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Editoriali

La corporate governance dopo la “svolta etica” di Wall Street

9 Settembre 2019

Andrea Sacco Ginevri

Professore ordinario di diritto dell’economia

È davvero una “svolta” quella auspicata dai top managers americani riuniti nella Business Roundtable ? Cosa cambia per le grandi corporations internazionali ? Ci sono conseguenze per le società italiane ? Queste sono alcune fra le questioni su cui si è concentrata l’attenzione degli operatori nel corso delle ultime settimane. Il mercato e i media hanno apprezzato il riconoscimento, da parte della Business Roundtable, dell’importanza per la corporation di fattori diversi dalla ricerca del profitto per i suoi azionisti, tra cui in particolare la tutela della forza lavoro, della clientela, delle imprese fornitrici, dell’ambiente circostante e, più in generale, della comunità di riferimento. Si tratta, tuttavia, di una “svolta” che sembra più apparente che reale. È da diverso tempo, infatti, che le misure di corporate governance introdotte dopo la crisi Lehman Brothers promuovono il potenziamento degli azionisti stabili, per incentivare una gestione aziendale che sia incentrata su una crescita sostenibile dell’impresa azionaria in un arco temporale di lungo periodo. Tale trend si è arricchito, da ultimo, di ulteriori declinazioni, volte a includere esplicitamente anche i “fattori ESG” e di sostenibilità sociale fra i criteri che orientano l’operatività aziendale. Siffatte politiche normative sono indirizzate sia alle società (emittenti) sia ai loro azionisti più rilevanti (investitori istituzionali), come dimostrato in Europa dalla direttiva shareholder rights 2. Tutto ciò persegue il fine di supportare la crescita e lo sviluppo di società più inclusive (Grieco). Per realizzare tale obiettivo il management della grande impresa azionaria deve prestare adeguata attenzione a un coacervo di istanze provenienti da stakeholders diversi (Tombari), il cui bilanciamento consente, in un’ottica di lungo termine, di assicurare la crescita aziendale sostenibile voluta dal regolatore per scongiurare il rischio di nuove crisi sistemiche. Testimonianza di quest’approccio si rinviene, ad esempio, nell’art. 172 della legge societaria britannica, che da tempo identifica l’interesse sociale della moderna corporation applicando il criterio noto come “enlightened shareholder value” (Keay), in base al quale il profitto di lungo termine a cui devono comunque mirare le società per azioni presuppone “responsible attention to the full range of relevant stakeholder interests” (Millon).

Anche negli Stati Uniti sembra tuttora prevalente una visione “socio-centrica” (shareholder primacy) della società azionaria (Macey, Lipton), imperniata su capitali “pazienti” (Bebchuk) e, quindi, strumentale al perseguimento dell’interesse di lungo periodo di una compagine sociale ideale, astratta e virtuosa. Un più attento monitoraggio delle esigenze dei diversi stakeholders coinvolti a vario titolo nelle dinamiche aziendali è ben vista anche dagli investitori istituzionali, i quali, avendo portafogli azionari ampiamente diversificati (horizontal shareholding), generalmente prediligono la stabilità del sistema nel suo complesso (meglio garantita dalla diffusione di una governance sostenibile) piuttosto che profitti individuali di breve periodo che possano esporre a rischio “contagio” l’intero settore (Gordon).

Di talché, una vera e propria svolta in senso “istituzionalistico” della moderna s.p.a. (modello “stakeholders-centrico) avrebbe richiesto al legislatore una presa di posizione che, rebus sic stantibus, non pare pienamente consentita dai vigenti ordinamenti societari di matrice capitalistica. Le conseguenze di una integrale equiparazione degli interessi di tutti gli stakeholders (lavoratori, creditori, clienti, ecc.) a quelli degli shareholders avrebbe infatti richiesto, con tutta probabilità, una iniziativa legislativa ad hoc. Un apposito intervento normativo si sarebbe reso necessario, da un lato, per adeguare i meccanismi di elezione degli amministratori (agents) a un perimetro soggettivo dei loro referenti (principals) al di là della compagine sociale (Capriglione e Masera) e, dall’altro lato, per indirizzare in maniera più puntuale l’azione amministrativa di composizione e ponderazione fra i diversi interessi in giuoco (tutti astrattamente perseguibili).

Inoltre, in un ordinamento “stakeholders-centrico”, il quadro normativo vigente non proteggerebbe a sufficienza le varie classi di stakeholders da comportamenti inadeguati del management, atteso che la business judgment rule finirebbe per legittimare qualsivoglia decisione imprenditoriale in uno scenario connotato da interessi sociali variegati e tutti perfettamente equiparati fra loro. In sostanza, una piena legittimazione di un “neo-istituzionalismo” (Mayer) orientato a una generica prosperità della grande corporation, che riecheggia note tesi del passato (tra cui i “battelli del Reno” di asquiniana memoria), richiederebbe interventi regolamentari strutturali e sistematici, che non paiono del tutto in linea con un ordinamento societario, nazionale e sovranazionale, ancora improntato a una concezione contrattualistica della società di capitali; concezione, quest’ultima, che attualmente guarda allo sviluppo equilibrato e sostenibile della società azionaria, necessariamente frutto di un bilanciamento e dialogo fra le istanze delle diverse parti coinvolte nell’iniziativa imprenditoriale.

Ciò non toglie, comunque, che l’azione gestoria degli amministratori possa essere già oggi legittimamente indirizzata verso interessi “ulteriori” rispetto a quello lucrativo dei soci (ove questi ultimi vi consentano) mediante il ricorso a strumenti societari “ibridi” (fra cui la società benefit, l’impresa sociale, et similia), la cui regolamentazione legale nasce già adeguata agli obiettivi perseguiti.

In sostanza, la “svolta etica” di cui si è resa promotrice la Business Roundtable ha certamente il merito di ribadire il principio secondo cui al centro della vicenda societaria si pone oggigiorno un azionariato stabile e virtuoso e, al contempo, di gettare le basi per un percorso di ulteriore evoluzione verso una governance effettivamente stakeholders-centrica che, ove effettivamente intrapreso, richiederebbe un intervento normativo organico e condiviso a livello nazionale e internazionale.

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