Il 24 novembre, la Commissione Europea ha lanciato una nuova proposta legislativa che introduce un fondo di garanzia europeo per i depositi bancari (European Deposit Insurance Scheme, o EDIS). Si tratta della colonna mancante per l’architettura istituzionale della nuova unione bancaria, che contribuisce a rafforzare meccanismi di condivisione dei rischio a livello europeo e a sganciare i rischi del sistema finanziario dal rischio dei governi nazionali. È una proposta ambiziosa e con delle novità che incastonano l’EDIS all’interno dell’unione bancaria a supporto del meccanismo di risoluzione e dei depositi bancari garantiti. Il fondo di garanzia raccoglierà i contributi tramite i fondi di garanzia nazionali che decideranno di far parte del fondo, fornendo così anche una governance comune.
Contesto e ambito di applicazione
Il testo è una proposta di regolamento che modifica il regolamento UE 806/2014, che ha introdotto il meccanismo di risoluzione europeo (o SRM) per le banche facenti parte del meccanismo di vigilanza comune (o SSM). Il regolamento si aggiunge a una Direttiva del 1994, che è stata poi modificata con altre due direttive (2009/14 e 2014/49) introdotte a seguito della crisi islandese per ridurre il red tape degli stati membri, velocizzare le procedure di esborso dei fondi (ridotte a 20 giorni) e armonizzare la soglia di copertura ad almeno 100.000 euro. Mentre la Direttiva, con le modifiche intervenute negli anni successivi, si applica a tutti fondi di garanzia dei depositi nazionali in Europa, i termini dell’EDIS si applicano solo alle banche degli stati membri partecipanti all’SRM, ma con la possibilità per altri stati membri UE di unirsi qualora decidessero di entrare nell’unione bancaria.
Il fondo di garanzia europeo (EDIS) prevede la copertura di tutti i depositi bancari, come definiti dall’art. 2.1 (3) della Direttiva 2014/49, eccetto depositi strutturati e strumenti monetari a breve. Sono inoltre esentati i depositi temporanei (ad esempio, depositi per l’acquisto di una casa o per altre operazioni eccezionali), per cui è prevista una copertura più elevata, ma solo per un periodo di 12 mesi. Il fondo copre il valore aggregato dei depositi di ogni depositante per banca, creando un incentivo positivo a non concentrare enormi somme nella stessa banca. I depositanti che beneficiano della garanzia sono persone fisiche e giuridiche, escluse istituzioni finanziarie (che possono accedere alla liquidità delle banche centrali) o enti governativi (a eccezione di enti locali piccoli). Il fondo copre anche depositi in altre valute. L’intervento dell’EDIS è vincolato alla decisione del giudice o dell’autorità competente, che dovrà stabilire se i depositi siano diventati indisponibili.
Le decisioni del fondo sono prese nello stesso board del fondo di risoluzione, con la differenza che la sessione plenaria coinvolge i DGS nazionali e non le autorità di risoluzione nazionali. Le sessioni esecutive invece coinvolgono gli stessi componenti che prendono le decisioni per il fondo di risoluzione e per l’EDIS. Con l’entrata a pieno regime nel 2024, nel caso d’indisponibilità dei depositi, il board dovrà stimare la liquidità necessaria e, qualora insufficiente, recuperare i contributi ex post delle banche entro 3 giorni, in modo da restituire i fondi ai depositanti entro 7 giorni. Il board di EDIS avrà 24 ore per decidere se ci sono le condizioni per un intervento.
Un aspetto interessante della proposta è l’opzione per i depositi di garanzia nazionale di rimanere al di fuori di EDIS, anche se poi le banche dovranno contribuire due volte (per il fondo nazionale e quello europeo). Questa clausola crea un forte incentivo a terminare qualsiasi forma di garanzia dei depositi nazionale per fondersi nel nuovo meccanismo europeo. In effetti, in Europa, oggi esistono decine di fondi di garanzia. Ad esempio, in Italia ne esiste uno per le cooperative e un altro per le restanti banche. Tuttavia, cambia la loro natura. Alcuni di loro, come quelli tedeschi (Investment Protection Schemes, o IPS), sono già finanziati, mentre quelli italiani o spagnoli non sono prefinanziati. Non è ancora chiaro se e come i fondi nazionali (DGS) si dovranno organizzare per la fusione in un solo fondo nazionale che farà capo all’EDIS. In ogni caso, se i DGS nazionali non applicheranno alla lettera i termini dettati dall’EDIS possono essere esclusi ad ogni momento dal meccanismo comune.
I termini di applicazione
La proposta prevede una riduzione graduale dei giorni di attesa per ottenere il rimborso da parte dell’EDIS, da 20 giorni (con l’attuale direttiva) a soli 7 giorni entro il 2024 (15 giorni dal 2019), quando il sistema entrerà a pieno regime. Inoltre il depositante riceverà gli interessi maturati, i prestiti non saranno considerati nel rimborso e il depositante riceverà un documento standardizzato sulle condizioni particolari della copertura. I depositanti di filiali di banche in altri stati membri non saranno rimandati al DGS dello stato di origine della banca (in un’altra lingua) poiché il DGS nazionale agirà come punto di contatto unico, anche per filiali di banche registrate in altri stati membri. Inoltre, il DGS pagherà di sua iniziativa. Il depositante non avrà bisogno di richiedere al DGS la restituzione dei depositi.
Le banche contribuiranno alla costituzione del fondo EDIS con una contribuzione ex ante (come per il fondo comune di risoluzione). Questa contribuzione crescerà fino al massimo previsto dello 0.8% dei depositi garantiti per il 2024. La contribuzione sarà calcolata sulla base dell’ammontare di depositi da coprire e il grado di rischio della banca. Se le risorse del fondo fossero insufficienti, l’EDIS (tramite i fondi nazionali) potrà raccogliere direttamente contributi ex post delle banche all’interno del sistema bancario che richiede accesso alla liquidità. La raccolta ex post straordinaria potrà solo avvenire se non si peggiora ulteriormente la situazione del sistema bancario. Qualora i contributi ex post fossero insufficienti, il fondo può prendere a prestito da parti terze pubbliche o private sotto termini alternativi di finanziamento. I DGS nazionali possono anche prendere a prestito tra di loro (su base volontaria). Le risorse del fondo EDIS saranno prevalentemente in contante, ma potranno anche essere investite in impieghi a basso rischio e facili da liquidare a breve. Il fondo può anche accettare promesse di pagamento della banca, ma solo se collateralizzate con impieghi a basso rischio e non ingombrati da diritti di terze parti (per un valore non superiore al 30% del fondo). L’autorità bancaria europea (EBA) si occuperà di definire le guidelines per l’implementazione (quali la formula, indicatori specifici, classi di rischio per i membri, ecc). La metodologia per il calcolo della contribuzione sarà stabilita dai fondi nazionali, che poi informeranno EBA, la quale dovrà rivedere queste metodologie dopo 3 anni e poi ogni 5 anni.
Il rapporto con il meccanismo di risoluzione (SRM)
Il legame tra il Single Resolution Fund (SRF) e l’EDIS è definito dall’articolo 79 del regolamento SRM 806/2014 e dall’articolo 109 della Direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) 2014/59. La contribuzione delle banche all’EDIS e all’SRF rimane separata, come la governance e l’utilizzo delle risorse dei due fondi. La struttura amministrativa, invece, può essere molto integrata. Il supporto dell’EDIS alla risoluzione si limita al costo potenziale che il fondo avrebbe dovuto sostenere nel caso l’istituzione finanziaria fosse fallita. Gli interventi dell’EDIS, tramite i DGS nazionali, saranno sottoposti alla procedura di aiuti di stato. L’EDIS sarà informato tempestivamente quando c’è un’elevata probabilità di fallimento della banca e avrà accesso a tutti i dati bancari gestiti dalla banca in difficoltà. Rimane ancora da chiarire la distinzione tra la comunicazione inviata all’EDIS dai DGS nazionali e quella necessaria per attivare il meccanismo di risoluzione della banca.
L’intervento dell’EDIS può avere luogo anche prima del procedimento di risoluzione per dissuadere possibili corse ai depositi e prevenire il contagio tra banche. Ci potranno certamente essere situazioni d’illiquidità, come nel caso di sistemi bancari altamente concentrati, che potrebbero portare all’indisponibilità temporanea dei depositi senza attivare la procedura di risoluzione per insolvenza. All’interno della procedura di risoluzione, invece, il DGS interverrebbe per coprire le perdite che si abbatterebbero sui depositi dopo il bail-in e se i fondi dell’SRF non sono immediatamente disponibili per coprire le perdite restanti. I due fondi, pertanto, mantengono obiettivi diversi ma complementari. Il fondo EDIS ha l’obiettivo di proteggere i depositi garantiti in qualsiasi circostanza, mentre il fondo SRF ha l’obiettivo di reperire le risorse necessarie a colmare il gap finanziario (bridge financing) utile a restituire la continuità delle funzioni bancarie. Inoltre, i fondi EDIS possono essere riservati anche per supportare interventi preventivi, quali garanzie o ricapitalizzazioni, in specifiche condizioni, in altre parole quando l’autorità non è riuscita a prendere provvedimenti tempestivi e l’EDIS riesce a monitorare meglio il rischio.
La procedura d’implementazione
La procedura d’implementazione dell’EDIS prevede una graduale introduzione del meccanismo comune di protezione dei depositi in tre fasi: riassicurazione (2017-2020); co-assicurazione (2020-2024); piena assicurazione (dal 2024 in poi).
La fase di riassicurazione (2017-2020) prevede il calcolo della contribuzione delle banche in base a tutti i membri che partecipano al DGS nazionale. Entro il 2017, dovranno essere elargite risorse al fondo almeno uguali allo 0,18% del totale dei fondi garantiti, circa 9,4 miliardi. A fine 2012, i fondi garantiti in Europa equivalevano a 5.200 miliardi di euro, circa il 50% dei depositi totali, mentre il valore dei depositi che possono utilizzare la garanzia, ma eccedono i 100,000 euro, è uguale a 2,392 miliardi (circa il 25% del totale; come eccedenza).[1] Il fondo di garanzia italiano, che entrerà a far parte dell’EDIS, dovrà avere a disposizione entro il 2017 una somma pari a 882 milioni circa. Nel caso classico d’indisponibilità dei depositi per illiquidità, l’EDIS interviene solo dopo l’esaurimento dei fondi (incluse contribuzioni ex post) del DGS nazionale con un finanziamento che dovrà essere ripagato nel tempo. In risoluzione, l’EDIS copre solo quelle avviate dal Single Resolution Mechanism in questa prima fase e solo per il 20%. Inoltre, l’EDIS coprirebbe le perdite eccedenti (dopo l’esaurimento dei comparti nazionali), cioè quelle maturate dopo un anno dall’indisponibilità, al netto delle entrate ottenute dalle operazioni di liquidazione dei depositi (nel caso di un evento specifico) oppure (nel caso di una risoluzione) al netto di possibili restituzioni al fondo, qualora il fondo di risoluzione avesse richiesto troppo in situazione di emergenza.
Nella seconda fase (2020-2024) in cui il fondo dovrebbe partire con lo 0,5% dei depositi garantiti (circa 26 miliardi), l’EDIS interviene da subito insieme ai DGS nazionale (co-assicurazione) e prende a carico una quota crescente delle perdite: il 20% nel 2020, il 40% nel 2021, ecc. L’EDIS coprirà d’ora in poi anche procedimenti di risoluzione nazionali. Inoltre, il calcolo della contribuzione ex ante si basa su tutte le banche dell’EDIS, mentre il fondo dovrà raggiungere il target finale dello 0.8% (circa 41.6 miliardi) dei depositi garantiti crescendo almeno di 1/9 all’anno. Da qui in poi, il Board di EDIS, tramite i DGS nazionali e nei limiti stabiliti da un atto delegato della Commissione, può anche richiedere una contribuzione ex post alle banche nel caso di una perdita o risoluzione (utilizzando lo stesso metodo per la contribuzione ex ante). Infine, dal 2024 ci sarà la piena garanzia dell’EDIS, che interverrà tramite i DGS nazionali. Tutti gli interventi del DGS saranno anche sottoposti alla disciplina degli aiuti di stato, sia prima che dopo la fase d’implementazione.
Il nuovo sistema, pertanto, è un ambizioso passo in avanti per rafforzare la condivisione dei rischi del sistema bancario europeo tra tutti i paesi membri e completare la creazione di una backstop fiscale comune, la cui mancanza è alla base della disintegrazione finanziaria dell’eurozona (e non solo) negli ultimi anni.
[1] Dati fonte Commissione Europea, disponibili sul sito http://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/bitstream/JRC87531/lbna26469enn.pdf