Il 13 marzo 2018 la Commissione europea ha pubblicato una proposta di direttiva volta alla riduzione dei tempi necessari al recupero del credito e al miglioramento delle condizioni e della gestione delle sofferenze bancarie (cfr. contenuti correlati). La proposta di direttiva rientra tra le varie iniziative delle istituzioni europee tese a creare una legislazione armonizzata ed efficace all’interno dell’UE nell’ambito della gestione degli NPL. Il testo verrà sottoposto al vaglio del Parlamento e del Consiglio, a cui seguirà la probabile approvazione della versione definitiva. Ragionevolmente il testo definitivo potrà essere disponibile e vincolante per gli Stati membri intorno al maggio 2019. Gli Stati avranno, poi, due anni di tempo per implementare la direttiva e adeguare le proprie legislazioni alle indicazioni europee.
L’iniziativa legislativa si inscrive all’interno del percorso intrapreso dall’UE per la creazione della Capital Market Union, che si propone, tra l’altro, la creazione di un contesto normativo favorevole per la risoluzione del problema delle sofferenze, il cui smaltimento spesso è ostacolato dalla mancanza di strumenti adeguati e dalla lentezza delle procedure degli ordinamenti interni. In questo senso si orientano, tra le altre, anche le ulteriori recenti misure previste dalla BCE in tema di NPL (es. Addendum alle Linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati). È evidente, in questo senso, che il problema del rischio di credito sia considerato dalla Vigilanza europea come una delle priorità da affrontare nel percorso di creazione della Banking Union. Da come si evince dalla premessa contenuta nella proposta di direttiva, livelli elevati di NPL incidono sul capitale e sulla raccolta delle banche, riducono la loro redditività e sottraggono risorse che potrebbero essere destinate a impieghi più produttivi, ostacolando l’offerta di credito alle imprese.
La futura direttiva dovrebbe sostanzialmente incidere su tre diversi aspetti relativi al recupero del credito: è prevista l’introduzione di un regime comune relativo alle società di gestione dei crediti deteriorati; viene, poi, preso in considerazione il tema dell’accesso all’attività di acquisto del credito sul mercato secondario; infine, dovrebbe essere introdotto l’obbligo, per gli Stati membri, di predisporre almeno una procedura stragiudiziale di escussione delle garanzie dei crediti (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement, c.d. AECE).
Un interessante spunto di riflessione emerge dal raffronto tra le misure che i singoli Stati membri saranno chiamati a introdurre nel proprio ordinamento nel processo di implementazione della direttiva e gli specifici strumenti normativi domestici che già regolano il sistema del mercato dei crediti non-performing. Tale analisi sarà di estrema importanza, non solo per individuare gli elementi di novità apportati dal legislatore europeo, ma anche per valorizzare quegli aspetti già contenuti all’interno dei singoli ordinamenti.
L’attività di servicing, nella maggior parte degli Stati membri, non è ancora assoggettata ad una regolamentazione specifica. In Italia è già previsto l’obbligo di iscrizione ai sensi dell’articolo 115 TULPS. Tuttavia, probabilmente, sarebbe errato ritenere tale disposizione interna rispondente ai nuovi requisiti europei.
In questo senso, la proposta di direttiva prevede che le società che svolgono attività di recupero dei crediti si dotino di autorizzazione rilasciata da una specifica autorità designata da ogni singolo Stato membro, la quale svolgerà la funzione di supervisione del corretto svolgimento di tale attività.
All’interno del nuovo testo, sono definiti alcuni requisiti necessari per l’ottenimento di tale autorizzazione. La società di servicing, che dovrà istituire la propria sede all’interno del territorio di uno degli Stati membri dovrà dotarsi di misure e procedure di controllo interne adeguate, a protezione dei dati personali.
Similarmente a quanto previsto dalla normativa interna italiana, viene previsto l’obbligo, per ogni singolo Stato membro, di redigere un registro di iscrizione per tali società. In questo caso, però, la nuova normativa europea dovrebbe prevedere la possibilità per le società iscritte di svolgere la propria attività cross-border all’interno di tutto il territorio UE, semplicemente fornendo alcune informazioni all’autorità dello Stato ospitante e sotto la supervisione dell’autorità competente. La possibilità concessa alle società di servicing di operare cross-border dovrebbe aumentare la concorrenza, nel contesto di mercati caratterizzati attualmente dalla presenza di un numero ristretto di società operanti in tale ambito.
Il secondo elemento preso in considerazione dalla proposta riguarda la possibilità di accesso all’acquisto del credito. Il testo prevede che l’attività di acquisto dei crediti sia soggetta solamente alle disposizioni di trasposizione della nuova normativa europea, con la conseguente eliminazione di ogni ulteriore ostacolo interno. La previsione, in questo senso, sembra orientata a migliorare e velocizzare le operazioni di acquisto dei crediti.
Gli Stati membri dovranno prevedere che venga garantito ai compratori il pieno accesso alle informazioni necessarie per determinare il valore del credito e la solvibilità dello stesso. A tal fine, gli istituti di credito dovranno dotarsi di adeguati sistemi interni che favoriscano la conoscenza delle informazioni rilevanti.
All’interno dell’ordinamento italiano, l’acquisto di NPL, al momento, è di fatto riservato ad intermediari bancari e finanziari ed a veicoli della cartolarizzazione italiani e fondi di credito.
Con il nuovo asseto normativo europeo, dunque, la riserva di attività prevista dall’ordinamento interno dovrebbe essere superata, incentivando, in questo modo, l’accesso al mercato secondario da parte di operatori esteri.
Da ultimo, la proposta di direttiva presentata dalla Commissione introduce l’obbligo per gli Stati membri di dotarsi di adeguati strumenti stragiudiziali per rendere più flessibile e rapido il sistema delle garanzie del credito. Gli Stati membri dovranno prevedere all’interno dei propri ordinamenti almeno una tra le misure previste nella proposta di direttiva: l’asta pubblica, la vendita privata o l’appropriation.
Il ricorso a tali strumenti dovrà essere approvato per iscritto dalle parti dell’accordo. In questo senso, è probabile che all’interno dei nuovi contratti di finanziamento verrà prevista una clausola apposita. Il creditore, inoltre, dovrà notificare la propria intenzione ad esercitare la garanzia con un preavviso di quattro settimane. Una volta ricevuta la notifica, il debitore sarà impossibilitato a disporre del bene in garanzia.
Infine, per quanto riguarda l’ambito applicativo delle previsioni relative all’AECE, deve sottolinearsi l’esclusione, tra gli altri, degli accordi garantiti da immobili residenziali, che fungano da prima casa.
L’ordinamento italiano ha già introdotto una procedura stragiudiziale per il recupero del credito (Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato, c.d. Patto marciano, art. 48-bis TUB, introdotto con il d.l. 59 del 2016, convertito in legge n. 119/2016) che potrebbe ricondursi nei binari della nuova direttiva. In tal senso sarà necessario e interessante un confronto tra la disciplina domestica e quella sovrannazionale per cogliere gli eventuali elementi di innovazione.
A ciò deve aggiungersi la previsione introdotta all’art. 120-quinquiesdecies TUB. L’ambito applicativo della norma prende in considerazione i rapporti tra il finanziatore e i consumatori. In tal senso è prevista la possibilità per le parti di convenire, con clausola espressa, un meccanismo simile a quello previsto dalla proposta di direttiva e dall’art. 48-bis. Tuttavia, nel regolare tale strumento negoziale, il legislatore dispone una disciplina specifica a tutela del consumatore.
La proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea è chiaramente orientata a promuovere nuove tecniche di recupero del credito che diano vita ad un sistema più competitivo ed efficiente. Tutto ciò, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe dare impulso al mercato secondario, incentivare gli istituti bancari e gli altri soggetti investitori ad erogare nuova finanza, nel tentativo di migliorare l’accesso al credito a beneficio dell’economia reale.