La Cassazione torna ad occuparsi della rilevanza della scissione ai fini dell’integrazione del delitto di bancarotta fraudolenta, rilevandone la sussistenza “qualora tale operazione, in sé astrattamente lecita, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava la società al momento della scissione, si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. c.c. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie” (in senso conforme, Cass., Sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13522; Cass. Sez. V., 10 aprile 2015, n. 20370; Cass., Sez. V, 01 luglio 2020, n. 27930).
Tale assunto si pone in linea con la lettura estensiva che la giurisprudenza fornisce alla condotta distrattiva, entro il cui perimetro non vengono ricondotte solo la dismissione di beni senza corrispettivo (o con corrispettivo inferiore a quello reale), bensì anche quei comportamenti che, pur configurando in astratto facoltà del tutto legittime, si risolvano in concreto in un pregiudizio per l’impresa, dal momento che la liceità dell’operazione dipende dall’impatto che essa dispiega sul patrimonio di quest’ultima e, conseguentemente, sulle capacità del patrimonio aziendale di soddisfare i creditori.
Inoltre, tale orientamento è imposto dalla necessità di evitare che strumenti del tutto legittimi vengano distorti al fine di arrecare pregiudizio ai diritti dei terzi.
Nel caso di specie, si confermava l’illiceità della scissione di una società attuata trasferendo a due nuovi soggetti giuridici le principali attività di impresa, senza un contestuale trasferimento anche dei relativi debiti, che rimanevano integralmente a carico della società scissa.
Infine, la corte evidenzia l’incapacità dei rimedi civilistici a fornire idonea tutela ai creditori. Se per i debiti tributari l’art. 173 c. 13 DPR n. 917/1986 impone una responsabilità in solido delle società beneficiarie, per gli altri crediti vi è solo la minor tutela offerta dall’art. 2506 quater c.c., che tuttavia comporta diverse conseguenze negative per la posizione dei creditori, che, per agire nei confronti delle beneficiarie sono obbligati a: escutere in primo luogo la società scissa, trattandosi di responsabilità sussidiaria; munirsi di apposito titolo contro la beneficiaria; agire nei confronti di più obbligati; subire la concorrenza dei creditori delle beneficiarie (Soana, I reati fallimentari, Milano, 2012; Scordamaglia, I negozi giuridici per la soluzione della crisi d’impresa tra eterogenesi dei fini e manovre distrattive in danno dei creditori, in Cass. pen., 9/2015, 3256).