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Attualità

L’escussione delle garanzie finanziarie in sede fallimentare

24 Novembre 2021

Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società Tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il fatto

L’occasione per la stesura di questo contributo nasce dalla lettura di una recente sentenza del Tribunale di Monza (Sez. Prima, dott. Davide De Giorgio, 10 giugno 2021, pubblicata il 21 giugno 2021) nella quale, in estrema sintesi, si afferma che, in caso di garanzia finanziaria disciplinata dal D.lgs. n. 170/2004, la banca garantita che intenda escutere la garanzia successivamente al fallimento del debitore che ha rilasciato il pegno non ha l’onere di vedere preventivamente riconosciuta la natura privilegiata pignoratizia del proprio credito nell’ambito del procedimento di verifica dei crediti.

Il giudizio che porta alla sentenza segnalata origina dalla domanda proposta da un fallimento nei confronti di una banca al fine di ottenere il pagamento di una somma pari al saldo del conto corrente attivo presente alla data del fallimento sul conto corrente già intestato alla fallita ed oggetto di pegno a favore della banca stessa.

Nel caso sottoposto all’attenzione del tribunale monzese risultava che la società fallita avesse concesso, diversi anni prima della dichiarazione di fallimento, un pegno in favore della banca avente ad oggetto l’intero saldo del conto corrente già intrattenuto con la banca. Dall’esame del testo contrattuale emergeva come il pegno avrebbe dovuto intendersi costituito non solo a garanzia del fido in relazione a cui esso era stato concesso ma anche “a garanzia di ogni altro credito – anche se non liquido ed esigibile ed anche se assistito da altra garanzia, reale o personale – già in essere o che dovesse sorgere a favore della banca verso il debitore”.

Il contratto prevedeva poi che “in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite la banca, senza pregiudizio per qualsiasi altro suo diritto ed azione, con preavviso di tre giorni – o di cinque giorni ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore – ha diritto di utilizzare il saldo, per capitale ed interessi dei rapporti di conto corrente costituiti in pegno ad estinzione o decurtazione delle obbligazioni garantite, […] dandone immediata comunicazione al costituente il pegno”.

Dato come pacifico il testo dell’accordo contrattuale, due sono state le interpretazioni offerte dalle parti:

  • ad avviso della banca, infatti, si sarebbe in presenza di un contratto di garanzia finanziaria ai sensi dell’art. 1 D.lgs. n. 170/2004 con conseguente applicabilità della relativa disciplina o, comunque, di un contratto di pegno irregolare;
  • ad avviso del fallimento, invece, si verterebbe nell’ambito del più classico contratto di pegno regolare.

Il pegno irregolare

Come noto, il pegno irregolare si differenzia da quello regolare in quanto le somme di danaro o i titoli depositati presso il creditore diventano di proprietà del medesimo, sicché in caso di inadempimento del debitore, il creditore è tenuto soltanto a restituire l’eventuale eccedenza dei titoli rispetto alle somme garantite, mentre nel pegno regolare egli ha diritto a soddisfarsi disponendo dei titoli ricevuti in pegno (Cass. Pen., Sez. III, 9 settembre 2021, n. 33435).

Con particolare riguardo al saldo di conto corrente si ritiene che il pegno di saldo di conto corrente bancario costituito a favore della banca depositaria si configuri come pegno irregolare solo quando sia espressamente conferita alla banca la facoltà di disporre della relativa somma mentre, nel caso in cui difetti il conferimento di tale facoltà, si rientri nella disciplina del pegno regolare. In quest’ultimo caso la banca garantita non acquisisce la somma portata dal saldo del conto né ha l’obbligo di restituire al debitore il tantundem, con la conseguenza che, difettando i presupposti per la compensazione dell’esposizione passiva del cliente con una corrispondente obbligazione pecuniaria della banca, l’incameramento della somma conseguente all’escussione del pegno rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 67 l.f. ed è assoggettabile a revocatoria fallimentare (in questo senso: Cass. Sez. I, sentenza n. 16618 dell’8 agosto 2016).

Già in passato la Suprema Corte aveva precisato che: “qualora il cliente della banca, a garanzia del proprio adempimento, vincoli un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati, anche al portatore, e non conferisce alla banca il potere di disporre del relativo diritto, si esula dall’ipotesi del pegno irregolare e si rientra nella disciplina del pegno regolare (artt. 1997 e 2787 c.c.), in base alla quale la banca non acquisisce la somma portata dal titolo o dal documento, con l’obbligo di riversare il relativo ammontare ma è tenuta a restituire il titolo e il documento. In tale ipotesi il creditore assistito da pegno regolare è tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare, ai sensi dell’art. 53 l.f., per il soddisfacimento del proprio credito, dovendosi escludere la compensazione, che opera invece nel pegno irregolare come modalità tipica di esercizio della prelazione. Pertanto, nell’ipotesi di soddisfacimento della banca mediante incameramento della somma portata dal libretto offerto in pegno regolare, sussistono i presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria ex art. 67 l.f.” (Cass.Cass., Sez. 1, sentenza n. 18597 del 12 settembre 2011).

La circostanza per la quale, nel caso in esame, (i) l’oggetto del pegno non fosse una somma di denaro ma il saldo di un conto corrente e (ii) non fosse prevista per la banca la proprietà di quanto costituito in pegno, induceva il tribunale a negare la qualifica di pegno irregolare al contratto.

Applicando tale principio il giudice monzese non si è discostato da quanto affermato da altra giurisprudenza di merito e, in particolare, dal Tribunale di Bari (Tribunale di Bari, Giudice Antonio Ruffino, 22 maggio 2018, n.2209) secondo il quale:

“Il pegno di saldo di conto corrente bancario costituito a favore della Banca depositaria si configura come irregolare solo quando sia espressamente conferita alla Banca la facoltà di disporre della relativa somma”.

L’ambito di applicazione del Decreto Legislativo n. 170/2004

Esclusa quindi la natura di pegno irregolare alla garanzia de qua, con riguardo al tema relativo alla possibilità di ricondurre il pegno avente ad oggetto un saldo di conto corrente alla normativa dettata in tema di garanzie su strumenti finanziari, occorre innanzitutto chiarire l’ambito di applicazione del D.lgs. n. 170/2004, con particolare riguardo a:

  • cosa debba intendersi per “contratto di garanzia finanziaria”. Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lettera d), del Decreto per contratto di garanzia finanziaria deve intendersi il contratto di pegno e qualsiasi altro contratto di garanzia reale avente ad oggetto attività finanziarie volto a garantire l’adempimento di obbligazioni finanziarie, allorché le parti contraenti rientrino in una delle seguenti categorie: enti creditizi (come definiti dall’articolo 4, punto 1), della direttiva 2006/48/CE); le persone diverse dalle persone fisiche, incluse imprese e associazioni prive di personalità giuridica, purché la controparte sia un ente definito ai numeri da 1) a 4);
  • cosa debba intendersi per “attività finanziarie”. Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lettera c) del Decreto devono intendersi per attività finanziarie: il contante, gli strumenti finanziari, i crediti e, con riferimento alle operazioni connesse con le funzioni del sistema delle banche centrali europee e dei sistemi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera r), del decreto legislativo 12 aprile 2001, n. 210, le altre attività accettate a garanzia di tali operazioni;
  • cosa debba intendersi per “contante”: il denaro accreditato su un conto od analoghi crediti alla restituzione di denaro, quali i depositi sul mercato monetario.

Sulla base delle disposizioni che precedono è possibile affermare che il pegno avente ad oggetto denaro accreditato su un conto corrente rientri nell’ambito delle garanzie finanziarie così come classificate dal D.lgs. n. 170/2004.

L’escussione delle garanzie

Il D.lgs. n. 170/2004 prevede una disciplina ad hoc per l’ipotesi in cui, a seguito del default del debitore, si debba procedere con l’escussione della garanzia.

In particolare, ai sensi dell’art. 4, rubricato per l’appunto “escussione del pegno”:

1. Al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto:

  1. alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita;
  2. all’appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione;
  3. all’utilizzo del contante oggetto della garanzia per estinguere l’obbligazione finanziaria garantita.

2. Nei casi previsti dal comma 1 il creditore pignoratizio informa immediatamente per iscritto il datore della garanzia stessa o, se del caso, gli organi della procedura di risanamento o di liquidazione in merito alle modalità di escussione adottate e all’importo ricavato e restituisce contestualmente l’eccedenza.

Appare immediatamente evidente la diversità della procedura rispetto a quanto previsto dall’art. 53 l.f. a mente del quale i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 c.c. possono essere realizzati anche durante il fallimento, solo dopo che siano stati ammessi al passivo con prelazione. Per essere autorizzato alla vendita il creditore deve rivolgere un’istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell’articolo 107. Inoltre, il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente.

Si pone a questo punto il seguente quesito: se l’applicabilità della disciplina di cui al D.lgs. n. 170/2004 comporti una deroga all’art. 53 l.f.

A tale quesito pare potersi dare risposta affermativa sulla base della disciplina comunitaria (direttiva 2002/47/CE del 6 giugno 2002 modificata dalle direttive 2009/44/CE del 6 maggio 2009 e 2014/59/UE del 15 maggio 2014) in attuazione della quale è stato emanato il D.lgs. 170/2004.

Il riferimento è in particolare al terzo considerando della direttiva laddove si afferma che:

È necessario creare un regime comunitario per la fornitura in garanzia di titoli e contante, con costituzione del diritto reale di garanzia o tramite trasferimento del titolo di proprietà, compresi i contratti di pronti contro termine. Un siffatto regime favorirà l’integrazione e l’efficienza del mercato finanziario in termini di costi, nonché la stabilità del sistema finanziario dell’Unione europea e pertanto la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei capitali nel mercato unico dei servizi finanziari. La presente direttiva ha per oggetto i contratti di garanzia finanziaria bilaterali.

A sua volta il quinto considerando afferma che:

Per migliorare la certezza giuridica dei contratti di garanzia finanziaria, gli Stati membri devono garantire che talune disposizioni delle legislazioni nazionali sull’insolvenza non si applichino ai predetti contratti, in particolare quelle che ostacolerebbero il realizzo delle garanzie finanziarie o che porrebbero in dubbio la validità di tecniche attualmente in uso come la compensazione bilaterale per close-out, l’integrazione della garanzia e la sostituzione della garanzia.

Infine, l’art. 4 della Direttiva, concernente l’escussione della garanzia, ai commi 4 e 5, prevede, che:

4. Le modalità di realizzo della garanzia finanziaria di cui al paragrafo 1, fatti salvi i termini stabiliti nel contratto di garanzia finanziaria con costituzione di garanzia reale, non prescrivono l’obbligo:

  1. che l’intenzione di procedere al realizzo sia stata preliminarmente comunicata;
  2. che le condizioni del realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona;
  3. che il realizzo avvenga per asta pubblica o in altra forma prescritta; o
  4. che un periodo supplementare sia trascorso.

5. Gli Stati membri garantiscono che un contratto di garanzia finanziaria abbia effetto conformemente ai termini in esso previsti nonostante l’avvio o il proseguimento di una procedura di liquidazione o di provvedimenti di risanamento nei confronti del datore o del beneficiario della garanzia.

Alla luce di tali disposizioni il Tribunale monzese conclude nel senso che debba ritenersi che le norme speciali in tema di contratto di garanzia finanziaria deroghino a quelle di carattere generale previste dalla legge fallimentare.

Nello stesso senso si era già pronunciato, nel 2015, il Tribunale di Brescia secondo il quale:

L’interpretazione dell’art. 53 L.F che vorrebbe che la facoltà di vendita diretta delle attività finanziarie oggetto di pegno al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia (facoltà prevista anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione dall’art.4 del D.Lvo.21 maggio 2004 n.170 di attuazione della direttiva comunitaria 2002/47) debba, in caso di fallimento del debitore pignoratizio, essere preceduta dall’ammissione al passivo fallimentare con privilegio del credito garantito, risulta contrastare con il disposto dell’art. 4, comma 4 lettera b) di detta direttiva che prevede espressamente che le modalità di realizzo delle garanzie finanziarie non possano prescrivere l’obbligo “che le condizioni di realizzo siano approvate da un tribunale, un pubblico ufficiale o altra persona”. Dal momento che il termine “condizioni di realizzo” pare riferirsi ai presupposti per la realizzazione della garanzia può fondamentalmente dubitarsi della correttezza di detta interpretazione, parendo che la norma comunitaria voglia escludere il controllo preventivo del tribunale nella realizzazione della garanzia, tanto più che il punto 17) dei “considerando” della stessa direttiva prevede per gli Stati membri la possibilità di conservare o introdurre un controllo, ma parrebbe solo “a posteriori”.

Conclusioni

Il Tribunale di Monza ha quindi rigettato la prospettazione del fallimento e, dopo aver escluso, come si è visto, che nel caso di specie si possa versare in ipotesi di pegno irregolare (ciò che di per sé esclude la necessità ed addirittura la possibilità giuridica di vedere riconosciuta la natura privilegiata pignoratizia del credito prima di procedere all’escussione della garanzia), ha accolto la tesi della banca convenuta, evidenziando sia come il pegno di saldo attivo di conto corrente rientri senz’altro nel novero delle garanzie finanziarie disciplinate dal D.Lgs. 170/2004, sia come tale normativa debba essere interpretata come derogativa rispetto alla disciplina prevista dall’art. 53 l.f. per poter realizzare la garanzia pignoratizia in costanza di fallimento.

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