La grande ‘confusione’ che nei giorni scorsi ha contraddistinto il dibattito parlamentare relativo alla conversione del d.l. n.18 del 2016 sembra finalmente avviata alla fine: si delinea, infatti, la possibilità di pervenire ad una composizione tra gli opposti orientamenti, come viene indicato dalla stampa specializzata nella quale si fa riferimento alla “riunione di maggioranza per correggere le modalità di non adesione” al gruppo unico (cfr. IlSole24Ore del 15 marzo u.s.).
Com’è noto, al centro delle problematiche affrontate negli ultimi giorni in Parlamento è la questione della way out delle banche cooperative (realizzabile, in base alle previsioni del d.l., ove ricorrano determinate condizioni). A fronte di una convergente posizione della Banca d’Italia e di Federcasse, propense a sostenere la costituzione di un «gruppo unico cooperativo» (destinato a ricomprendere la quasi totalità delle banche della categoria), rileva la tesi favorevole al way out invocata da coloro che riconducono a detta costruzione la possibile perdita della specificità cooperativa, tipica delle BCC.
Consegue, in primo luogo, la necessità di contrastare il pretestuoso argomento che, in nome dello spirito mutualistico, si richiama ai benefici fiscali per ricondurre a questi ultimi la formazione delle cd. riserve indivisibili, deducendo ovvi impedimenti alla trasformazione. Si trascura di considerare, in tale ordine logico, che il buon livello di patrimonializzazione di molte BCC è dovuto essenzialmente alla capacità della governance e alle modalità con cui le medesime hanno saputo interpretare il loro ruolo di ‘banche del territorio’. D’altro canto, la severa imposizione fiscale imposta agli enti che intendono fruire della way out di certo attua un bilanciamento rispetto ai benefici goduti (realizzando una sostanziale loro ‘restituzione’ all’Erario).
Sotto altro profilo, è bene sottolineare che l’esigenza di tutelare le finalità istituzionali della cooperazione di credito (e, dunque, di conservare nelle banche in parola la funzione di soggetti propulsori delle economie locali) trova adeguata possibilità di affermazione solo in presenza di più gruppi bancari. Diversamente le BCC rischiano di essere sottoposte ad input strategici che, per la loro lontananza dai destinatari, finiscono col porre in essere una sorta di eterogestione la quale, in nome “di un interesse di gruppo”, disattende la specificità interventistica che da sempre ha caratterizzato tale categoria bancaria.
Ciò posto, le conclusioni della ‘riunione di maggioranza’ dianzi menzionata sembrano confermare quanto alcuni giorni or sono (in un’Audizione parlamentare tenuta il 1° marzo u.s.) ho avuto modo di sottolineare. Ed invero, precisai in detta occasione che l’eventuale scorporo dell’azienda creditizia da una o più BCC (disposte ad aggregarsi in vista di una successiva operazione di way out) consentiva all’ente conferente (naturale centro di riferimento della s.p.a. bancaria da esso derivata) di tener fermi, nelle sue politiche gestionali, il metodo e le finalità strategiche che ne connotano l’agere.
Da qui la possibilità di dar corso alla realizzazione di più gruppi cooperativi di carattere regionale (ovvero riconducibili a contesti di macroregioni) qualora alle s.p.a. bancarie, come sopra costituite, aderiscano convenzionalmente insiemi di BCC; obiettivo cui, peraltro, potrebbe essere di ostacolo la predeterminazione (disposta in sede di conversione del d.l.) di una data cui far riferimento per la identificazione della soglia di trasformabilità. Per converso, non potrà essere di impedimento all’affermazione di un processo siffatto la circostanza che le aggregazioni tra BCC finalizzate al way out (e, dunque, alla possibile costituzione di un gruppo) possono infrangersi in una mancata autorizzazione da parte dell’Organo di vigilanza. E’ noto come quest’ultimo, anche se mosso da intenti di razionalizzazione sistemica, pone sempre la massima cura nel perseguire obiettivi di equilibrio del settore, operando nella consapevolezza che eventuali dinieghi ai soggetti bancari, non giustificati da decisioni pienamente conformi alla tutela di interessi generali, rischiano di essere impugnati davanti alle competenti autorità giurisdizionali per eccesso di potere.