Il mese scorso, l’Organismo Italiano di Contabilità ha pubblicato la bozza del principio OIC XX il cui scopo è identificare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione degli strumenti finanziari derivati, nonché le tecniche di valutazione del fair value di questi strumenti e le informazioni che debbono essere presentate in nota integrativa (cfr. contenuti correlati).
Appare quindi opportuno delimitare il campo di applicazione di tale principio. Questo si applica agli strumenti finanziari derivati, strumenti che possiedono le seguenti tre caratteristiche:
- Il loro valore varia come conseguenza della variazione di un c.d. sottostante (che può essere un tasso di interesse, il prezzo di una azione, il prezzo della merce ecc.);
- Non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che sia minore di quanto richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato;
- E’ regolato a data futura.
In buona sostanza lo strumento derivato nasce con l’obiettivo precipuo di ridurre alcuni rischi legati all’operatività dell’impresa (c.d. derivati di copertura). Tuttavia, l’evoluzione del mercato finanziario ha condotto spesso ad un utilizzo distorto di tali strumenti finanziari che vengono sottoscritti non più per ridurre il rischio d’impresa, ma per trarre profitto dall’acquisto e dalla vendita di tali strumenti (c.d. derivati non di copertura). A tal proposito si segnala come la classificazione tra derivato di copertura e non di copertura debba essere effettuata dall’impresa all’inizio del rapporto: questo potrebbe rendere complesso avviare un successivo contenzioso con l’istituto di credito. L’azienda infatti dichiarerà, ad esempio, che il derivato è classificato quale non di copertura (dettagliatamente argomentando le ragioni in nota integrativa) e sarà più complesso sostenere ex post tesi per le quali la controparte banca aveva rappresentato un prodotto speculativo come di copertura.
Il principio contabile introduce un elemento di novità assai interessante: tali strumenti debbono essere obbligatoriamente iscritti nel bilancio. Questi vengono valutati al fair value, il prezzo che si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione.
E’ senza dubbio una innovazione di portata storica, in quanto finora le imprese che hanno redatto i propri bilanci in ossequio ai principi contabili nazionali e hanno impiegato strumenti finanziari derivati si muovevano in un contesto di incertezza, in quanto mancava una normativa specifica per la contabilizzazione dei derivati in bilancio. I principi contabili italiani si limitavano infatti a prevedere delle norme di dettaglio solo per alcuni casi: operazioni a termine in valuta (OIC 26) e derivati con fair value negativo per i quali si prescriveva una iscrizione nei fondi rischi (OIC 19).
Nel prosieguo una breve trattazione relativa alla contabilizzazione dei derivati di copertura. E’ noto infatti che tali strumenti vengono impiegati principalmente per ridurre la componente aleatoria connessa:
- A operazioni che si concluderanno nel futuro (es. importatore abituale che deve comprare merce in dollari fra 6 mesi, pertanto decide di sottoscrivere un derivato).
- Alla presenza di attività o passività in bilancio (es. magazzino di acciaio).
Per quanto concerne il primo caso, l’articolo 2426, comma 1, n. 11-bis, indica che «le variazioni del fair value sono imputate […] se lo strumento copre il rischio di variazione dei flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programmata, direttamente ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto; tale riserva è imputata al conto economico nella misura e nei tempi corrispondenti al verificarsi o al modificarsi dei flussi di cassa dello strumento coperto o al verificarsi dell’operazione oggetto di copertura. Questo modello prevede che le variazioni di fair value del derivato di copertura debbano essere “congelate” in una specifica riserva di patrimonio netto, fino a quando l’operazione oggetto di copertura non avrà effettiva manifestazione ed effetto sul conto economico aziendale. Solo e soltanto in questo preciso momento la quota di fair value appostata momentaneamente nel patrimonio netto verrà imputata a conto economico.
In relazione al secondo caso il codice civile prevede che: «gli elementi oggetto di copertura contro il rischio di variazioni dei tassi di interesse o dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato o contro il rischio di credito sono valutati simmetricamente allo strumento derivato di copertura». La regola contabile vuole che, in questa situazione, le variazioni di fair value dello strumento finanziario derivato vengano imputate a conto economico insieme alle variazioni di fair value dell’oggetto coperto.
In tal senso si apre un tema di un certo rilievo: il magazzino quindi non va più valutato al minore tra il costo e il valore di realizzo? Risposta negativa. Il criterio di valutazione non cambia, tuttavia il valore finale del magazzino sarà influenzato dalle variazioni di fair value della parte di magazzino oggetto di copertura.
Quanto ai derivati non di copertura (speculativi) il principio contabile li distingue ulteriormente dai prodotti di copertura imponendo la diretta iscrizione a conto economico delle variazioni di valore.
Si tratta in sintesi di modifiche sostanziali che hanno un impatto notevole sull’impresa, sui risultati di esercizio, sui rapporti con gli stakeholders.
Ci si riferisce ad esempio ad una impresa che ha sottoscritto un derivato di copertura, il cui valore viene iscritto nell’attivo circolante di stato patrimoniale nella voce C) III 5). La stessa impresa aveva ottenuto in passato dei finanziamenti bancari ottenendo una garanzia statale (es. Mediocredito Centrale) sulla base di un esame di specifici indici di bilancio tra i quali si rinviene il rapporto Attivo circolante/Fatturato. Questo ratio viene largamente utilizzato non solo nel mondo bancario, quale indicatore di efficienza. Ecco che l’introduzione dell’obbligo di contabilizzare il fair value del derivato e dell’attivo coperto potrebbe incidere negativamente su tale rapporto modificando lo scoring dell’impresa. Tali novità impongono al management di pianificare ex ante gli eventuali impatti del nuovo sistema di contabilizzazione rivolgendosi tempestivamente agli interlocutori bancari per ridefinire ed adeguare i classici strumenti di valutazione al nuovo scenario contabile.
Il principio OIC XX è strettamente focalizzato sul tema derivati, intesi come strumenti che vengono all’uopo generati per limitare un fattore di rischio che può incidere sull’attività aziendale. Nella prassi esistono soluzioni operative che raggiungono lo stesso obiettivo del derivato, senza però utilizzare lo specifico strumento. Si pensi infatti all’importatore che, anziché sottoscrivere una opzione o un forward, decida di acquistare valuta con mesi d’anticipo rispetto all’acquisto merce congetturato. Il risultato ottenuto è il medesimo che avrebbe prodotto il derivato: fissare il cambio. Tuttavia né il legislatore né l’Organismo Italiano Contabilità sembrano al momento aver previsto alcunché per tali operazioni che nella sostanza sono coperture sebbene nella forma non assumano la veste di contratti derivati.
Si pensi poi ad una operazione che vede un imprenditore stipulare un contratto di acquisto merce con un prezzo prefissato, la cui consegna è prevista dopo 4 mesi. Tale operazione parrebbe poter essere assimilata ad un contratto derivato. Il legislatore, nel Codice Civile, ha intelligentemente previsto l’esclusione di questi contratti dall’obbligo di contabilizzazione a fair value quando si verificano allo stesso tempo tre condizioni:
- Il contratto viene concluso e mantenuto per soddisfare le esigenze di acquisto, vendita o utilizzo delle merci della società;
- Il contratto è destinato a questo scopo sin dall’inizio;
- Il contratto ha esecuzione mediante consegna della merce (se anziché consegnare merce si decide di onorare il contratto attraverso una corresponsione di denaro, si parla di contratto derivato, con tutte le complicazioni che ne conseguono).
Infine alcune considerazioni in merito al calcolo del fair value dello strumento derivato. Il principio contabile, nell’appendice B indica i criteri per la quantificazione di questo valore. Qui sono descritte le tecniche di valutazione più appropriate, tra le quali si rinviene il metodo del discounted cash flow (flussi di cassa scontati; il valore del derivato corrisponde, in base a questo metodo, al valore attuale di tutti i flussi e deflussi finanziari generati dallo strumento, come se fossero disponibili nel momento in cui si effettua la valutazione). Per applicare questi metodi è necessario disporre di competenze specifiche che spesso non sono presenti in azienda. Il connubio tra quanto previsto dal principio contabile e l’applicazione del regolamento EMIR (il regolamento europeo che, in estrema sintesi, ha contribuito a generare una anagrafe europea dei derivati) genera ulteriori perplessità. L’evidenza empirica mostra infatti come spesso l’impresa, sottoscrivendo il contratto in ossequio al regolamento EMIR, affidi in toto alla banca il calcolo del mark to market (fair value) del prodotto, sottoscrivendo accordi specifici in tal senso. Ci si chiede quindi se tale valore possa essere o meno impiegato dall’impresa nella redazione del bilancio senza disattendere i dettami del principio contabile che sembra imporre all’impresa di eseguire valutazioni autonome. In tal senso si osserverebbe un paradosso ove (ammettendo che l’impresa disponga delle necessarie competenze) l’impresa addivenisse ad una sua valutazione divergente dal valore comunicato dalla controparte banca. Ove i valori fossero differenti, la scelta del dato da utilizzare si rivelerebbe un esercizio tutt’altro che semplice per l’amministratore della società.
A parere di chi scrive, il framework del principio contabile appare ben strutturato, con l’esplicita intenzione da parte di chi lo ha redatto di avvicinarsi nella forma e nella sostanza a quanto previsto dai principi contabili internazionali. L’argomento riguarda una grande casistica di operazioni e giocoforza non è possibile prevedere e normare ogni specifica situazione. In ogni caso si è finalmente intervenuto su una materia che, nel passato, ha rappresentato una zona grigia e ha generato una forte opacità in termini di rappresentazione della reale situazione patrimoniale dell’impresa. Si auspica inoltre che questo obbligo di emersione di tali strumenti nel bilancio rappresenti uno stimolo per molti managers ad operare scelte più oculate su tali prodotti rispetto al recente passato.