In tema di accertamento sintetico, qualora l’Agenzia delle Entrate abbia dimostrato la divergenza tra il reddito dichiarato dal contribuente e quello maggiore sinteticamente determinato, spetta al contribuente stesso l’onere di provare, tramite idonea documentazione, che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
Nella fattispecie in esame, un contribuente persona fisica impugnava due avvisi di accertamento in materia di IRPEF, per gli anni d’imposta 2007 e 2008, emessi ai sensi dell’art. 38, co. 4 e ss. del d.P.R. n. 600/1973, eccependo l’avvenuta regolarizzazione di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 13-bis d.l. primo luglio 2009 n. 78), i cui importi, nel quantum, risultavano capienti rispetto al maggior imponibile accertato sinteticamente.
A seguito del rigetto del ricorso del contribuente, quest’ultimo ricorreva con successo in appello.
In particolare, nelle more del giudizio di primo grado, l’Ufficio, con un ulteriore atto, al quale prestava acquiescenza il contribuente, contestava la violazione degli obblighi di monitoraggio di cui all’articolo 4, d.l. 28 giugno 1990 n. 167, in ragione della mancata comunicazione, nella dichiarazione dei redditi, di somme di denaro depositate presso un istituto bancario in Svizzera.
Al riguardo, la CTR sosteneva che l’acquiescenza da parte del contribuente fosse sufficiente a giustificare la maggiore capacità di spesa accertata sinteticamente, che sarebbe dunque derivata dalle giacenze liquide non comunicate su conti esteri, ancorché a lui non formalmente intestati.
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione che lo accoglieva, cassando la decisione d’appello in quanto in essa il giudice di seconde cure non aveva chiarito il collegamento tra gli avvisi originariamente impugnati ed il successivo provvedimento, che la CTR asseriva essere stato pagato dal contribuente, e che avrebbe giustificato l’accoglimento delle doglianze di quest’ultimo.
A seguito di riassunzione, la CTR, in sede di rinvio, accoglieva l’appello del contribuente, ritenendo che, sebbene le maggiori disponibilità del contribuente non potessero essere ricondotte ai capitali esteri regolarizzati, , dagli atti di causa emergesse in ogni caso che questi avesse a disposizione su conti esteri rilevanti somme che giustificavano il tenore di vita e di spesa contestato dall’Ufficio.
Pertanto, l’Amministrazione finanziaria presentava ricorso per Cassazione deducendo, con unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 38, comma sesto, del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, laddove la sentenza impugnata escludeva che l’onere gravante sul contribuente avrebbe dovuto includere la prova che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, a nulla rilevando la mera disponibilità di conti esteri in tal senso.
Tale conclusione veniva condivisa dal Collegio di Legittimità adito che, con la pronuncia in questione, accoglieva il ricorso presentato dall’Ufficio.
In primo luogo, la Suprema Corte evidenziava che, secondo la versione vigente, all’epoca dello spirare dei termini di presentazione della dichiarazione, dell’art. 38, co. 6 del d.P.R. n. 600/1973, il contribuente aveva facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente fosse costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso dovevano risultare da idonea documentazione.
Ciò premesso, a parere dei giudici di legittimità, in tema di accertamento sintetico, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia dimostrato la divergenza tra il reddito risultante attraverso la documentazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo ha l’onere di provare che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi (Cass. nn. 6770/2019; 16625/2018; 13602/2018; 21142/2016; 25104/2014; 6396/2014).
Nel caso di specie, l’onere della prova, gravante ex lege sul contribuente, includeva necessariamente la dimostrazione documentale che le somme da questi allegate per giustificare la divergenza tra il reddito dichiarato e quello maggiore sinteticamente determinato – ossia il denaro depositato su conti bancari accesi in Svizzera e prelevato in contanti dallo stesso contribuente – provenissero, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti.
Il contribuente si era invece, limitato a sostenere che l’Ufficio avrebbe dovuto prendere in considerazione, al fine di giustificare i maggiori redditi accertati, quelli derivanti dai patrimoni detenuti all’estero.
La sentenza emessa dal giudice del rinvio, pertanto, non si è conformata al contenuto dell’onere probatorio derivante dal richiamato art. 38, co. 6, e dai precedenti giurisprudenziali citati.
In altri termini, la CTR aveva erroneamente ritenuto che la verifica dell’assolvimento dell’onere probatorio gravante sul contribuente potesse esaurirsi nella constatazione che quest’ultimo disponeva di somme idonee a giustificare la maggior capacità contributiva in quanto aveva dimostrato di potere attingere, su conti esteri, a rilevanti somme che, tramite regolari prelievi in contanti, risultavano coerenti con il tenore di vita e di spesa contestato dall’Ufficio.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate e cassava la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR.