L’analisi che segue fa riferimento alla liquidazione c.d. “in bonis”[1] dei fondi immobiliari di tipo riservato[2], e punta la propria attenzione sugli effetti della possibile emersione di “passività” che, sebbene di competenza del periodo di gestione, si manifestino solo successivamente al termine dello stesso, circostanza, questa, tutt’altro che remota e che trova una propria attualità con special riferimento, anche se non esclusivamente, alle obbligazioni tributarie.
Sul punto, è bene chiarirlo fin da subito, la normativa di riferimento non è risolutiva, limitandosi a disporre, all’art. 36, comma 6, del TUF, il ben noto principio per cui, delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la SGR risponde esclusivamente con il patrimonio dello stesso. Il principio risulterebbe relativamente chiaro se non fosse per contraddittorie (sebbene rilevanti) interpretazioni giurisprudenziali[3], per erronea prassi dell’amministrazione finanziaria, e (determinante per la materia che qui si tratta) per il fatto che il Fondo, non potendo essere centro di imputazioni giuridiche, non assumerebbe mai, di fatto, la natura di debitore, rinviando “esclusivamente” alla SGR le obbligazioni contratte in nome del fondo, da soddisfarsi con il patrimonio del fondo stesso[4]. Detta situazione, con special riferimento alla liquidazione, deve suggerire alle SGR ragionamenti di tipo conservativo, accompagnati da comportamenti che possano fattivamente limitare/escludere ricadute negative sul proprio patrimonio a fronte di passività sopravvenute solo successivamente alla chiusura della procedura di liquidazione. Di tali previsioni di tipo “pratico” nel seguito verrà data sintetica rappresentazione.
In ogni caso e, come detto, in assenza di previsioni normative dedicate[5], può risultare utile osservare la disciplina di altri istituti nel diritto civile e valutare il tentativo di applicazione analogica.
A tal riguardo, in materia di “Scioglimento e liquidazione delle Società di Capitali”, l’articolo 2495 del Codice Civile prevede che:”… Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione[6] i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
La possibilità di applicazione analogica delle suddette previsioni ai fondi, potrebbe indirettamente desumersi dai richiami di cui all’articolo 35-octies, comma 7, del TUF, in materia di liquidazione delle SICAF e delle SICAV[7], che recita “[…] Per quanto non previsto dal presente articolo alla Sicav e alla Sicaf si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del libro V, titolo V, capo VIII, del codice civile,
In tal senso, l’insorgenza di “sopravvenienze passive”, potrebbe essere “risolta” sostenendo che (i) i quotisti del fondo restino obbligati a restituire ai creditori gli eventuali importi distribuiti loro in sede di liquidazione e (ii) i creditori, a loro volta, possano avanzare richiesta di pagamento anche nei confronti della SGR, nel caso in cui sia a quest’ultima imputabile, nel contesto del processo di liquidazione, la colpa di aver agito con negligenza, imperizia o imprudenza nell’ambito della procedura di liquidazione del fondo.
È, tuttavia, da valutare, quantomeno, la diversa posizione soggettiva del quotista che investe in un “Oicr” rispetto a quella del socio di società[8]. E’ di tutta evidenza, infatti, che il quotista di un fondo – a differenza del socio – intende partecipare ad un’iniziativa in cui il “capitale di rischio” è raccolto dalla SGR che – sulla base di una politica di investimento definita ex ante – investe in portafogli immobiliari, esegue investimenti autonomamente, con l’obiettivo di raggiungere rendimenti adeguati per i medesimi quotisti. In tema di governance, sebbene, nell’ambito dei fondi riservati, ai quotisti sono riconosciuti diritti molto limitati, per via del principio della piena e totale autonomia gestionale della SGR, a differenza della governance delle società di capitali oltre alla logica puramente finanziaria dell’investimento (che ha una durata puntualmente definita all’interno del regolamento del fondo), unitamente alla prerogativa dell’indipendenza e dell’autonomia delle scelte della SGR (e, quindi, alla separazione dei ruoli investitore/gestore). Il tutto, si ribadisce indipendentemente dalla circostanza che i fondi siano di tipo riservato anche se questo aspetto, come si vedrà nelle conclusioni, ha un suo risvolto in termini di applicabilità degli strumenti di tutela per il gestore.
Per quanto riguarda le SGR, invece, qualora si volesse sostenere che la responsabilità, a prescindere da colpa, debba essere loro ascritta, l’ipotesi apparirebbe in contrasto con la richiamata previsione dell’art. 36 del TUF e, soprattutto (a livello di tutela di sistema) con l’inconsistenza del patrimonio dei gestori che non viene strutturato e vigilato quanti/qualitativamente per far fronte ad esigenze di questo tipo. Al contempo, non si può non tener conto dell’esistenza, nell’ambito delle previsioni di cui alla disciplina sulla liquidazione coattiva, di un riferimento al gestore (cfr. nota 5) e non si può negare che la SGR nel suo agire come liquidatore debba ben valutare la presenza di passività (anche solo possibili) che potrebbe emergere in futuro e includere detto aspetto ai fini della definizione del timing e del quantum dell’attivo da distribuire ai quotisti.
A maggior inasprimento della situazione si tenga conto che, per i fondi immobiliari, il problema delle sopravvenienze post liquidatorie è fortemente influenzato dalla formazione di debiti tributari, con soluzioni molto complesse ed in alcuni casi insanabili come in quello delle passività sopravvenute in materia di IVA; in questo caso, infatti, le specifiche previsioni di cui all’art. 8 del DL 25 settembre 2001 n. 351, individuano univocamente nella SGR il soggetto di riferimento.
Alla luce di quanto sopra, si deve concludere che, in assenza di specifiche previsioni di tutela e, fermo restando, a parere di chi scrive, una discreta possibilità di difesa per i gestori chiamati a rispondere di eventuali passività sopravvenute, una procedura di tipo pratico fornisce risposte più concrete rispetto ad analisi di tipo giuridico ex ante, e ci si riferisce – quanto ad i fondi riservati – alla possibilità di procedere valutando opportunamente:
- l’individuazione nel regolamento di gestione di specifiche previsioni destinate a tal fine e che meglio definiscano la fase della liquidazione anche in relazione al tema in oggetto, sancendo (almeno tra le parti) ruoli e responsabilità;
- tutele contrattuali (ad es. nella fase di cessione della parte residua del patrimonio immobiliare) volte alla limitazione delle garanzie o all’attribuzione delle stesse in capo ai partecipanti, al pari dell’espressa responsabilità in capo al venditore per l’emersione delle eventuali passività connesse alla cessione degli asset;
- la verifica da parte di un professionista esterno che approfondendo il grado di conoscenza del patrimonio del fondo evidenzi possibili aspetti di criticità e l’eventuale previsione di specifici escrow e relativo timing per far fronte alle ipotesi di emersione di passività;
- l’eventuale sottoscrizione di specifiche polizze assicurative;
- la previsione di specifiche manleve da parte dei quotisti;
- in caso di inconsistenza anche di tipo prospettico, ed in carenza di adeguate garanzie a copertura, valutare gli istituti previsti dall’ordinamento quali le previsioni di cui al citato art. 57 TUF e/o l’adesione, qualora possibile, agli strumenti deflattivi del fallimento.
[1] L’analisi non prende, quindi, in considerazione gli effetti della liquidazione c.d. giudiziale di cui all’art. 57 comma 6-bis del D.lgs. del 24 febbraio 1998 n.58 (“TUF”);
[2] Nel regolamento sulla gestione collettiva del risparmio del 19 gennaio 2015 emanato dalla Banca d’Italia, la liquidazione “ordinaria” del fondo è richiamata al Titolo V, Cap. I, Sez. II, Paragrafo 4.5, in materia di contenuto minimo del regolamento dei fondi immobiliari “non riservati”. Si ricorda che la maggior parte dei fondi immobiliari sono “riservati” e, pertanto, non presentano obblighi di adesione al richiamato dettato normativo.
[3] Il riferimento è alla sentenza della Cass. 15 luglio 2010 n. 16605.
[4] Sul punto si veda P.Carrierè, la “crisi dei Fondi comuni di investimento: tra autonomia giuridica e soggettività” in Riv. dir.soc., 2014.
[5] Non si riterrebbero applicabili, nel caso della liquidazione in bonis, infatti le previsioni di cui al citato art. 57 TUF che tra altro prevede al coma 6-bis che “quando il fondo […] sia privo di risorse liquide o […] insufficienti a soddisfare i crediti in prededuzione […] i liquidatori pagano […] utilizzando dapprima le risorse liquide eventualmente disponibili dalla liquidazione e poi le somme messe a disposizione dalla società di gestione del risparmio che gestisce il fondo o il comporto, somme che restano a carico della società stessa”.
[6] Ndr.: dal registro delle imprese
[7] Ricordando che al pari dei fondi immobiliari anche detti organismi pur avendo natura societaria sono OICR.
[8] Sul punto si legga anche “Il rapporto tra soci gestori e soci investitori nelle Sicaf” da “Rivista delle Società”, fasc.6, 2016, pag. 1094 di Luigi Ardizzone.