Con sentenza n. 27023 del 13luglio 2022, la Cassazione Penale si è espressa in materia di autoriciclaggio mediante l’utilizzo di criptovalute.
Nel caso di specie, il ricorrente provvedeva a trasferire immediatamente le somme oggetto di truffa non appena accreditate – senza mai riscuoterle – attraverso disposizioni on line in favore di un conto estero per il successivo acquisto di valuta virtuale, realizzando così un investimento dei profitti illeciti in operazioni di natura finanziaria, idonee a ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione dell’origine delittuosa del denaro.
La moneta virtuale, sottolinea la Cassazione deve essere inclusa nell’ambito degli strumenti finanziari e speculativi ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 c.p. (Autoriciclaggio).
Sul punto, continua la Cassazione, l’indicazione normativa prevista dall’articolo 648 ter.1 c.p. delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, non rappresenta un elenco formale delle attività suddette, bensì è volta ad identificare delle macro aree, tutte legate all’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente contaminazione del tessuto economico, nel quale, vengono introdotti denaro o altre utilità derivanti da delitto e delle quali il reo vuole ostacolare il riconoscimento della loro provenienza delittuosa.
Possono essere ricondotte nell’ambito della categoria di “attività speculativa” anche le valute virtuali o criptovalute, che dir si voglia, che possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento (cfr. V direttiva UE antiriciclaggio 2018/843).
Come sottolineato in dottrina, la configurazione del sistema di acquisto di bitcoin, e più in generale di criptovalute, si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto, indipendentemente dalle registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger, è possibile garantire un elevato grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito.
Inoltre, continua la Cassazione con un inciso, è oramai noto il vasto numero di criptovalute utilizzate nel darkweb, proprio per le loro peculiari caratteristiche di anonimato sia in relazione all’acquirente sia in relazione all’oggetto delle compravendite.