione all’ambito della funzione stessa, tal funzione avendo oltre i noti limiti esterni della imparzialità, correttezza e buona amministrazione il vincolo interno costituito dalla attivazione della vigilanza nell’interesse pubblico”.
Gli orientamenti qui citati, riconoscendo in capo agli investitori una pretesa, nei confronti dell’Autorità di Vigilanza, qualificabile in termini di “diritto all’integrità del patrimonio”, evidenziano quindi la volontà della Suprema Corte di responsabilizzare la Consob nel rispetto del proprio ruolo pubblico di promotore e garante del risparmio di cuil’art. 47 della costituzione rappresenta la massima espressione.