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Editoriali

La terza generazione di azione di classe all’italiana fra giuste articolate novità e qualche aporia tecnica

8 Aprile 2019

Claudio Consolo

Professore ordinario di diritto processuale civile, Università di Roma La Sapienza

Di cosa si parla in questo articolo

Quasi inaspettatamente è giunta in porto la nuova legge sull’azione di classe che abbiamo già avuto modo di presentare in un precedente editoriale su questa stessa Rivista[1].

Per svariati motivi, cui forse non è estraneo il timore che anche in questa legislatura il progetto venisse sostanzialmente insabbiato, la camera ha approvato senza alcuna modifica il ben noto testo che il Senato aveva parlato qualche mese fa e che poco differisce da quello che aveva superato l’esame di un grado del parlamento nella scorsa legislatura. La legge entrerà in vigore decorsi dodici mesi dalla pubblicazione in G.U. e troverà applicazione solo per gli illeciti commessi dopo tale data. La ragion pratica della deroga al principio tempus regit processum è di dare agio alle sezioni imprese, che finora hanno mostrato una efficienza organizzativa poco migliore delle altre, di attrezzarsi alla gestione del nuovo processo di classe. Qui è la sfida: renderle più autonome e più equipaggiate per percorsi, specie nella “fase due” post-filtro di ammissibilità …da far tremare i polsi. La telematica si auspica dia una generosa mano al raggiungimento dello scopo.

Purtroppo questa sostanziale concitazione, peraltro ben comprensibile, non ha consentito di tener conto delle osservazioni criticamente costruttive che erano provenute in questi stessi mesi, a cominciare da quella più banale ma anche più essenziale, vale a dire quella inerente la quasi grottesca collocazione di questi nuovi e 15 articoli alla fine del Libro IV del c.p.c. con la tecnica della numerazione che è tipica delle novelle azioni interstiziali, e quindi con l’uso del bis, ter, ecc. fino in questo caso al sexiesdecies.

Certo più opportuna sarebbe parsa la scelta di collocare il nuovo ampio set di disposizioni alla fine del Libro II, trattando di uno speciale tipo di processo di cognizione con pienezza di istruttoria e di accertamento, non già di uno dei tanti procedimenti speciali messi in qualche modo in sequenza nel Libro IV e (discutibilmente) culminanti nella disciplina dell’arbitrato, cui la aggiunta di tanti articoli sulla azione di classe apporta ancor meno nitore sistematico. Ma sarà agevole trovare rimedio in un prossimo futuro.

Alcune vibrate critiche, lette od ascoltate in questi giorni di stupita presa d’atto, mi sembrano del tutto sbagliate. Una telegrafica replica ad alcune di esse subito si impone.

A) Avere aperto ad ogni tipologia di soggetti lesi, superando il recinto asfittico della consumer law, è scelta indubbiamente politica ma assai sensata dal punto di vista dei valori costituzionali e della armonia sistematica, capace di avviare ad un percorso di redress e di deterrence anche la vasta gamma degli illeciti di massa di cui sono vittima soggetti inseriti nel ciclo della produzione o della distribuzione. Gli esempi son molti additati dalla pratica.

B) Poi non è vero che si possa aderire anche dopo la vittoria della classe. L’adesione può sì avvenire anche dopo la sentenza che accerta la responsabilità del convenuto (impresa o gestore di servizio pubblico o di pubblica utilità), ma ciò non significa ancora che l’aderente tardivo eserciti una sorta di diritto di opzione a colpo sicuro, cioè che costui si limiti a “profittare” della sentenza favorevole inter alios senza rischio di soccombenza. Ciascun aderente, precoce o tardivo, sarà infatti pur sempre onerato di fornire dimostrazione della titolarità del proprio diritto. Gli aderenti post sententiam si gioveranno, al postutto, solo di una maggiore consapevolezza che l’azione, che abbia già superato il filtro di ammissibilità, sia anche ben fondata in diritto. Cioè dotata di concludenza in iure e per cui varrà la pena di aderire, ma anche sopportare l’alea del giudizio – non ultimo, in cauda, quello del giudice delegato sul “progetto” dei diritti individuali – senza esercitare i poteri che spettano alle sole parti formali del processo. Non il proverbiale Sprung ins Dunkel dunque. E comunque, non vi è per tutti gli aderenti l’alea del giudizio di appello e infine di cassazione? Il rischio è semmai l’aversi classi esigue nella prima fase del primo grado, ma questo dopotutto agevola il lavoro dell’organo operativo dell’attore.

C) Non configura alcun tipo di danno punitivo, poi, l’aver finalmente previsto un serio sistema di rifusione delle spese, e quindi di incentivo, allo studio legale che dovrà costituire, se non l’anima, il motore della class action. Il sistema è improntato a percentuali variabili (dal 9% al 0,5%) a seconda del numero di aderenti, da applicarsi all’importo complessivo del risarcimento del danno e delle restituzioni spettanti agli aderenti. E si noti sono percentuali massime, ergo tutt’altro che avide. L’incentivo economico per il legal counsel cospirerà ad una più accurata, ma anche impegnativa e financo ardimentosa, selezione delle azioni in partenza, che è l’aspetto sino ad ora da noi mancato.

La efficacia deterrente delle azioni di classe così “ricarburate”, nei voti meglio ponderate e più promettenti, sarà comunque flebile nei confronti di taluni enti debitori che già versino in condizioni finanziarie assai precarie. È di questi giorni, a proposito, la notizia della inammissibilità dell’azione ex art. 140-bis cod. cons. promossa da alcuni cittadini contro un Comune italiano per lo stato di degrado della rete stradale urbana (Trib. Roma, 6.3.2019, P.G., S.A., Codacons c. Roma Capitale). Azione rigettata in iure, al di là della dubbia legittimazione ratione personae dei proponenti, per ravvisato difetto di un “contatto sociale qualificato” tra il Comune proprietario della rete stradale e la collettività dei cittadini residenti, tale per cui la carenza di manutenzione del manto stradale costellato di buche sia suscettibile di qualificarsi come inadempimento di un obbligo verso questi ultimi. Invero par difficile ravvisare in capo al singolo contribuente un diritto soggettivo di credito alla corretta manutenzione delle pubbliche vie. La manutenzione delle strade non è un servizio pubblico a favore di utenti qualificati. È un dovere pubblicistico degli enti locali che va assolto a vantaggio della collettività indistinta. Non credo si possa vantare un diritto soggettivo alle strade pulite etc. Il rapporto contributivo tra contribuenti ed enti pubblici non è informato ad una logica corrispettiva. Impropriamente gli attori indicavano nel codice della strada la base giuridica della azione.

La nuova legge, va pur detto, non trasforma l’azione di classe in uno strumento speculativo.

Lo dimostra la centralità del giudice delegato che permea finanche la fase transattiva. Un difetto? L’aver consentito di impugnare la sentenza per revocazione per collusione fra il class representative e il convenuto a ciascun aderente, anche in caso di parziale vittoria parrebbe (e questo è giusto allorché essa fosse …quella di Pirro). Mi sembra un fuor d’opera, con possibili tentativi di soluzione: gli aderenti non sono parti in senso formale, non spettano loro poteri di impulso endoprocessuale e dunque neppure dovrebbero avere poteri impugnatori. Tanto meno disaggregati e quindi si potrà, semmai, pensare di introdurre al riguardo una nuova ipotesi di revocazione da parte del P.M. ex art. 397 c.p.c., del tutto congrua e munita dei necessari previ poteri di indagine, anche penale, certo con una nuovissima accezione del vecchio reato di infedele patrocinio per i legali (non azzardo qui una prognosi qualificatoria di truffa per le Associazioni civetta o “gialle”, che dir si voglia).Tutto da tracciare, not least, il riverbero sul mondo assicurativo.

 


[1] C. Consolo-M. Stella, La nuova azione di classe, non più solo consumeristica, in una proposta di legge da non lasciar cadere, in questa Rivista, n. 12/2018.

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