Per anni la distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento ha interessato le aule di giustizia, con un numero sempre crescente di cause, tutte accomunate dallo stesso thema decidendum.
Parlare di leasing, infatti, significava discutere della disciplina applicabile nell’uno o nell’altro caso e, quindi, delle conseguenze legate alla risoluzione del contratto in caso di inadempimento dell’utilizzatore.
La domanda principale su cui si focalizzano i diversi Tribunali era la seguente: la risoluzione del contratto legittima la richiesta di restituzione delle prestazioni già eseguite?
La risposta non era così scontata.
Se, infatti, per il leasing di godimento trovava applicazione l’art. 1458, comma 1, c.c., norma dettata in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, lo stesso non poteva dirsi per il leasing traslativo, in cui i beni, alla scadenza del contratto, erano destinati a conservare un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione finale e i canoni scontavano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto.
Per tali contratti, infatti, parte della giurisprudenza sosteneva l’applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c. (secondo cui “Se la risoluzione del contratto ha luogo per l’inadempimento del compratore [utilizzatore], il venditore [concedente o società di leasing] deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno”), mentre l’altra non accettava tale ricostruzione.
Il motivo è il seguente: benché fino a poco tempo fa non vi fosse nel nostro ordinamento una disciplina organica e unitaria del leasing (ad eccezione del contratto di leasing finanziario mobiliare disciplinato dalla Convenzione di Ottawa e del leasing immobiliare abitativo), larga parte della giurisprudenza aveva già intuito come gli effetti della risoluzione del contratto dileasing traslativo non trovassero risposta nell’art. 1526 c.c.
Una delle motivazioni era la Legge n. 259/1993 – di ratifica della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale sottoscritta a Ottawa il 26/05/1988 e recepita nel nostro ordinamento con legge 14/07/1993 n. 259 – che aveva l’obiettivo di armonizzare le differenti legislazioni degli stati contraenti.
Da qui l’orientamento della Suprema Corte, che si è era espressa sul punto precisando che il contratto di leasing, fuori dall’ambito di applicazione della Convenzione di Ottawa e in assenza di una disciplina generale, è regolato in via pattizia in base a modelli contrattuali standardizzati (cfr. Cass., n. 23794/2007 e Cass. n. 888/2014).
In tale contesto, il contenuto dei modelli contrattuali utilizzati su scala nazionale si era adeguato alle sollecitazioni della giurisprudenza, prevedendo l’obbligo a carico delle società di leasing di detrarre il valore residuo di rivendita o di riutilizzo del bene, restituito dall’utilizzatore, dall’importo complessivo ancora dovuto dal medesimo a titolo risarcitorio in seguito alla risoluzione, comprensivo di rate scadute, rate a scadere (attualizzate) e prezzo “di riscatto”, maggiorato degli interessi moratori al tasso convenzionale.
In questo modo, si è pian piano superata la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo (anche a seguito dell’inserimento, nella Legge Fallimentare, dell’art. 72 quater, ad opera dell’art. 59 D. Lgs. 5 del 2006) e si è giunti ad un diverso approdo interpretativo, che riteneva dominante la componente finanziaria del contratto socialmente tipico (cfr. ex multis: Trib. Bologna, est. Dr.ssa Velotti, 26/02-05/03/2013, n° 601,inGiuremilia.it; Trib. Treviso, 04/02/2013, inIl caso.it; Trib. Milano, 07/06/2012, inil Fall., 2012, 8, 1005).
In buona sostanza, dunque, l’interesse della società di leasing veniva valutato con esclusivo riferimento al piano finanziario, mentre l’eventuale valore residuo dei beni locati rilevava solo ai fini dell’esercizio del diritto di opzione.
Il che, ancor prima che la Legge n. 124/2017 introducesse nel nostro ordinamento una definizione del contratto di leasing finanziario, era già un chiaro segno di come la (tradizionale) distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo fosse ormai superata, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1526 c.c.
Non stupisce, pertanto, che tale linea interpretativa sia stata confermata dalle successive sentenze intervenute in materia.
In tal senso, la Corte di Cassazione che, accantonate le classificazioni più risalenti, ha affermato che il contratto di leasing ha assunto i caratteri di una fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà.
In particolare, secondo la Suprema Corte, il legislatore ha optato per una ricostruzione unitaria del contratto dileasing, disattendendo il tradizionale indirizzo giurisprudenziale ed escludendo la distinzione tra leasing di godimento e traslativo (cfr. Cass., 29/03/2019, n. 8980; e Cass., 10/07/2019, n. 18543).
Nello stesso solco, più di recente, si inseriscono due interessanti sentenze del Tribunale di Bologna che avvallano tale linea interpretativa:
- “Secondo la Corte, in breve, la nuova disciplina (legale) della locazione finanziaria, accantonate le classificazioni tradizionali, ha superato il ricorso analogico all’art. 1526 c.c., che non potrà più trovare applicazione ai contratti di leasing anche se stipulati prima della sua entrata in vigore. Si può dunque concludere la permanenza della natura atipica del contratto di locazione finanziaria da inquadrarsi come contratto di durata con causa di finanziamento e con irrevocabilità e irripetibilità dei pagamenti eseguiti nel corso del rapporto contrattuale” (Trib. Bologna, Sez. IV, 19/11/2019, n. 20822);
- “Sembrerebbe dunque che con la nuova normativa il legislatore abbia finalmente tipizzato la fattispecie negoziale della locazione finanziaria, senza recepire la tradizionale distinzione giurisprudenziale tra leasing di godimento e leasing traslativo e facendo così venir meno un indirizzo interpretativo e una distinzione non fondati su alcuna norma di legge” (Trib. Bologna, Sez. IV, 27/11/2019, n. 20871).
Pare, dunque, che in tema di locazione finanziarianon vi sia più spazio per la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e traslativo, con la conseguenza che l’art. 1526 c.c. non potrà più trovare applicazione.
E ciò non solo per i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della Legge n. 124/2017, bensì anche per quelli antecedenti.
Del resto, come confermato dalla Giurisprudenza, non avrebbe senso disciplinare una determinata fattispecie contrattuale sulla scorta di principi che sono stati superati dallo stesso legislatore, senza dimenticare che il Giudice, nell’ambito della propria attività interpretativa, deve considerare quanto previsto dall’ordinamento vigente, non da quello passato.
In questi termini: “Non si tratta dunque di attribuire carattere retroattivo (in assenza di norme di diritto transitorio) alla nuova disciplina portata dalla legge 124/2017, ma di fare concreta applicazione della c.d. interpretazione storico-evolutiva, secondo cui una determinatafattispecie negoziale, per quegli aspetti che non abbiano esaurito i loro effetti, in quanto non siano stati ancora accertati e definiti con statuizione passata in giudicato, non può che essere valutata sulla base dell’ordinamento vigente, posto che l’attività ermeneutica non può dispiegarsi “ora per allora”, ma all’attualità” (cfr. Cass., 29/03/2019, n. 8980; e Cass., 10/07/2019, n. 18543).
In ultimo, è interessante segnalare come il Tribunale di Bologna, con la sopra citata sentenza n. 20822 del 19/11/2019, abbia osservato che la clausola penale – risarcitoria che si ritrova nella maggior parte dei contratti di leasing è perfettamente legittima, rispondendo ad una esigenza di equo contemperamento degli interessi negoziali.
Secondo il Giudice felsineo, infatti, l’”eccepita eccessività della clausola penale prevista dall’art. 8 delle condizioni generali di contratto, opportunamente sottoscritte anche ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., essa risponde al principio di equa composizione degli interessi in conflitto, senza che parte opposta ricavi nulla di più di quanto avrebbe ricavato qualora il contratto sarebbe giunto a scadenza. Del resto detta clausola risulta regolare gli effetti conseguenti alla risoluzione anticipata del contratto di leasing che si sostanziano nella restituzione del bene, nel pagamento dei canoni scaduti e non pagati alla data di risoluzione del contratto dei canoni a scadere e del prezzo di opzione attualizzati alla data di risoluzione del contratto, con l’obbligo per il concedente di portare a deconto quanto ricavato dalle eventuale vendita del bene […] La clausola penale dunque può dirsi legittima con conseguente diritto dell’opposta di ottenere il pagamento come avanzato in sede monitoria”.
Viene dunque chiarito anche il perimetro della clausola penale inserita nei contratti di leasing stipulati prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017: la clausola è pienamente legittima poiché disciplina coerentemente gli opposti interessi delle parti, motivo per cui alcuna eccezione di “manifesta eccessività” può essere sollevata.