Con Ordinanza n. 10701 del 5 giugno 2020, la Sezione tributaria della Cassazione ha richiesto alle Sezioni Unite di chiarire, una volta per tutte, se la decadenza dal potere accertativo dell’Amministrazione finanziaria, che intenda contestare una componente di reddito ad efficacia pluriennale, intervenga con il decorso del termine per la rettifica della dichiarazione dove è indicato il singolo rateo, ovvero con lo spirare del termine di accertamento per il periodo d’imposta in cui il componente reddituale è stato iscritto per la prima volta in bilancio.
Il Collegio rimettente, con una interpretazione – marcatamente pro fisco – volta a riconoscere un termine esteso per la rettifica, critica le posizioni adottate dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 9993/2018 e 2899/2019) tramite un percorso argomentativo basato su alcune discutibili premesse.
Nello specifico, le ragioni addotte includono: (i) una interpretazione letterale dell’art. 43 D.P.R. 600/1973, la cui formulazione non conterrebbe un inciso per i ratei; (ii) un’argomentazione, di ordine sistematico, secondo la quale sussisterebbe un parallelismo tra l’obbligo di rettifica degli errori contabili ed il potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria; (iii) infine, una ricostruzione della fattispecie non come unitario diritto alla deduzione della componente reddituale pluriennale, bensì come pluralità di obbligazioni tributarie annuali su cui incide la deduzione di singoli componenti negativi, ognuna passibile di essere autonomamente accertata (con l’evidente rischio di gravi divergenze ricostruttive tra i diversi esercizi d’imposta).
Si rivela poi del tutto peculiare il rilievo mosso in merito all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 43 D.P.R. 600/1973. Come noto, il sistema, per essere coerente con l’orientamento della Corte Costituzionale (sent. n. 80/2005), non deve lasciare il contribuente esposto all’azione accertativa del Fisco per termini eccessivamente dilatati, eccedenti quelli indicati dalla legge. L’insegnamento delle criticate sentenze (Cass. 9993/2018 e 2899/2019) è chiaro: in presenza di presupposti impositivi che esplicano la loro portata in più periodi d’imposta, l’Agenzia delle Entrate può rettificare la quota imputata a ciascun esercizio soltanto se non è decaduta dal potere di accertamento con riguardo al periodo d’imposta nel quale si è verificato, per la prima volta, il presupposto. Orientamento ripreso, di recente, anche dalle Corti di merito (CTR Lombardia 4293/19/2019; CTP Lecco 75/2/2019). Diversamente, il contribuente rimarrebbe esposto al potere accertativo ben oltre i termini ordinari (ad esempio, fino al ventitreesimo anno successivo all’iscrizione nel caso dei canoni di ammortamento dell’avviamento).
I giudici rimettenti, invece, affermano che il principio espresso dalla Corte Costituzionale sia limitato ai casi in cui il termine “se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, [risulti, ndr] certamente eccessivo e irragionevole” (Corte Cost. 280/2005). Da qui l’applicazione del termine di accertamento “esteso” in quanto “non irragionevole”, e la ragionevolezza risiederebbe nella complessità dell’azione accertativa. È immediatamente intuibile l’esito paradossale di un ragionamento di tal fatta: il contribuente risulta esposto al potere accertativo dell’Amministrazione finanziaria per un termine che, nella maggioranza delle ipotesi, è ben superiore all’ordinario termine decennale di prescrizione preso come riferimento dalla Corte Costituzionale (si pensi, nuovamente, alla deduzione dei canoni di ammortamento dell’avviamento).
L’auspicio è che le Sezioni Unite riescano a mettere bene “a fuoco” la differenza riscontrabile fra rettifiche concernenti più periodi di imposta, e rettifiche che invece hanno a che fare con la specificità di un preciso e ben individuato periodo d’imposta, per il quale certamente vigerà il principio di autonomia.
La rettifica dell’onere pluriennale, non preceduta dal previo disconoscimento dell’iscrizione originaria in bilancio, una volta scaduto il termine per l’accertamento dell’anno di sostenimento, non dovrebbe essere più possibile, se non per aspetti meramente formali (ad esempio, la deduzione dell’onere in misura superiore al coefficiente previsto).
Diversamente opinando, si arriverebbe all’assurdo esito di legittimare una differente definizione del medesimo presupposto in anni d’imposta diversi: una conseguenza evidentemente non accettabile nel nostro ordinamento giuridico, teso a garantire la certezza dei rapporti fra Fisco e contribuente. Coerenza vuole, infatti, che l’azione accertativa dell’Amministrazione finanziaria non venga esercitata “a singhiozzo”.