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Codice della crisi: la nuova transazione fiscale nel concordato preventivo

31 Maggio 2022

Giulio Andreani, Of Counsel, PwC TLS

Angelo Tubelli, PwC TLS

Di cosa si parla in questo articolo

La disciplina della transazione fiscale attuabile nel concordato preventivo, recata dai primi quattro commi dell’art. 182-ter della legge fallimentare, è stata trasfusa nell’art. 88 del Codice della crisi e dell’insolvenza (“CCII” o “Codice”), ma, in particolare a seguito delle modifiche che dovrebbero essere apportate a tale norma dallo schema del decreto legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, le due disposizioni presenteranno differenze non marginali. Una riguarda la formulazione del comma 2-bis di tale norma, ai sensi del quale il “tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”; l’altra concerne l’incipit del citato articolo 88, in base al quale le disposizioni in esso previste si applicano “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, ………..”.

1. Il trattamento “non deteriore” o “conveniente” previsto dai commi 2 e 2-bis dell’art. 88.

Quanto alla prima differenza, l’ultima parte del comma 2-bis dell’art. 88 del Codice prevede che il “tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 109, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”: ai fini della omologazione forzosa è quindi richiesto che il trattamento dei crediti tributari e contributivi deve essere sia conveniente, sia “non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria”, mentre l’art. 182bis della legge fallimentare richiede al medesimo fine la sola convenienza del soddisfacimento offerto.

Inoltre, il comma 2 del medesimo art. 88 stabilisce che “L’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”.

Sebbene l’inserimento del presupposto del criterio del trattamento non deteriore in entrambe le disposizioni sia previsto dallo schema di decreto legislativo recante le modifiche al Codice in attuazione della direttiva (UE) 2019/1023 e sebbene il contenuto dell’attestazione del professionista indipendente sia chiaramente strumentale al provvedimento che il tribunale deve adottare con riguardo alla cosiddetta “omologazione forzosa”, esse presentano delle diversità, poiché:

  • per quanto concerne l’attestazione, è previsto che la valutazione della proposta in base al criterio del trattamento non deteriore rileva solo per il concordato in continuità, ma non viene precisato rispetto a quale parametro il carattere deteriore del trattamento oggetto della proposta vada rilevato, potendo esso essere alternativamente rappresentato (i) dal trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari e contributivi oppure (ii) dal trattamento spettante a questi ultimi in caso di liquidazione giudiziale (analogamente a quanto previsto per valutare la convenienza della proposta);
  • sempre per quanto concerne l’attestazione, non è precisato se con riguardo al concordato in continuità rileva sia il criterio della convenienza sia quello del trattamento non deteriore oppure solo quest’ultimo criterio rilevando quello della convenienza soltanto per il concordato liquidatorio;
  • per quanto concerne l’omologazione forzosa, viene stabilito che il presupposto del trattamento non deteriore dei crediti tributari e contributivi va valutato rispetto al trattamento a essi spettante in caso di liquidazione giudiziale, analogamente a quanto previsto per il criterio della convenienza (da usare in alternativa, giusta l’utilizzo della locuzione “o”), ma non viene precisato se tale criterio valga solo per il concordato in continuità, rilevando quello della convenienza solo per il concordato liquidatorio, oppure se entrambi i criteri rilevano per tutte e due le due tipologie di concordato e, in questo caso, se devono essere impiegati congiuntamente o alternativamente e, in quest’ultima ipotesi, quali siano le regole da applicare per stabilire il criterio da utilizzare.

Purtroppo, per sciogliere questo groviglio di disposizioni la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo non solo non si rivela di alcun ausilio, ma è addirittura fuorviante, perché vi si afferma che la nuova formulazione dell’art. 88 è diretta a recepire, “come fatto per l’articolo 63 sugli accordi di ristrutturazione, la disposizione dell’attuale articolo 48, comma 5, sull’omologazione anche in assenza di adesione dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie”, quando invece il comma 5 dell’art. 48 della legge fallimentare non fa in alcun modo riferimento al trattamento non deteriore, così come il nuovo comma 2-bis dell’art. 63, inserito nel Codice dal medesimo schema di decreto legislativo per disciplinare il cram down fiscale relativamente alla transazione fiscale attuata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.

Con riferimento al contenuto dell’attestazione, le disposizioni recate dall’art. 88 del Codice sono suscettibili di quattro diverse interpretazioni:

  • l’attestatore deve valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è conveniente per i creditori pubblici e al tempo stesso non deteriore, cioè almeno pari al trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari e contributivi;
  • l’attestatore deve valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è conveniente per i creditori pubblici e al tempo stesso non deteriore, cioè almeno pari al trattamento che gli stessi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
  • l’attestatore deve valutare solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è non deteriore, cioè almeno pari al trattamento riservato ai crediti postergati a quelli tributari o erariali;
  • l’attestatore deve valutare solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, è non deteriore, cioè almeno pari al trattamento che gli stessi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.

Con riferimento all’omologazione forzosa, le disposizioni recate dall’art. 88 (nel testo anteriore alle modifiche che dovrebbero essere apportate dal decreto sopra richiamato) appaiono suscettibili delle quattro diverse interpretazioni di seguito indicate:

  1. presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità come in quello liquidatorio, sia per i creditori pubblici conveniente o (alternativamente) non deteriore rispetto a quello che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
  2. presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia conveniente per i creditori pubblici o non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia conveniente rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
  3. presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia conveniente per i creditori pubblici o non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia non deteriore rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale;
  4. presupposto per l’omologazione forzosa è che il trattamento dei crediti tributari e contributivi, nel concordato in continuità, sia non deteriore rispetto a quello che i creditori pubblici riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale, ovvero, nel concordato liquidatorio, sia conveniente per i creditori pubblici rispetto a quello che tali creditori riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale.

Orbene, per districarsi in questo intricato intreccio normativo appare opportuno partire dalla considerazione che il presupposto del trattamento non deteriore viene introdotto simultaneamente con riguardo sia all’oggetto dell’attestazione, nel comma 2 dell’art. 88, sia all’omologazione forzosa, nel comma 2-bis del medesimo articolo, in merito alla quale (omologazione forzosa) il parametro di raffronto (tanto della convenienza quanto della non deteriorità) è rappresentato unicamente dal trattamento che verrebbe riservato ai creditori pubblici in caso di liquidazione giudiziale. Inoltre, il divieto di trattamento deteriore dei creditori pubblici rispetto a quello dei creditori postergati è imposto dal comma 1 dell’art. 88, quale requisito di ammissibilità della proposta di transazione, il cui rispetto va accertato già in fase di apertura della procedura.

Per quanto concerne l’omologazione forzosa, il comma 2-bis non opera alcun distinguo, ma si limita a prevedere che, ricorrendo gli altri presupposti a tal fine richiesti, il tribunale omologa la proposta se per i creditori pubblici essa è conveniente o non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale. Pertanto, l’interpretazione più aderente alla lettera della norma potrebbe sembrare quella indicata sub a), secondo cui occorre valutare se il trattamento dei crediti tributari e contributivi, tanto nel concordato in continuità quanto quello liquidatorio, sia conveniente per i creditori pubblici rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale o sia (alternativamente) non deteriore.

Resta peraltro da chiedersi quale sia la differenza fra un trattamento dei crediti tributari e contributivi “conveniente rispetto alla liquidazione giudiziale” e un trattamento “non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale”, atteso che tali espressioni potrebbero essere sostanzialmente equivalenti, considerando che un trattamento può essere non deteriore rispetto un altro in quanto è a esso esattamente equivalente, mentre un trattamento conveniente implica che esso sia migliore e non paritetico rispetto a un altro, ma la differenza fra le due espressioni potrebbe essere costituita semplicemente da un euro o da poche migliaia di euro con riguardo a debiti di rilevante ammontare.

Giova richiamare al riguardo la Direttiva (UE) 2014/59, relativa alle c.d. “procedure di bail in”, nonché la Direttiva (UE) 2019/1023. La prima direttiva invero fa riferimento al criterio noto come “no creditor worse off than liquidation” (o “no creditor worse off than in insolvency[1]), per cui nessun creditore può subire perdite maggiori di quelle che avrebbe subito secondo una normale procedura di insolvenza. Allo stesso modo la seconda direttiva, in presenza di creditori dissenzienti, richiede l’effettuazione del “best interests of creditors test” (o “verifica del miglior soddisfacimento dei creditori”), che impone di verificare se questi soggetti riceverebbero, al valore attuale (“present value”), quanto avrebbero ricevuto se il debitore avesse optato per la soluzione liquidatoria. In entrambi i provvedimenti il trattamento proposto al creditore non deve essere peggiore di quello che spetterebbe a tale creditore in caso di liquidazione, che dunque costituisce una sorta di benchmark[2] o di “punto di indifferenza” sotto cui viene così meno ogni interesse a prendere in considerazione l’intesa negoziale. Entrambi i criteri sono attuativi del principio in base al quale il creditore dissenziente non può essere obbligato a subire un trattamento peggiorativo rispetto a quello che gli sarebbe riservato in caso di liquidazione del debitore.

Pertanto, il criterio del trattamento non deteriore deve intendersi come il criterio in base al quale il trattamento proposto al creditore dissenziente è quello che in termini satisfattivi è almeno pari (ovverosia è equivalente) al trattamento che spetterebbe al creditore pubblico in caso di liquidazione giudiziale. Esso non coincide quindi con il criterio del trattamento conveniente, il quale dovrebbe prevedere un trattamento migliorativo, ovverosia richiedere la presenza di un quid pluris, di un elemento ulteriore che (sempre in termini satisfattivi) comporti una differenza rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, in quanto foriero di una maggiore utilità ovvero di un vantaggio non altrimenti ottenibile, tale da favorire e giustificare l’interesse ad accettare la proposta e raggiungere così l’intesa negoziale.

In sostanza il miglior trattamento offerto deve essere tale da giustificare, sotto il profilo della convenienza economica, la decisione di approvare la transazione fiscale, potendo in tal modo l’Erario godere di un vantaggio economico concreto.

Più precisamente, le ragioni dell’integrazione (concernente la non deteriorità della proposta di transazione) inserita nel comma 2-bis dell’art. 88 (rispetto all’omologa previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 48) potrebbero essere da ricercare nel complesso delle disposizioni disciplinanti il concordato in continuità aziendale, essendo sufficiente, con riguardo al concordato liquidatorio, quelle già presenti, che facevano riferimento alla convenienza. In altri termini, al pari dell’incipit inserito nel comma 1 dell’art. 88 (di cui si dirà infra), anche l’adeguamento della disposizione sul cram down fiscale sembrerebbe riconducibile all’esigenza di “circoscriverne la portata in ragione della nuova disciplina del concordato preventivo in continuità”, come rilevato nella relazione che sta accompagnando l’iter di approvazione dello schema di decreto legislativo destinato a dare attuazione alla Direttiva (UE) 2019/1023. Inoltre, se è vero che il comma 5 dell’art. 84 del Codice prescrive – in generale – la regola del trattamento non deteriore per i crediti privilegiati anche con riguardo al concordato liquidatorio, è altrettanto vero che il comma 4, nello stabilire che la proposta deve prevedere “un apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10 per cento l’attivo disponibile al momento della presentazione della domanda”, finisce comunque per imporre un quid pluris rispetto alla liquidazione giudiziale.

Per questi motivi l’interpretazione più corretta, in quanto frutto della interconnessione delle due previsioni normative, sembra essere quella secondo cui ai fini dell’omologazione forzosa è necessario e sufficiente: (i) nel concordato in continuità, che il trattamento dei crediti tributari e contributivi sia non deteriore rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale; (ii) nel concordato liquidatorio, che il trattamento dei creditori pubblici sia conveniente rispetto a quello che essi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale. Ciò non tanto perché nel concordato liquidatorio il tribunale si troverebbe a dover valutare il requisito del trattamento non deteriore in assenza di una valutazione dell’attestatore in merito (non richiesta dalla norma), atteso che un trattamento conveniente (qual è quello che deve essere attestato nel concordato liquidatorio) è necessariamente anche non deteriore; ciò per altri due motivi: a) perché tale interpretazione è l’unica coerente con il principio della maggior convenienza del concordato liquidatorio rispetto alla liquidazione desumibile dal citato comma 4 dell’art. 84 del Codice (maggior convenienza discendente dall’apporto di risorse esterne imposto da detta norma); b) perché tale interpretazione è l’unica che rispetta l’interrelazione che sotto il profilo logico deve necessariamente sussistere tra il disposto del comma 2 e quello del comma 2-bis del citato art. 88, essendo il primo strumentale rispetto al secondo.

Questa interpretazione potrebbe sembrare ostacolata dal fatto che nel comma 2 dell’art. 88 viene utilizzata la congiunzione “e”, per il che l’interpretazione più aderente alla lettera della norma dovrebbe essere quella sopra indicata sub 2), secondo cui nel concordato in continuità l’attestatore deve accertare che il trattamento dei crediti tributari e contributivi sia al tempo stesso conveniente per i creditori pubblici e non deteriore rispetto al trattamento che questi riceverebbero in caso di liquidazione giudiziale. Tuttavia, ciò sarebbe vero se tale norma così recitasse: “L’attestazione del professionista indipendente, relativa ai crediti tributari e contributivi, ha ad oggetto anche la convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale e inoltre, nel concordato in continuità aziendale, la sussistenza di un trattamento non deteriore”. L’avverbio “inoltre” però manca, come manca, alternativamente, la particella aggiuntiva “anche” dopo la parola “aziendale”. Si intende dire che la congiunzione “e” sta semplicemente a disporre che nel concordato non qualificato (tipicamente quello liquidatorio) è necessario attestare la convenienza del trattamento e che in quello in continuità è necessario (e sufficiente) attestare la non deteriorità del trattamento.

In conclusione, l’assetto normativo ricostruito in base alle considerazioni che precedono è il seguente:

  • nel concordato liquidatorio, l’attestatore deve accertare solo la convenienza del trattamento dei crediti tributari rispetto alla liquidazione e la omologazione forzosa è disposta dal tribunale (anche sulla scorta dell’attestazione) se la proposta di soddisfacimento di tali crediti è conveniente per i creditori pubblici rispetto alla liquidazione dell’impresa debitrice;
  • nel concordato in continuità, l’attestatore deve accertare solo che il trattamento dei crediti tributari è non deteriore rispetto alla liquidazione e la omologazione forzosa è disposta dal tribunale (anche sulla scorta dell’attestazione) se la proposta di soddisfacimento di tali crediti è non deteriore al soddisfacimento che tali crediti riceverebbero a seguito della liquidazione dell’impresa.

Così stando le cose, la novità normativa parrebbe essere diretta a legittimare l’approvazione della proposta transattiva nel concordato liquidatorio solo se il trattamento dei crediti tributari e contributivi è effettivamente, e non solo nominalmente, conveniente per i creditori pubblici rispetto alla liquidazione giudiziale. E, sulla base di tale lettura della norma, la differenza fra le due previsioni, una relativa al concordato liquidatorio e l’altra riguardante il concordato in continuità, appare giustificata dai vantaggi generali che questa seconda forma di concordato produce rispetto alla soluzione liquidatoria.

Dei principi sopra esposti devono tenere conto anche l’Agenzia delle Entrate e gli enti di previdenza e assistenza, posto che i presupposti dell’omologazione forzosa sopra indicati indicano anche il “grado di soddisfacimento” che tali soggetti devono considerare ai fini dell’approvazione e del rigetto delle proposte di transazione fiscale e contributiva: approvandole quando il soddisfacimento proposto è conveniente, se la domanda di transazione è formulata nel concordato liquidatorio, o quando il soddisfacimento è non deteriore, se la proposta è formulata nel concordato in continuità, e rigettandole nel caso opposto.

Infatti, nella maggior parte dei casi una proposta non deteriore è anche conveniente per i creditori, perché è difficile che il soddisfacimento da essa previsto (inteso anche in senso sostanziale e non nominale) sia proprio coincidente con quello consentito dalla liquidazione e, se non è deteriore né coincidente, non può che essere migliore di quest’ultimo; in questi casi, quindi, i suddetti creditori pubblici, in base al principio di buon andamento della Pubblica amministrazione statuito dall’art. 97 della Costituzione, sono tenuti ad approvare la proposta di transazione, perché ne traggono un vantaggio altrimenti non conseguibile. Tuttavia, fermo restando che quando il trattamento offerto è deteriore rispetto a quello derivante dalla liquidazione dell’impresa la proposta deve essere rigettata, con riguardo al caso in cui tale coincidenza (intesa in senso sostanziale e non nominale) tra proposta e liquidazione dovesse sussistere, vi è da domandarsi che motivo avrebbero tali creditori di approvare una proposta il cui accoglimento, producendo effetti sostanzialmente analoghi a quelli discendenti dalla liquidazione, si rivelerebbe privo di vantaggi per l’Erario rispetto a quelli generati da quest’ultima soluzione. In questa circostanza è da ritenersi che la non deteriorità del soddisfacimento offerto, pur essendo sufficiente ai fini della omologazione forzosa da parte del tribunale, non basti per imporre l’approvazione della proposta all’Agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali e assistenziali, i quali, nell’ambito del concordato in continuità saranno invece tenuti ad accogliere la domanda di transazione ove il suddetto soddisfacimento, oltre che non deteriore, sia anche conveniente; fermo restando che, nel caso in cui la proposta non venisse approvata, il tribunale dovrebbe omologarla semplicemente in quanto preveda un trattamento non deteriore, ancorché non conveniente, per l’Erario.

2. L’incipit dell’art. 88, comma 1.

Quanto alla seconda delle differenze fra il testo dell’art. 182-ter della legge fallimentare e quello del corrispondente art. 88 del Codice, rimane anche in quest’ultima norma l’obbligo di presentare all’Agenzia delle Entrate una proposta di transazione fiscale per poter soddisfare parzialmente e/o in forma dilazionata i crediti tributari. Tuttavia, rispetto al comma 1 dell’art. 182-ter L. fall., il comma 1 dell’art. 88 del Codice, nella versione risultante dalle modifiche previste nello schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva (UE) 2019/1023, contiene una novità, rappresentata dall’inserimento della locuzione iniziale “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2, ……….”, il cui significato si presenta (almeno in prima battuta) abbastanza oscuro; né si rivela di particolare ausilio la relazione illustrativa del suddetto provvedimento normativo, la quale si limita ad affermare che l’incipit del comma 1 dell’art. 88 è stato inserito “per circoscriverne la portata in ragione della nuova disciplina del concordato in continuità”.

Occorre al riguardo rammentare che l’attuale formulazione dell’art. 112 del CCII si limita a disciplinare soltanto alcuni aspetti particolari del giudizio di omologazione, continuando ad attribuire al tribunale (in analogia a quanto previsto dalla legge fallimentare) il potere di omologare il concordato nonostante il dissenso di una parte dei creditori, nel caso in cui essi possano ottenere dall’esecuzione del concordato un soddisfacimento non inferiore a quello che otterrebbero accedendo all’alternativa procedura di liquidazione giudiziale; viene infatti previsto che, se vi è contestazione in ordine alla convenienza della proposta da parte di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente oppure se la contestazione proviene da creditori dissenzienti che rappresentano almeno il venti per cento dell’ammontare complessivo dei crediti ammessi al voto, “il tribunale può omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale”.

Con le modifiche previste nel suddetto schema di decreto legislativo, l’articolo 112 risulta radicalmente sostituito, venendo precisato al comma 1 il contenuto delle verifiche che il tribunale è tenuto a compiere ai fini del giudizio di omologazione, a seconda che il concordato sia in continuità aziendale o meno. Nel comma 2 di tale articolo sono invece inserite le regole che disciplinano la omologazione forzosa nel caso della cosiddetta “ristrutturazione trasversale” (“cross class cram down”) prevista dall’art. 11, paragrafo 1, lettere a) e b) della citata Direttiva, le quali consentono il cram down nel concordato in continuità aziendale, solo a patto che, oltre ad altre condizioni, ricorra quella dell’espressione di un voto favorevole da parte della maggioranza delle singole classi (in caso di mancato ottenimento del voto favorevole di tutte le classi richiesto, come regola generale, dal comma 1, lett. f), del medesimo art. 112 ).

Per effetto di tali modifiche, infatti, il testo del comma 2 del nuovo art. 112 è destinato a diventare il seguente:

Nel concordato in continuità aziendale, se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale, su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti, omologa altresì se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

  1. il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;
  2. il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall’articolo 84, comma 7;
  3. nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;
  4. la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione”.

Si tratta dunque di una serie di presupposti che, se soddisfatti congiuntamente, consentono al tribunale di omologare il concordato con continuità aziendale anche in caso di dissenso manifestato da parte di una o più classi, in deroga alla regola generale sancita dal comma 1 del medesimo art. 112: tra i presupposti richiesti risaltano quelli indicati alla lett. a) e alla lett. b), secondo cui il valore di liquidazione deve essere distribuito nel rispetto delle cause legittime di prelazione (applicando la regola della priorità assoluta) e il valore eccedente quello di liquidazione deve essere distribuito, seppur derogando a tale regola, in modo da rispettare quella della priorità relativa, che consente di pagare un creditore sebbene quelli di grado poziore non siano stati soddisfatti in maniera integrale ma ricevano semplicemente un trattamento più favorevole.

Ciò posto, con riguardo all’art. 88, in base a una prima lettura l’incipit di tale norma (“Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall’articolo 112, comma 2”) potrebbe essere inteso nel senso che le norme disciplinanti la transazione fiscale trovano applicazione solo per il concordato liquidatorio, ma non nell’ambito del concordato con continuità aziendale, al quale – per effetto del suddetto incipit – si applicherebbero esclusivamente le norme recate dal citato art. 112, comma 2. La medesima restrizione dovrebbe in ipotesi valere quindi anche per le disposizioni dettate relativamente al cram down fiscale dal comma 2-bis del medesimo art. 88, che permette al tribunale (ricorrendone i presupposti) di omologare la proposta concordataria anche in mancanza di adesione (espressa o tacita) del creditore pubblico. Peraltro il citato comma 2-bis attribuisce tale potere al tribunale quando la mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui al comma 1 dell’art. 109 (in base al quale il concordato è approvato con il voto favorevole che rappresenta la maggioranza dei crediti ammessi al voto), senza fare alcun riferimento al successivo comma 5 del medesimo art. 109, che con riguardo al concordato con continuità aziendale ne prevede l’approvazione se tutte le classi votano a favore. Dunque, il richiamo al solo comma 1 – e non anche al comma 5 – dell’art. 109, da parte del comma 2-bis dell’art. 88, potrebbe essere inteso come conferma del fatto che per il concordato in continuità rilevino unicamente le previsioni contenute nel comma 2 dell’art. 112, consentendo esse di per sé la omologazione del concordato anche se vi sono delle classi dissenzienti e permettendone quindi la omologazione anche se le classi relative ai crediti fiscali e contributive sono dissenzienti.

Questa prima lettura, tuttavia, non si rivela corretta, perché, in forza della norma da ultimo citata, il tribunale può omologare il concordato in continuità aziendale anche ove una o più classi abbiano espresso il loro dissenso rispetto alla proposta di concordato, se ricorrono talune condizioni, tra le quali rientra anche quella per cui la proposta di concordato deve essere stata approvata dalla maggioranza delle classi. Pertanto, nel caso in cui la proposta non fosse approvata dalla maggioranza dei creditori a causa della mancata adesione dei creditori pubblici, l’omologazione risulterebbe preclusa laddove dal campo di applicazione del comma 2-bis dell’art. 88 dovesse ritenersi escluso tout court il concordato in continuità aziendale.

Questa interpretazione appare contraria alle finalità che hanno indotto il legislatore a introdurre il cram down fiscale e ciò la rende non coerente con altre disposizioni che disciplineranno il concordato. Inoltre, se il legislatore avesse voluto escludere l’applicazione della transazione fiscale al concordato con continuità aziendale, sarebbe stato assai più semplice delimitare l’ambito applicativo di tale istituto al concordato liquidatorio, senza necessità, per giungere a tale conclusione, di richiamare le disposizioni dettate dal comma 2 dell’art. 112 relativamente al giudizio di omologazione.

Va dunque ricercata una diversa interpretazione dell’incipit aggiunto al comma 1 dell’art. 88, che privilegi la coerenza e la sistematicità di tale disposizione rispetto alle altre norme del Codice. Questa diversa interpretazione è quella che si ottiene se si attribuisce a tale incipit lo scopo di affermare l’applicazione delle norme recate dal comma 2 dell’art. 112 del Codice in aggiunta a (anziché in sostituzione di) quelle dell’art. 88 che regolamentano la transazione fiscale. Sulla base di questa diversa interpretazione, pertanto, mentre nel concordato non in continuità gli effetti previsti dall’art. 88 – falcidia e dilazione dei debiti fiscali – si producono secondo le regole generali, in quello in continuità essi si generano soltanto se si verificano anche gli ulteriori presupposti previsti dal comma 2 dell’art. 112. Di conseguenza, nel concordato in continuità il voto espressamente favorevole del Fisco non è di per sé sufficiente, perché ai fini della omologazione della proposta (in caso di mancata approvazione della domanda di concordato da parte di tutte le classi, come discende dal terzo periodo del comma 5 dell’art. 109) occorre anche il rispetto delle ulteriori condizioni poste dal comma 2 dell’art. 112, tra le quali quella che richiede la necessaria approvazione della proposta di concordato da parte della maggioranza delle classi.

Nel formulare la proposta di trattamento dei debiti tributari (e contributivi) in caso di concordato preventivo con continuità aziendale, perciò, il debitore resta tenuto (a pena di inammissibilità della stessa) a rispettare i vincoli sanciti dal comma 1 dell’art. 88, mentre in sede di omologazione le regole statuite nel comma 2 dell’art. 112 in tema di cross class cram down si affiancano (integrandole, e non sostituendole) a quelle contenute nel comma 2-bis dell’art. 88 in tema di cram down fiscale, con la conseguenza che:

  • in caso di mancato voto favorevole di tutte le classi a causa del dissenso (non “determinante”) del Fisco ed eventualmente di altri creditori, il tribunale omologa comunque la proposta concordataria se questa viene approvata dalla maggioranza delle classi e ricorrono gli altri presupposti richiesti dal comma 2 dell’art. 112, senza dover dar corso al cram down fiscale, che risulta in tal caso inutile e non attuabile, non essendo l’adesione del Fisco “determinante”;
  • in caso di mancato raggiungimento del voto favorevole da parte della maggioranza delle classi a causa del dissenso “determinante” del Fisco, il tribunale omologa la proposta concordataria mediante il cram down fiscale previsto dal comma 2-bis dell’art. 88, se ne sussistono i presupposti, e ai sensi del comma 2 dell’art. 112, se ricorrono congiuntamente le condizioni ivi previste.

Questa interpretazione ha il pregio di non privare di significato l’incipit del comma 1 dell’art. 88 e di rispettare al tempo stesso la ratio del comma 2-bis del medesimo articolo, risultando coerente con quanto affermato sul punto nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo e con le altre disposizioni del Codice.

 

[1] Così si è espressa la Banca Centrale Europea – Eurosistema, Parere relativo al risanamento e alla risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (CON/2015/35), 16 ottobre 2015, par. 3.7.1.

[2] Utilizza questa espressione F. Rolfi, “Notarelle sugli accordi i ristrutturazione agevolati e ad efficacia estesa nel codice della crisi d’impresa”, in blog.ilcaso.it.

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Angelo Tubelli, PwC TLS

La disciplina della transazione fiscale attuabile nel concordato preventivo, recata dai primi quattro commi dell’art. 182-ter della legge fallimentare, è stata trasfusa nell’art. 88 del Codice della crisi e dell’insolvenza (“CCII” o “Codice”)
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