Con decisione dell’08 ottobre 2015, n. 7854, il Collegio di Coordinamento dell’ABF ha preso posizione sulla fondamentale questione dell’applicabilità temporale del divieto di anatocismo di cui all’art. 120, comma 2, del TUB, come modificato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Come noto, tale norma ha demandato al CICR il compito di definire “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni di conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Riprendendo espressamente il ragionamento svolto dal Collegio, la legge 27 dicembre 2013, n. 147, vietando l’anatocismo, non ha fatto altro che “normativizzare” un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (ancorchè non condiviso da parte della dottrina). Del resto, la lettera della norma, al di là di alcune oscurità, depone chiaramente nel senso di imporre, con effetto immediato, il divieto di anatocismo
La interpretazione abrogatrice della novella emerge con evidenza dal confronto tra l’incipit del previgente comma 2 dell’art.120 del TUB, che demandava al CICR di stabilire modalità e criteri per la “produzione di interessi sugli interessi” (vale a dire di disciplinare sul piano tecnico l’anatocismo nelle operazioni bancarie) e l’incipit del nuovo comma 2 introdotto dall’art.1, comma 629, della legge n.147/2013 che, in sostituzione della precedente disposizione, demanda al CICR di stabilire modalità e criteri per “la produzione di interessi” (semplici), e non più per la produzione di interessi sugli interessi (i c.d. interessi composti o secondari che sostanziano il fenomeno dell’anatocismo).
La evidenza della descritta vicenda abrogativa, già desumibile dal dato testuale della legge di stabilità 2014, trova ulteriore riscontro da un lato nella espressa motivazione dell’intervento legislativo, emergente dalla chiara dichiarazione di intenti dei suoi proponenti di “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore” (cfr. Relazione alla proposta di legge n.1661 del 2013, condivisa ora dalla Banca d’Italia nel c.d. “Documento per la consultazione”, laddove afferma che l’intenzione del legislatore era di “stabilire l’improduttività degli interessi composti”), e dall’altro dal successivo tentativo, poi abortito, di ripristinare l’anatocismo bancario, portato avanti con la scrittura dell’art. 31 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (non convertito in legge), laddove, con altrettanta consapevolezza (implicante una sorta di interpretazione autentica della legge di stabilità 27.12.2013, n.147) il legislatore aveva previsto con parallelo incipit di demandare al CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi”.
Si tratta dunque di un classico caso di abrogazione di una disposizione di legge da parte di una disposizione successiva avente pari valore gerarchico (art.15 delle preleggi), nel quale l’interpretazione abrogatrice, già desumibile dal dato testuale, trova puntuale conforto logico nel principio di incompatibilità (non contraddizione) e nel criterio ermeneutico storico – evolutivo.
Da qui, conclude il Collegio, la conseguenza che, se dall’1 gennaio 2014 è caduta la riserva di anatocismo bancario, i relativi effetti hanno cominciato a prodursi contestualmente alla data di entrata in vigore della legge che l’ha determinata.