In caso di adempimento o fatturazione anticipata, la registrazione di note di credito da parte del cessionario o committente è idonea a neutralizzare la detrazione IVA precedentemente operata, in quanto crea un debito di imposta pari alla detrazione.
Infatti, il meccanismo di variazione dell’imponibile mira ad aumentare la precisione delle detrazioni, in modo da assicurare il principio di neutralità dell’imposta, per cui operazioni anteriori fanno sorgere un diritto alla detrazione nei limiti in cui servono a fornire prestazioni soggette ad IVA.
Con la sentenza n. 14716/2021, depositata il 27 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la censura di una società contribuente, che denunciava la violazione del principio di neutralità IVA a seguito del disconoscimento del diritto alla detrazione da parte del giudice di appello.
I fatti di causa traevano origine da alcuni rilievi IVA e IRES (IRPEG, all’epoca dei fatti) che l’Agenzia delle entrate aveva rivolto ad una società.
Tra le varie contestazioni, in materia di IVA, in sede di accertamento l’Ufficio aveva sostenuto l’indetraibilità dell’Imposta sul Valore Aggiunto per duplicazione del diritto alla detrazione, relativamente a fatture emesse nei confronti della contribuente, da parte di alcune sue controllate, per future vendite e prestazioni, che in un secondo momento venivano nuovamente fatturate a margine dell’effettiva fornitura dei beni e l’effettuazione delle prestazioni.
Rispetto alla ritenuta doppia detrazione a causa della duplice fatturazione, la società contribuente aveva ottenuto l’annullamento dell’avviso di accertamento con il ricorso in primo grado dinnanzi alla C.T.P.
Tuttavia, la ricorrente era risultata soccombente con riferimento ad altri profili di merito e aveva proposto impugnazione avverso la sentenza alla C.T.R. per il Lazio, che, lato suo, aveva invece rigettato l’appello principale, accogliendo quello incidentale presentato dall’Ufficio.
Nelle proprie osservazioni sul tema, il giudice di seconde cure rilevava come il diritto alla detrazione IVA fosse limitato alle imposte corrispondenti a una operazione effettivamente rientrante nel campo di applicazione dell’imposta, non estendendosi a quella dovuta per il solo fatto di essere esposta in fattura.
Nella ricostruzione operata dal giudice di appello, quindi, l’Agenzia aveva correttamente recuperato a tassazione l’IVA detratta sugli acconti fatturati relativamente alle operazioni ancora da realizzarsi.
La società ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della C.T.R. affidandosi a ben dieci motivi, cinque dei quali, per quanto di interesse, vengono esaminati congiuntamente dalla Suprema Corte in quanto relativi alla medesima censura riguardante l’indebita detrazione IVA.
In primo luogo, la società lamenta la violazione del principio di neutralità IVA (i.e. violazione degli artt. 6, comma 4, 19 e 26 del D.P.R. 633/1972).
In tal senso, la società si duole della erronea ricostruzione della vicenda da parte del giudice di seconde cure, in quanto, se è vero che le due società collegate emettevano fattura nei suoi confronti, prima per cessioni da compiere e prestazioni (di trasporto) da eseguire, poi, nuovamente, dopo il compimento delle cessioni e l’esecuzione delle prestazioni, senza stornare quanto inizialmente fatturato, avevano comunque proceduto con emissione di note di credito in annullamento.
Ancora, la C.T.R. si era limitata ad affermare che le operazioni di effettiva cessione ed esecuzione dei servizi – successive rispetto alla fatturazione (anticipata) degli acconti – non rientrassero nel campo di applicazione dell’IVA, difettando completamente di esaminare la rilevanza delle successive note di credito, idonee ad annullare gli effetti della detrazione operata sulla prima fatturazione.
Di conseguenza, secondo la ricorrente, l’Ufficio nei propri rilievi non farebbe altro che richiedere il versamento della medesima IVA già versata dalle controllate, in violazione del divieto di doppia imposizione (artt. 163 del D.P.R. 917/1986 e 67 del D.P.R. 600/1973), in quanto l’imposta inizialmente detratta era stata registrata debito a seguito della ricezione delle note di credito.
Come terzo motivo, la contribuente lamenta nuovamente – questa volta prendendo come riferimento la direttiva relativa al sistema comune di IVA (2006/112/CE, artt. 167 e 179, para. 1) – la violazione del principio di neutralità del tributo, laddove il giudice di secondo grado puniva, attraverso la indetraibilità, lo spostamento “in avanti” del debito di imposta operato mediante la fatturazione e successivo storno.
Il quarto e il quinto motivo, invece, riguardano rispettivamente l’omessa motivazione sul fatto (decisivo) della registrazione delle note di credito da parte della contribuente, con conseguente – come detto – annullamento del vantaggio conseguito e l’insufficienza della motivazione su tale fatto.
Nel ritenere la censura fondata, la Cassazione ricostruisce il presupposto impositivo dell’IVA richiamando alcune decisioni adottate a Sezioni Unite (Sent. Cass. SS. UU. nn. 8059/2016; 25658/2018; e 12468/2019).
In particolare, il fatto generatore dell’imposta, i.e. il momento di effettuazione della operazione imponibile, deve essere distinto da quello di esigibilità del tributo.
Infatti, seppure spesso i due momenti coincidano, è il momento di effettuazione a determinare la nascita del presupposto impositivo e la rilevanza della prestazione ai fini IVA.
Fa eccezione alla predetta regola il pagamento del corrispettivo (in tutto o in parte, si pensi al versamento di un acconto) o la fatturazione anticipata.
In questi casi, l’IVA diventa esigibile anche qualora l’operazione (cessione o prestazione) non sia stata effettuata, limitatamente all’importo pagato o fatturato (art. 65 della direttiva IVA e già citato art. 6, comma 4 del D.P.R. 633/1972), purché tutti gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti al committente/acquirente e l’operazione sembri certa (Cass. nn. 10606/2015; 1961/2020; 29859/2020).
Se i citati presupposti sono sussistenti, è legittima la detrazione dell’imposta derivante da fatture anticipate.
Infatti, nel proprio ricorso, la ricorrente obietta come la registrazione di note di credito, aventi come oggetto l’importo delle fatture anticipate, fosse idonea a neutralizzare la detrazione operata in precedenza.
In tale caso, ricorda la Corte, si viene a creare un debito pari alla detrazione, senza, quindi, avere diritto ad essa (Cass. nn. 27698/2013 e 25896/2020).
Più precisamente, nel proprio ragionamento, la Cassazione richiama la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, per cui il meccanismo della variazione dell’imponibile è parte integrante del sistema di detrazione dell’IVA, perché mira ad aumentare la precisione delle detrazioni così da assicurare la neutralità dell’imposta, in modo che le operazioni effettuate allo stadio anteriore continuino ad originare il diritto di detrazione soltanto nei limiti in cui servano a fornire prestazioni soggette a tale imposta.
Tale meccanismo persegue, quindi, l’obiettivo di stabilire una relazione stretta e diretta tra il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte e l’impiego dei beni o dei servizi di cui trattasi per operazioni soggette ad imposta a valle (Corte di Giustizia, C-107/13, FIRIN OOD, punto 50).
La stessa Corte di Giustizia, infatti, ricorda come sia compito dei giudici nazionali quello di negare il beneficio alla detrazione laddove lo stesso sia espressione di uno sfruttamento abusivo o fraudolento delle norme unionali in tema di IVA da parte del contribuente, in ottica di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale.