Contro la sentenza di condanna al risarcimento dei danni per violazione dei doveri di controllo e vigilanza pronunciata dalla Corte d’appello di Palermo, i sindaci di una società cooperativa a r.l. proponevano ricorso per Cassazione sostenendo che, stante la successione in carica di due collegi sindacali nel periodo oggetto di causa, ciascuno di questi potesse rispondere «soltanto delle omissioni relative alla sua durata in carica, restando esclusa una responsabilità per il periodo successivo del primo e per quello antecedente il secondo».
La S.C. evidenzia in primo luogo i presupposti della c.d. responsabilità concorrente dei sindaci ai sensi dell’art. 2407, comma 2°, cod. civ.: i) la commissione di un atto di mala gestio da parte degli amministratori; ii) il nesso eziologico tra tale atto ed un danno a carico della società o dei creditori sociali; iii) la mancata vigilanza dei sindaci sull’operato degli amministratori, in violazione dei loro doveri di legge; iv) la derivazione di un danno da tale omessa o inadeguata vigilanza.
La Corte chiarisce in particolare che, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei membri del collegio sindacale ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio dell’organo amministrativo, il giudice deve verificare che i sindaci, «riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto».
I sindaci non rispondono dunque in via automatica per qualsiasi fatto dannoso, ma soltanto ove risulti che il regolare svolgimento della loro attività di controllo avrebbe impedito o limitato il danno, dovendosi peraltro esigere, ai fini dell’esonero da responsabilità, che essi abbiano tempestivamente «esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge».
La Cassazione esclude dunque, in primo luogo, che la circostanza che i sindaci siano stati nominati successivamente alla commissione dei fatti illeciti sia di per sé sufficiente ai fini del suddetto esonero dalla responsabilità, «in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio» (cfr. Cass. n. 31204/2017).
Quanto alla responsabilità dei membri del collegio precedente, la Suprema Corte chiarisce infine che «le dimissioni non costituiscono mai condotta di adempimento del dovere, né sufficiente ad esimere da responsabilità, quando a ciò non [siano] accompagnati anche concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata» (cfr. Cass. n. 18770/2019).
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