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Attualità

La fideiussione prestata dal defunto è un debito ereditario?

10 Dicembre 2021

Angelo Chianale, Professore Ordinario di Diritto Civile all’Università di Torino, Notaio in Torino

Di cosa si parla in questo articolo

1. Il problema

Quando muore il soggetto che ha rilasciato una fideiussione a garanzia del debito altrui si presenta il problema se l’obbligazione fideiussoria sia da considerare una posta del passivo ereditario. Il dubbio sorge ovviamente soltanto quando non è verificato l’inadempimento del debitore garantito e quindi il creditore non ha ancora diritto di escutere la garanzia fideiussoria.

Il problema si pone in una duplice prospettiva: quella tributaria e quella sostanziale.

Sul piano fiscale l’art. 21 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (T.U. imposta sulle successioni e sulle donazioni), considera passività deducibili i “debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione”. La prassi e la giurisprudenza hanno raggiunto una soluzione univoca nell’interpretare questa disposizione: per determinare la base imponibile dell’imposta di successione i soli debiti ereditari deducibili sono quelli liquidi ed esigibili e pertanto le eventuali fideiussioni prestate dal defunto non costituiscono passività deducibili, a meno che al momento dell’apertura della successione sussista l’insolvenza del debitore garantito o l’impossibilità per gli eredi del fideiussore defunto di esercitare l’azione di regresso[1]. Soltanto a queste condizioni l’esistenza della fideiussione provoca un effettivo depauperamento dell’attivo ereditario.

Quindi l’asse ereditario assoggettato a tassazione non comprende, quale passività, il debito derivante da un’eventuale escussione delle fideiussioni rilasciate dal defunto. Quando il creditore, a seguito dell’inadempimento del debito garantito, si rivolge agli eredi del fideiussore, diventando così il debito ereditario liquido ed esigibile, tale obbligazione fideiussoria può essere portata in rettifica della dichiarazione di successione a sensi dell’art. 23 del citato d.lgs. 346/1990, con diritto degli eredi al rimborso della maggiore imposta eventualmente pagata. Se l’erede del fideiussore viene condannato a pagare con provvedimento giurisdizionale il termine per la rettifica della dichiarazione è fissato dalla legge in sei mesi dalla data nella quale il provvedimento diviene definitivo.

Sul piano del diritto sostanziale successorio invece mancava sinora una chiara indicazione giurisprudenziale sull’inserimento tra le passività ereditarie delle fideiussioni rilasciate dal defunto, ma non ancora escusse[2].

2. La sentenza Cass., 9 novembre 2021, n. 32804

La Cassazione è stata chiamata a giudicare un caso ereditario piuttosto semplice: il defunto ha nominato con testamento quale unico erede un figlio, pretermettendo completamente il coniuge e l’altro figlio, che agiscono per la reintegrazione delle proprie quote di legittima.

Al fine di determinare l’ammontare delle quote di legittima occorre calcolare il valore dell’asse ereditario, sottraendo dall’attivo i debiti del defunto e poi sommando le donazioni fatte in vita dal defunto stesso[3]. Il defunto aveva rilasciato una fideiussione a garanzia di un finanziamento bancario erogato a una società: al momento della sua morte però la garanzia non era stata attivata dalla banca garantita.

La corte, riformando la sentenza di merito, riconduce all’art. 556 c.c. – che prevede di detrarre i debiti dall’attivo ereditario – l’interpretazione elaborata in materia di imposta di successione per la determinazione dell’asse imponibile. Il principio di diritto statuito dalla sentenza è preciso:

Nella formazione della massa ai sensi dell’art. 556 c.c. si detrae dal valore dei beni compresi nel relictum solo il valore dei debiti del defunto aventi esistenza attuale e certa nel patrimonio ereditario, fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo, se il debito, inizialmente non detratto, sia venuto ad esistenza in un secondo momento. Pertanto, il debito derivante da fideiussione prestata dal de cuius è detraibile se e nella misura in cui sia dimostrata l’insolvibilità del debitore o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso”.

3. Conseguenze pratiche

La trasposizione nel diritto sostanziale della regola applicata nel diritto tributario alle fideiussioni rilasciate dal defunto solleva però un problema di fondo in relazione al calcolo della quota di legittima spettante a coniuge e discendenti del defunto. Si tratta infatti di capire quali conseguenze si presentano se il creditore, dopo un certo tempo dall’apertura della successione (magari anche numerosi anni: si pensi alla fideiussione prestata a garanzia di un mutuo ipotecario trentennale), escute la fideiussione.

In tema di imposta di successione, come detto sopra, la soluzione operativa consiste nella rettificabilità della dichiarazione di successione. Di conseguenza l’art. 42, comma 1, lett. f), d.lgs. 346/1990, prevede il rimborso dell’imposta “risultante pagata in più a seguito di accertamento, successivamente alla liquidazione, dell’esistenza di passività”. Il rapporto tributario è semplice e vede contrapposti l’erede, che ha pagato l’imposta, e il fisco, che è tenuto a effettuare il rimborso. La regola può operare senza sollevare problemi anche dopo molti anni dal pagamento dell’imposta, che in seguito risulta non dovuta per l’escussione della fideiussione da parte del creditore garantito.

Invece le conseguenze sul piano sostanziale sono piuttosto diverse. La Cassazione, nel principio di diritto sopra riportato, se ne fa carico in maniera sibillina: è comunque fatta salva la reintegrazione della legittima, previa rettifica del calcolo, se il debito, inizialmente non detratto, sia venuto ad esistenza in un secondo momento.

In realtà si verificano due conseguenze alternative tra loro.

i) Quando un legittimario pretermesso ha agito per la reintegrazione della propria quota contro l’erede istituito nel testamento – come nel caso deciso dalla sentenza – eventualmente anche seguita dalla correlata divisione dell’attivo ereditario, la successiva escussione della fideiussione rilasciata dal defunto non modifica la devoluzione ereditaria. Infatti il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione assume la qualifica di erede e la passività ereditaria sopravvenuta grava su di lui in proporzione alla sua quota ereditaria[4]. Quindi non si deve procedere ad alcuna rettifica.

ii) Invece se il legittimario pretermesso ha ricevuto la propria quota di legittima mediante donazioni anteriori o legati testamentari (art. 551 c.c.), la sopravvenienza del debito fideiussorio, se di ammontare superiore alla quota disponibile, causa la lesione della quota di legittima degli altri legittimari divenuti eredi, sui quali soltanto grava il debito stesso[5]. Pertanto la rettifica del calcolo dell’asse ereditario e della riunione fittizia delle donazioni fatte in vita dal defunto fa sorgere il diritto dei legittimari, divenuti eredi, alla riduzione di donazioni e legati ricevuti dal legittimario donatario o legatario, non diventato erede.

Sorgono però due ostacoli. Il primo è il termine di prescrizione decennale dell’azione di riduzione a disposizione dei legittimari lesi: ma per l’art. 2935 c.c. la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. Il secondo, più complesso, deriva dall’art. 564 c.c., che considera condizione dell’azione di riduzione l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario[6]: se gli eredi testamentari non hanno accettato con beneficio di inventario nei termini di legge, essi non possono più agire in riduzione contro il legittimario, non divenuto erede, quando viene escussa la fideiussione.

[1] In tal senso Cass., 21 febbraio 2008, n. 4419, per la quale alla fideiussione si applica una regola analoga a quella valevole per i debiti sottoposti a condizione sospensiva che vengono esclusi dal passivo, salve le opportune correzioni qualora la condizione si verifichi.

[2] Sui debiti sottoposti a condizione sospensiva v. TULLIO, Il calcolo della legittima, in A.V., La successione legittima, in Tratt. delle successioni e delle donazioni, III, a cura di Bonilini, Milano, 2009, 424 ss.

[3] L’art. 556 c.c. dispone: “Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a 750, e sull’asse così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre”. Sulla successione c.d. necessaria e sui diritti dei legittimari v. per tutti MENGONI, Successioni per causa di morte. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm. Cicu-Messineo, 4° ed., Milano, 2000.

[4] Esempio: coniuge e due figli (art. 542 c.c.: ciascuno ha legittima di un quarto e la quota disponibile è pure di un quarto); il testamento nomina unici eredi il coniuge e un figlio soltanto; l’altro figlio pretermesso ha quota di legittima di un quarto calcolato su [relictum – debiti] + donazioni fatte in vita; se il relictum è 100, in assenza di debiti e donazioni anteriori la quota ereditaria di legittima del figlio pretermesso, ottenuta per sentenza o accordo negoziale, è 25 ed egli prende in divisione beni per tale valore; il debito della fideiussione, poi escussa, ammonta es. a 60; tale debito per un quarto (15) grava su tale figlio, in quanto erede; il valore netto della sua porzione di beni ereditari è quindi 10, che corrisponde a un quarto dell’asse netto (relictum – debito) di 40.

[5] Esempio: sempre coniuge e due figli e nomina nel testamento come unici eredi di coniuge e un figlio; l’altro figlio pretermesso ha sempre quota di legittima di un quarto; se il relictum è 75 e il figlio pretermesso ha ricevuto donazioni per 25, egli non ha diritto ad agire per la reintegrazione della propria quota di legittima, già soddisfatta con le donazioni; il debito della fideiussione, poi escussa, ammonta a 60 e grava sugli eredi (il coniuge e l’altro figlio), ma non su tale figlio pretermesso; quindi a seguito del debito sopravvenuto la rettifica del calcolo comporta che a coniuge e figli spetta la quota di legittima di un quarto ciascuno (che ora va calcolata su 75-60+25=40) pari a 10, come pure la quota disponibile è pari a 10; ma il netto attribuito a coniuge e figlio nominati eredi nel testamento (calcolato su 75-60=15) è 7,5 ciascuno; pertanto essi hanno diritto di agire in riduzione contro le donazioni ricevute dal figlio pretermesso (valore 25) nel limite di 7,5 ciascuno (così il figlio donatario, pretermesso nel testamento, restituisce 15 e consegue con le donazioni 10, pari alla propria quota di legittima a alla quota disponibile).

[6] Cfr. TULLIO, L’azione di riduzione. L’imputazione ex se, in A.V., La successione legittima, cit.

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