La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, ha inteso ribadire l’applicabilità del generale principio in tema di onere della prova dell’inadempimento di una obbligazione anche nel giudizio di opposizione allo stato passivo.
In particolare, nella fattispecie in esame, la banca aveva proposto opposizione allo stato passivo del fallimento per ottenere l’ammissione del credito vantato nei confronti della società fallita. Il Tribunale, tuttavia, rigettava l’opposizione allo stato passivo sul presupposto dell’insufficienza degli estratti conto presentati dalla banca al fine di documentare il credito. Infatti, il rapporto con la società fallita aveva avuto inizio nel 1997 mentre gli estratti conto esibiti afferivano unicamente agli anni successivi al 2003, conseguentemente, difettava il requisito della continuità della documentazione presentata, nonché, della prova documentale delle operazioni inerenti al conto corrente.
In via del tutto incidentale ma utile ai fini della comprensione della decisione della Corte di Cassazione, pare opportuno evidenziare alcune caratteristiche del contratto di conto concorrente bancario (detto anche di corrispondenza). Quest’ultimo, secondo le indicazione di dottrina e giurisprudenza, possiede un carattere misto, infatti, è contemporaneamente un’operazione, un metodo, un regolamento che consente di veicolare una pluralità di rapporti bancari (PAGLIANTINI S., BARTOLINI F., Il conto corrente bancario, in AA.VV., Contratti Bancari, 2021, pp. 2019-2056). Il contratto di conto concorrente bancario può essere definito come lo strumento contrattuale con il quale la banca, in esecuzione degli ordini impartiti dal cliente, si obbliga nei confronti di quest’ultimo a prestare servizi di cassa, pagamenti e riscossioni sul presupposto di una sua disponibilità fornita con versamenti autonomi. Dunque, il contratto di conto concorrente bancario a differenza del contratto di conto corrente ordinario, inter alia, (i) difetta del requisito della reciprocità e, pertanto, gli accrediti effettuati dai clienti sul conto non possono essere considerati delle vere e proprie rimesse poiché manca il trasferimento della somma dall’uno all’altro contraente e l’accreditamento a favore del remittente; (ii) il credito del cliente è sempre disponibile; e (iii) il conto corrente bancario è soggetto ad una regolamentazione diversa in materia di anatocismo.
In particolare, secondo gli Ermellini, nel contratto di conto corrente bancario, la banca che assuma di essere creditrice del cliente ha l’onere di produrre in giudizio i relativi estratti conto a partire dalla data dell’apertura del conto corrente, non potendo pretendere l’azzeramento delle eventuali risultanze del primo degli estratti utilizzabili, in quanto ciò comporterebbe l’alterazione sostanziale del medesimo rapporto, che vede nella banca l’esecutrice degli ordini impartiti dal cliente, i quali si concretizzano in operazioni di prelievo e di versamento ma non integrano distinti e autonomi rapporti di debito e credito tra cliente e banca, rispetto ai quali quest’ultima possa autonomamente rinunciare azzerando il saldo presente sul conto corrente.
Peraltro, come precisato nelle motivazioni della pronuncia in commento, non rileverebbe l’eventuale produzione in giudizio della prova documentale del rapporto contrattuale instauratosi tra banca e cliente fatta iniziare da un estratto conto positivo (piuttosto che a zero o negativo). Infatti, ciò che interesserebbe sarebbe proprio l’incompletezza dello sviluppo del rapporto a precludere non solo la prova della prospettata coincidenza fra saldo contabile finale e importo del credito vantato, ma altresì la stessa allocazione dell’onere della prova in capo alla controparte. Da ultimo, si noti che lo stesso carattere di terzietà dell’organo concorsuale esige che la rappresentazione difensiva di contestazione del corredo probatorio della domanda di credito le sia opponibile non solo con riferimento alla certezza della data ma piuttosto per completezza rappresentativa.
Dunque, con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva applicato correttamente la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione sul punto (Cass. 9365/2018, 22208/2018, 23313/2018).