Nel caso in esame, la Suprema Corte ha ritenuto che, in caso di chiusura della procedura con l’omologazione del concordato fallimentare proposto da un terzo, il compenso del Curatore debba essere liquidato ai sensi dell’art. 2, comma 2, del D.M. 30/2012, ossia considerando l’ammontare complessivo di quanto viene attribuito ai creditori con il concordato fallimentare, atteso che l’assunzione del concordato determina una lievitazione dell’attivo accertato in misura corrispondente all’onere concordatario.
La Suprema Corte ha fondato la sua decisione sul principio di diritto secondo cui “in caso di chiusura concordatizia del fallimento, posto che la liquidazione è essenzialmente (o almeno in parte) opera di un terzo (cioè soggetto diverso dal curatore) ovvero superata dai pagamenti o comunque dal trattamento riservato ai creditori proprio dal proponente il concordato, il regime descritto pone un tetto alla stessa discrezionalità liquidatoria, collocandola all’altezza di un calcolo ancora sull’attivo, ma riferito all’effettiva percezione di utilità conseguita dai creditori (così in motivazione Cass., Sez. I, 31/05/2021, n. 15168)”.