Al di là dei tempi tecnici occorrenti – e pare saranno piuttosto lunghi, a quanto possiamo intendere nel leggere i primi scambi di battute tra Unione Europea e Gran Bretagna – la Brexit è una realtà.
Lo dimostrano, tra l’altro, le iniziative (al momento isolate) di alcuni istituti ed aziende private che stanno lasciando la Gran Bretagna o comunicano di essere in procinto di farlo.
Per il nostro Paese si tratta di una opportunità straordinaria di crescita, di sviluppo e di ulteriore radicamento all’interno dell’Unione Europea.
Di fronte infatti ai preparativi per la partenza messi in atto dai soggetti sopra menzionati è evidente che l’Italia non possa non essere in prima fila quale soluzione “di arrivo” per gli stessi.
Ciò tocca diversi profili.
Innanzitutto, vi è il tema delle istituzioni comunitarie attualmente radicate in Gran Bretagna, e a Londra in particolare. Che debbano prepararsi ad un trasloco è fuor di dubbio, mentre ciò che al momento è incerto sono i tempi, e soprattutto la destinazione finale.
Si parla in proposito di Eba ed Ema.
La prima (European Banking Authority, l’Autorità bancaria europea, vale a dire il sorvegliante delle banche dell’Unione) ha sede a Londra, ed è stata costituita nel gennaio 2011 come parte dell’Esfs (European System of Financial Supervision), il sistema europeo di supervisione finanziaria: si tratta dell’autorità indipendente che deve assicurare la regolazione e la supervisione dell’intero settore bancario in Europa. Il suo obiettivo è «mantenere la stabilità finanziaria nell’Ue e salvaguardare l’integrità, l’efficienza e il funzionamento ordinato del settore bancario». Inoltre deve contribuire alla costituzione del «libro delle regole» unico per l’Europa sulle banche. L’Eba è una delle tre Authority che costituiscono il nuovo sistema europeo per la supervisione finanziaria, insieme con quella sui mercati e gli strumenti finanziari — l’Esma, European Securities and Markets Authorities — che ha sede a Parigi; e a quella sulle assicurazioni e pensioni aziendali — l’Eiopa, European Insurance and Occupational Pensions, che ha sede a Francoforte.
L’Ema invece è l’Agenzia europea per i medicinali, che valuta e monitora i farmaci in circolazione in tutta l’Unione, decidendo innanzitutto quali possono essere messi in commercio nel perimetro dell’Ue in base a criteri come la sicurezza: in testa gli anti-cancerogeni sviluppati dalle biotech company. Ogni medicinale in vendita in Europa, insomma, deve passare da qui. Anche l’Ema ha sede a Londra, ed è l’equivalente dell’Fda (Food and drug administration), l’ente di vigilanza americano.
Ora, nel caso di Eba ed Ema la decisione sarà tutta politica, dipendendo da considerazioni di vario tipo nelle quali non è questa la sede per entrare.
Indubbiamente, però, la predisposizione di un contesto “adatto” per accogliere una delle due può giocare un ruolo assai importante.
Ma oltre alle istituzioni comunitarie che stanno per lasciare Londra il tema del post Brexit è rilevante per tutte le aziende private che stanno compiendo analoghe valutazioni, e che – diversamente dai soggetti per così dire pubblici – avranno tempi di reazione diversi (quanto si legge sulla stampa lo conferma) e soprattutto seguiranno processi decisionali del tutto interni e non soggetti a considerazioni “geopolitiche”.
È per questi soggetti che sto dalla fine del 2016 lavorando, per cercare di creare le premesse e le condizioni affinché la scelta dell’Italia sia in testa alle varie opzioni che saranno sul tavolo di chi dovrà prendere tale decisione. E Italia non può non voler dire Milano, soprattutto per il mondo della finanza.
Al di là ed oltre il fatto che l’Eba si trasferisca da noi, infatti, è evidente che la piazza milanese potrebbe essere la naturale destinazione per molti dei soggetti privati attualmente radicati a Londra, e ciò per una infinità di motivi a tutti noti.
In questo quadro si inserisce il disegno di legge che abbiamo presentato a mia prima firma, e che intende incentivare nuovi investimenti ed insediamenti nella Città Metropolitana di Milano, con la consapevolezza che una maggiore attrattività del distretto finanziario di Milano non potrà non portare benefici a tutto il Paese.
Il testo si propone di consentire di cogliere al meglio le già citate opportunità derivanti sia dal post Expo che dalla Brexit, e, quindi, anche dall’auspicato trasferimento dal Regno Unito ad altri Paesi della Unione Europea delle imprese multinazionali. Oltre ad essere finalizzate ad attrarre nuovi investimenti, alcune delle agevolazioni sono destinate a soggetti che assumono nuova forza lavoro, con indubbi benefici sull’occupazione.
Negli ultimi anni in Parlamento abbiamo approvato norme fiscali che incentivano l’attività d’impresa e i nuovi investimenti in Italia, e che rendono veramente l’idea di come l’intero sistema fiscale sia in profonda evoluzione.
Si pensi, ad esempio, alla riduzione dell’aliquota dell’imposta sulle società, alla disciplina ACE (Aiuto alla Crescita Economica), al regime della PEX (Participation Exemption), al regime del Patent Box, che agevola i redditi derivanti dai beni immateriali, al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, alle disposizioni che consentono la deducibilità di maggiori ammortamenti rispetto a quelli contabili (cd. super ammortamenti ed iper ammortamenti).
Significativi passi avanti sono stati fatti anche per quanto riguarda la fiscalità internazionale e la certezza del diritto, cruciale per l’investitore estero, e sono state introdotte disposizioni che agevolano le società e le persone fisiche che trasferiscono la residenza fiscale in Italia.
Così come rivoluzionario è il sistema di cooperative compliance che abbiamo introdotto nel 2015 (il cui nome tecnico è “Regime di adempimento collaborativo”), per ora riservato a grandissime aziende (quelle con un fatturato superiore ai 10 miliardi, per intenderci, o che comunque rispettino determinati requisiti), ma che a breve potrebbe vedere il coinvolgimento anche di soggetti “di taglia inferiore” per così dire, purché dotati di un sistema di controllo interno dei rischi fiscali che offra all’Agenzia delle Entrate determinate caratteristiche.
Tale regime di compliance fiscale, tra l’altro, oggi valevole su base opzionale e riservato appunto ai grandissimi, vede in prima fila proprio i soggetti bancari, i quali già da alcuni anni sono tenuti al rispetto di adempimenti analoghi imposti loro da Banca d’Italia proprio sul versante fiscale.
La proposta normativa che abbiamo presentato si inserisce in questo contesto, e cerca di dare una risposta efficace all’istanza generalizzata di assicurare e favorire nuovi investimenti, insediamenti ed assunzioni in Italia in generale e in particolare nella Città Metropolitana di Milano.
D’altra parte è evidente come già altre nazioni europee hanno messo in atto provvedimenti simili, tuttavia, dando per scontata la validità della piazza finanziaria milanese e proprio in considerazione della sua già naturale appetibilità, sarebbe un grave errore non prevedere anche in Italia provvedimenti mirati che ci mettano al passo con gli altri partners europei.
Come dicevo, la città di Milano, comprensiva anche del territorio dell’area metropolitana, possiede una serie di fattori di competitività e condizioni di infrastruttura di mercato,che le consentono di essere l’unica piazza finanziaria oggi complementare con Londra. Secondo una ricerca dell’Osservatorio varata da Assolombarda e Comune di Milano, la città è già attraente per reputazione, moda-design e formazione, nonostante l’alta pressione fiscale presente in Italia e il sistema burocratico non proprio efficiente del nostro Paese. Ecco perché è fondamentale migliorare l’appetibilità del capoluogo meneghino in termini fiscali, guardando anche con attenzione alle future possibilità collegate all’occupazione giovanile.
La proposta di legge di cui sono il primo firmatario, (A.C. 4456), contiene almeno 8 punti attraverso cui si mira a rendere il sistema Italia ancora più attrattivo e incentivare nuovi insediamenti nella Città Metropolitana di Milano: agevolazioni IRAP per favorire nuovi investimenti, modifica della disciplina degli interessi passivi, modifica della tassazione dei dividendi transfrontalieri, estensione del Regime di Adempimento Collaborativo, estensione dell’istituto dell’Interpello sui nuovi investimenti, agevolazioni per i c.d. “espatriati”, agevolazioni in ambito immobiliare per i nuovi investimenti, trasferimento della residenza a seguito di operazioni straordinarie.
Su tutto questo, la Commissione Finanze, che presiedo, con voto bipartisan ha approvato una risoluzione per impegnare il Governo ad adoperarsi per la costituzione di un distretto d’affari, un polo per tutti i servizi d’investimento ai sensi della direttiva Mifid e organizzare il distretto in forma di Gruppo Economico d’Interesse Europeo (Geie), capace di coinvolgere partner internazionali accanto ai soggetti istituzionali italiani, tra cui gli operatori bancari e gli intermediari finanziari.
Le possibilità per Milano e l’Italia esistono e sono concrete, anche considerato il legame industriale tra le borse valori di Londra e Milano, sta a noi creare le condizioni migliori perché si realizzino.
Non resta che muoversi di concerto, Parlamento, Agenzie interessate, Università e centri di ricerca, professionisti e impresa: uniti possiamo riuscire in questo straordinario risultato.