La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, n. 8770/2020, che qui si commenta è destinata ad avere un significativo impatto sui contratti derivati stipulati dagli enti locali ed in generale sulla situazione finanziaria e di bilancio di numerose amministrazioni locali. Essenzialmente, la sentenza in questione, individua diversi profili in base ai quali può essere dichiarata la nullità dei contratti, ravvivando il fronte del contenzioso tra enti locali e banche nell’imminente futuro.
Il ragionamento della Corte ruota intorno alla genesi della normativa sull’uso dei derivati da parte delle amministrazioni locali, per poi concentrarsi sulla natura giuridica dell’upfront, come strumento per riequilibrare i rapporti contrattuali tra ente e banca, sul mark -to- market e sull’alea dei contratti derivati, per concludere infine sull’organo comunale competente a decidere in materia di stipula di contratti derivati.
Per quanto la sentenza si riferisca ad una specifica vicenda negoziale, quella riguardante la stipula di più contratti derivati da parte del Comune di Cattolica, i principi che vengono fissati in questa sentenza sono suscettibili di essere estesi anche al caso dei contratti derivati stipulati da soggetti diversi dagli enti locali.
Vediamo in maggiore dettaglio i principi fissati.
In primis, a far data dal 1994 (relativamente ai soli contratti per la copertura del rischio di cambio in caso di emissioni obbligazionarie denominate in valuta estera) e poi dal 2001 (per tutti i contratti di gestione del rischio di tasso) il legislatore ha consentito agli enti locali l’utilizzo di strumenti derivati in relazione all’indebitamento sottostante.
Anche se il legislatore ha ammesso l’uso di contratti derivati da parte degli enti locali entro uno specifico elenco di operazioni consentite (art. 41 della legge 448 del 2001 e Decreto Ministeriale n. 389 del 2003), questo non li rende di per sé sempre idonei al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente locale. Ne discende che la banca non può esimere dall’obbligo di fornire all’ente locale, prima della stipula, gli scenari di tipo probabilistico volti ad illustrare l’andamento degli impegni contrattuali in dipendenza dell’andamento dei parametri presi a riferimento. Dagli scenari probabilistici deve desumersi l’effettiva sostenibilità dell’operazione, tenuto conto del debito sottostante e dell’obiettivo di contenimento del rischio perseguito dall’ente locale.
Non è sufficiente che il contratto derivato ricada nel novero di quelli consentiti agli enti locali, occorre altresì che la finalità di copertura perseguita sia razionalmente conseguibile. Perchè possa dirsi razionalmente conseguibile, gli scenari probabilistici preventivamente elaborati dalla banca per l’ente locale devono evidenziare che l’evoluzione degli obblighi contrattuali possa ragionevolmente tornare a beneficio dell’ente locale.
In mancanza di adeguate e ragionate rappresentazioni probabilistiche, il contratto derivato si presenta alla stregua di una scommessa, per quanto formalmente ricompreso nell’elenco delle operazioni formalmente consentite.
Sul punto la sentenza non lascia margini di ulteriore interpretazione: la preventiva rappresentazione degli scenari probabilistici è sempre dovuta da parte della banca all’ente locale, indipendentemente dal fatto che l’ente locale sia o meno un operatore esperto (rectius operatore qualificato o cliente professionale). La Suprema Corte specifica che l’ordinamento di riferimento dei contratti derivati degli enti locali è stato emanato allo scopo di favorire il contenimento dei costi della gestione del debito locale e con lo scopo di salvaguardare l’unità economica della Repubblica. I contratti derivati devono in ogni caso essere valutati alla stregua di queste finalità e, per quanto i contratti derivati siano aleatori, l’amministrazione non può esimersi dal contenere l’alea entro limiti di razionalità, ossia di preventiva conoscibilità delle diverse evoluzioni possibili degli obblighi assunti.
In difetto di dette caratteristiche, l’operazione è nulla.
Vi sono altri due argomenti della sentenza in questione che meritano una opportuna segnalazione.
Uno riguarda la corresponsione di un importo a titolo di upfront in favore dell’ente locale. E’ quanto è accaduto con riguardo al caso di specie. L’ente locale aveva ricevuto dalla banca un importo a titolo di indennizzo in occasione di due diverse operazioni. La disciplina di riferimento ammetteva l’utilizzo di questa modalità per favorire la compensazione di uno squilibrio iniziale tra le prestazioni reciproche.
Orbene, l’upfront è sempre da considerarsi come un finanziamento che la banca corrisponde alla controparte per metterlo nelle condizioni di far fronte nel tempo ai differenziali negativi risultanti al momento della stipula.
Se è un indebitamento, questo implica che l’ente locale deve sottoporre alla preventiva approvazione dell’organo consiliare la stipula di un contratto con corresponsione di un upfront. Il consiglio è per legge l’organo competente a decidere sui contratti che comportino impegni pluriennali per il bilancio dell’ente locale. In mancanza di una delibera consiliare, l’operazione con upfront è da considerarsi nulla.
E veniamo all’ultimo punto: il consiglio deve ritenersi l’unico organo competente a deliberare la stipula di contratti derivati (anche se non ricorra la corresponsione dell’upfront) perchè il contratto derivato si riferisce ad un debito sottostante ed è sempre suscettibile di incidere sul costo finale del debito. Il ricorso all’indebitamento è materia di esclusiva competenza consiliare e tale deve ritenersi anche l’utilizzo dei contratti derivati essendo questi inscindibilmente legati al debito sottostante. A nulla rileva, a giudizio della Suprema Corte, che sia comunque intervenuta una delibera di indirizzo da parte del consiglio, essendo sempre richiesta una puntuale approvazione degli obblighi contrattuali futuri connessi al contratto.
La sentenza è foriera di futuri scenari di contenzioso. Essa ricava dall’ordinamento la sussistenza di specifici obblighi informativi che si devono assolvere mediante la rappresentazione di scenari probabilistici, in assenza dei quali non può stabilirsi se l’alea del contratto derivato sia razionale e come tale lecita. Trattasi di un principio valevole per qualsiasi contratto derivato, non solo per quelli stipulati dagli enti locali. E trattasi di un principio che la Corte ha declinato indipendentemente dalla natura di cliente esperto o meno.
L’accertamento dell’omessa rappresentazione probabilistica prima della stipula del contratto potrebbe di per sé bastare per la declaratori di nullità. Similmente, qualsiasi contratto derivato (ricorra o meno l’upfront) che sia stato deciso da un organo diverso dal consiglio comunale è sempre suscettibile di essere dichiarato nullo. Sotto questo profilo non può nemmeno escludersi l’impiego del procedimento di autotutela da parte dell’amministrazione locale che intenda dichiara re l’invalidità dell’iter decisionale a suo tempo seguito per autorizzare la stipula del contrato derivato senza approvazione dell’organo consiliare.