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Attualità

La composizione negoziale della crisi alla prima prova giudiziale

9 Dicembre 2021

Luca Jeantet, Partner, Co-responsabile dipartimento insolvenze e ristrutturazioni, Gianni & Origoni

Paola Vallino, Managing Associate, Gianni & Origoni

Di cosa si parla in questo articolo

L’ordinanza del Tribunale di Brescia del 2 dicembre 2021 (G.U. Pernigotto) rappresenta la prima pronuncia giudiziale che affronta, in modo organico ed approfondito, l’istituto della composizione negoziale della crisi, come introdotto dal decreto legge 118/2021 (convertito con modifiche dalla legge 147/2021), tracciando alcune linee guida che dovranno essere tenute in debita considerazione nell’attivazione di un procedimento che, più di ogni altro, ha fatto registrare una forte divisività interpretativa, spesso ideologica, tra chi ne è fervido sostenitore e chi ne è, invece, fervido oppositore.

La fattispecie vede una società che, dopo avere presentato una domanda di concordato riservato e dopo avervi rinunciato, presenta istanza di composizione negoziata della crisi, chiedendo la conferma delle misure protettive individuate nel divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione se non concordati nonché di avviare o proseguire azioni esecutive e cautelari e nell’inibitoria alla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento fino alla conclusione delle trattative o all’archiviazione dell’istanza di composizione negoziata.

Il Tribunale di Brescia dà, anzi tutto, atto che l’articolo 6 del decreto legge. n. 118/2021 istituisce un sistema di protezione attivabile nel caso in cui vi sia l’esigenza di proteggere il patrimonio dell’imprenditore da iniziative che possono turbare il regolare corso delle trattative e mettere dunque a rischio il risanamento dell’impresa, con tre precisazioni. La prima è che l’imprenditore, già con la domanda di nomina dell’esperto o con successiva istanza, può chiedere l’applicazione di misure protettive consistenti nel divieto per i creditori di acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, nonché di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari tanto sul suo patrimonio quanto sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa. La seconda è che la protezione decorre dal giorno della pubblicazione dell’istanza di applicazione delle misure protettive, unitamente all’accettazione dell’esperto, nel registro delle imprese. La terza è che, se per il prodursi degli effetti protettivi è sufficiente che l’istanza dell’imprenditore che ne invoca l’applicazione venga pubblicata nel registro delle imprese unitamente all’accettazione dell’esperto, il loro consolidamento dipende dall’intervento dell’autorità giudiziaria alla quale l’imprenditore già protetto deve rivolgersi con ricorso depositato lo stesso giorno della pubblicazione dell’istanza e dell’accettazione dell’esperto, chiedendo la conferma o la modifica delle misure protettive o l’adozione di provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative, restando preclusa ex lege (dunque, indipendentemente da una pronuncia giudiziale sulle misure protettive) una dichiarazione di fallimento sino al completamento del percorso compositivo della crisi.

L’ammissibilità della richiesta giudiziale dipende, quindi, dalla circostanza che l’istanza di applicazione delle misure protettive sia pubblicata nel registro delle imprese e che questa veda allegata l’accettazione dell’esperto.

Se ciò è vero, come risulta dal combinato disposto degli articoli 6 e 7 del decreto legge n. 118/2021, è vero allora che la “corsa” che si sta registrando nella direzione dell’attivazione della composizione negoziata della crisi per conseguire le collegate misure protettive vada arrestata sino a quando sia effettivamente possibile la nomina di un esperto in dipendenza della popolazione delle relative liste presso le camere di commercio, giacché, in difetto, non si avrebbe un immediato effetto protettivo per effetto della sola pubblicazione dell’istanza da parte dell’imprenditore ed il giudice non avrebbe oggettivamente materia su cui rendere un provvedimento di conferma o modifica.

Il principio è condivisibile e va sicuramente nella direzione di evitare un ricorso abusivo al nuovo strumento, che potrebbe essere inteso come un surrogato di un concordato riservato oppure (e peggio), come nel caso esaminato dal Tribunale di Brescia, un espediente per prorogare l’automatic stay attraverso il ricorso sequenziale a mezzi ristrutturativi protettivi che tra loro sono, geneticamente e funzionalmente, alternativi, dovendo per contro la composizione negoziata rispondere ai necessari canoni della lealtà e correttezza per giungere ad un accordo con i creditori di un’impresa in crisi.

Tanto trova ulteriore conferma nella circostanza che l’automatico prodursi degli effetti protettivi di cui all’articolo 6 del decreto legge n. 118/2021 impone l’onere di allegazione e collaborazione dell’imprenditore, essendo egli richiesto tutta la documentazione prescritta dal successivo articolo 7 al fine di consentire al giudice di poter delibare la serietà del percorso di trattative iniziato e l’idoneità delle misure richieste per garantirne il regolare corso senza eccessivi sacrifici per i creditori.

Di qui, l’evidenza che uno strumento sicuramente congeniato in chiave privatistica e deformalizzata vede una significativa partecipazione giudiziale a valere quale presidio di interessi, quelli dei creditori, che meritano pur sempre una tutela pubblica e devono essere cautelati al cospetto di iniziative strumentali attivate al solo fine di conseguire tempo, ma non un effettivo risanamento.

Su questo concetto, una riflessione merita sicuramente di essere fatta, essendo necessario confrontarsi con la realtà che si ha di fronte e, in particolare, con il fatto che la richiesta di composizione negoziata è molto forte in chi non è in grado di risanarsi in modo soggettivo ed oggettivo nel senso di poter poi proseguire esso stesso risanato sul mercato di riferimento.

Questo conduce a porsi due domande.

La prima è se il risanamento possa non essere soggettivo e la seconda è se il solo risanamento oggettivo possa corrispondere ad una liquidazione volontaria che offra una soddisfazione migliore rispetto all’alternativa fallimentare.

Alla prima domanda dovrebbe potersi dare risposta positiva sulla base di una soluzione in continuità indiretta, mentre alla seconda potrebbe darsi risposta positiva solo e se si ritenga che la composizione negoziata ed il successivo eventuale concordato minore rappresentino davvero la migliore soluzione, ma alla condizione essenziale, anzi inderogabile, che l’imprenditore, in modo leale e trasparente, riferisca all’esperto che non ha prospettive di continuazione ed affidi a lui il compito di spiegare ai creditori che la composizione negoziata supera ogni alternativa concretamente praticabile, perché consente risparmi di costi che sarebbero fisiologici in un concordato od in un fallimento.

Se si accede a questa interpretazione, forse si ammette una forzatura della legge, ma si prevengono ipotesi abusive di ricorso alla composizione negoziata e, soprattutto, si riesce ad ampliare l’impiego della stessa, che, se circoscritta a chi possa (o debba) risanarsi soggettivamente ed oggettivamente, rischierebbe una applicazione limitata.

La pandemia passerà, ma la composizione negoziata, che è non è strumento a termine, resterà e, se resterà, allora si dovrà cercare di trarne il meglio, confidando che l’esperto sappia davvero interpretare il suo ruolo e cogliere gli spunti che l’imprenditore, con i suoi consulenti, porterà alla sua attenzione.

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