Dopo aver letto l’inquadramento dei problemi collegati al coronavirus proposto dai Colleghi e amici Alberto Benedetti e Roberto Natoli, vorrei proporre qui di seguito qualche ulteriore elemento di riflessione. E vorrei farlo traendo spunto dalla “vita vissuta” di questi ultimi, drammatici giorni.
Dai quotidiani di Lombardia e Veneto comincia a trasparire in termini piuttosto netti la consapevolezza che, al di là del contagio sanitario, ve ne è uno – secondario soltanto perché non mette a rischio la vita delle persone – che tocca in maniera drammatica le imprese.
Così, in molti ormai chiedono una sospensione generale delle procedure concorsuali per le PMI, o quantomeno una loro profonda rivisitazione, magari prendendo a riferimento, per un tempo di 12-24 mesi, le regole introdotte in tema di non fallibilità delle startup innovative.
Da parte di altri, poi, s’invoca una sospensione della segnalazione in centrale rischi, almeno per un periodo di sei mesi.
Tutti, in generale, paventano che alla ripresa delle attività dei tribunali si possa assistere a un ricorso massivo a decreti ingiuntivi da parte di creditori in caccia di liquidità: così, dalle pagine di Economia del Corriere della Sera, nelle edizioni del Nordest, l’amministratore delegato di un noto brand di abbigliamento ha chiesto una moratoria dei pagamenti perlomeno fino a settembre. Da quelle stesse pagine ha fatto sentire la propria voce per chiedere una tregua anche Federdistribuzione, associazione delle grandi catene distributive. Come pure è intervenuta la Piccola Industria di Confindustria di Veneto, Emilia e Lombardia: in particolare, attraverso un documento congiunto i tre Presidenti regionali hanno richiesto la sospensione dei fallimenti, lo sblocco di 45 miliardi di crediti commerciali e tributari nei confronti della pubblica amministrazione, nonché la sospensione del documento di regolarità contributiva per le aziende in crisi di liquidità.
In generale, a tutti appare chiara l’urgenza di intervenire: l’orizzonte di sopravvivenza delle imprese, in termini di liquidità, spesso non va oltre i 2 o 3 mesi.
Paradossalmente, la sospensione fino al 15 aprile delle attività nei tribunali può addirittura giovare alla “tenuta” del sistema.
Non v’è dubbio che, in un contesto di questo genere, il ruolo delle banche appaia decisivo: da Confartigianato veneto viene la proposta che le banche trasferiscano alle imprese fidi garantiti al 100% dallo Stato, coperti da Eurobond, secondo un meccanismo che finirebbe per assomigliare a una maxi-cartolarizzazione dei crediti che le imprese faticano a incassare.
In questa cornice, l’intervento del Governo attraverso il decreto “Cura Italia” rappresenta soltanto l’inizio di un percorso che sarà lungo e meriterà di essere condiviso dalle categorie produttive, auspicabilmente attraverso una cabina di regia in sede MEF. Come sappiamo, in quel decreto è specificato che il rispetto delle misure di contenimento del COVID-19 ivi previste deve sempre essere valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche in relazione all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi e mancati adempimenti.
È già qualcosa che il decreto lo dica. Ma, naturalmente, queste poche parole rappresentano quasi più una traccia per la discussione piuttosto che una linea chiara per l’impostazione dei problemi.
Il blocco delle attività, con connessa strozzatura della liquidità, consegnerà infatti tante imprese nelle mani di coloro che saranno a pretendere l’adempimento per via giudiziale: e si tratta di adempimenti che, in temi di coronavirus, talvolta sono divenuti impossibili, altre volte quasi impossibili, altre ancora onerosissimi.
Eccessiva onerosità sopravvenuta, alea contrattuale, clausola rebus sic stantibus, forza maggiore, hardship, obbligo di rinegoziazione sulla base di artt. 1175, 1375 c.c., applicabilità della clausola MAC (Material Adverse Change) allorché si parli di M&A: il catalogo delle figure privatistiche che vengono in gioco potrebbe allungarsi ancora di molto.
Allora che fare? La proposta di una moratoria dei pagamenti è da tenersi in seria considerazione, però certamente da sola non sarebbe la soluzione ai problemi. È fin troppo chiaro che il puro blocco dei pagamenti di per sé risulterebbe rischiosissimo: banale osservare che la moratoria dei debiti è l’altra faccia della moratoria dei crediti. E adesso occorre invece che il denaro giri.
C’è da preservare un prezioso patrimonio di imprese, con il concorso di tutti.
Sarebbe allora opportuno che fosse messo in piedi un tavolo condiviso, magari presso il MEF, per il coordinamento di più iniziative: assieme a un massiccio coinvolgimento del mondo bancario per l’immissione della necessaria liquidità per un periodo-ponte, potrebbe essere studiato un meccanismo legislativo di forte spinta verso una generalizzata rinegoziazione dei rapporti contrattuali: quest’ultimo da combinarsi con una dilazione parziale dei pagamenti. Occorre però procedere il più possibile caso per caso. A tal fine, andrebbe potenziata la rete già esistente delle mediazioni, magari introducendo anche un sistema di arbitrati con costi contenuti. Infine, si dovrebbe pensare a strumenti di protezione delle aziende italiane rispetto al rischio di iniziative legali aggressive provenienti da estero, con profittamento dell’endemica debolezza del momento. Ho espresso non più che idee sparse: frammentarie e quasi concitate, come sempre accade quando si è nel pieno dell’emergenza. Però è chiaro che occorra avviare una più ampia riflessione intorno a una minima profilassi antivirale per il nostro tessuto imprenditoriale.