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Attualità

Sulla natura dei versamenti in conto capitale

26 Luglio 2022

Stefano Montalbetti, DLA Piper

Di cosa si parla in questo articolo

La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione[1] si è di recente pronunciata in merito alla natura dei versamenti in conto capitale (o in conto patrimonio), ossia quei versamenti effettuati da un socio che aumentano la consistenza del patrimonio netto della società, senza essere imputati a capitale sociale.

Nel caso di specie, il GIP del Tribunale di Bologna aveva emesso un provvedimento con il quale era stato disposto il sequestro preventivo di una somma di denaro, oggetto di operazione di giroconto, per la quale l’autore della stessa era indagato, tra l’altro, dei reati di cui all’art. 646 c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11 (capo 1) e 648-ter.1 c.p.. A seguito dell’annullamento del decreto di sequestro limitatamente ad una sola delle fattispecie di reato, l’indagato adiva la Suprema Corte lamentando, tra l’altro, che i versamenti oggetto di contestazione, rientrando nella tipologia delle riserve in conto capitale, erano chiaramente distribuibili in presenza di una deliberazione dell’assemblea ordinaria che ne disponesse la distribuzione.

I giudici della Corte di Cassazione, dopo aver chiarito i profili caratteristici dei versamenti in conto capitale e i diritti spettanti a coloro che tali somme hanno versato, accoglievano il ricorso imponendo al Tribunale del riesame di valutare che, a fronte dell’insussistenza di ostacoli alla distribuzione (da rinvenire, in particolare, nel raggiunto livello di saturazione della riserva legale), nulla avrebbe impedito di effettuare la stessa in presenza di una deliberazione assembleare in tal senso.

La natura dei versamenti in conto capitale e le riserve c.d. “targate”

I versamenti in conto capitale, come affermato dalla stessa pronuncia analizzata, sono quei versamenti che aumentano il patrimonio netto della società senza andare a incrementare il valore nominale del capitale sociale. Sarebbero soggetti, secondo interpretazioni prevalenti, alla stessa disciplina della riserva sovrapprezzo (art. 2431 c.c.), con la fondamentale differenza che, una volta effettuati, darebbero origine a una “riserva targata” o “personalizzata”, di esclusiva pertinenza del soggetto che ha apportato tali somme e in proporzione alle stesse[2].

Ne consegue pertanto che, essendo apporti di capitale di rischio, i soci eroganti potranno chiederne la restituzione solo in caso di scioglimento della società e, ovviamente, nei limiti del residuo attivo derivante dalla fase di liquidazione, fermo restando che, durante societate, raggiunti i requisiti di legge con riferimento all’importo da destinare a riserva legale, tramite delibera dell’assemblea ordinaria potranno essere distribuiti tra i soci in misura corrispondente a quanto da ciascuno versato[3].

La “targa” o “personalizzazione[4] della riserva risiede nel legame tra il versamento che ha dato origine a tale riserva e il soggetto che lo ha effettuato. Si tratterebbe quindi di una riserva che deroga alle proporzioni del contratto sociale, evitando che tali somme si confondano con l’intero patrimonio sociale[5].

La presenza di una “targa” nella riserva permette altresì di distinguere il versamento in conto capitale dal versamento a fondo perduto (o a copertura perdite). Mentre, infatti, il primo dà diritto alla creazione di una riserva non proporzionale e di pertinenza del soggetto che ha effettuato il versamento, il secondo si confonde con il patrimonio sociale ed è destinato ad essere utilizzato per la copertura di perdite già verificatesi o per eventuali perdite future, senza che il soggetto erogante possa vantare alcuna pretesa preferenziale su detta posta. I versamenti a fondo perduto, infatti, una volta acquisiti dalla società, rappresentano poste di netto attribuibili a tutti i soci indistintamente, indipendentemente dalla proporzionalità o meno del loro conferimento.

Oltre alla questione relativa alla distribuibilità della riserva formata tramite versamenti in conto capitale, due tematiche che hanno interrogato gli interpreti attengono alle modalità di utilizzo di tale riserva in caso di aumento del capitale sociale e a copertura delle perdite. Per quanto concerne il primo aspetto, trattandosi di un aumento di capitale gratuito ai sensi dell’art. 2442 c.c., il secondo comma di tale disposizione imporrebbe che le azioni di nuova emissione siano assegnate agli azionisti “in proporzione di quelle da essi già possedute. La giurisprudenza ha già in passato affermato come tali somme possano essere impiegate per aumenti gratuiti del capitale con conseguente attribuzione a tutti i soci delle azioni di nuova emissione[6]. La posta di netto perderebbe, di fatto, la “targa” in caso di aumento di capitale, consentendo a tutti i soci indistintamente di beneficiare delle azioni di nuova emissione. Si tratterebbe, infatti, non di anticipi effettuati in vista di un aumento di capitale sociale a pagamento, ma vere e proprie poste di patrimonio netto – seppur originate da apporti effettuati in maniera non proporzionale – da poter anche essere allocate a capitale sociale se questa è la volontà dei soci. Residuerebbe, tuttavia, la facoltà per l’assemblea di esprimersi a favore di un’assegnazione non proporzionale in caso di approvazione di un aumento gratuito del capitale sociale[7]. E’ doveroso segnalare che autorevoli posizioni dottrinali ritengono non applicabile il disposto dell’art. 2442 c.c., in quanto non garantirebbe il mantenimento di quella personalizzazione che evidentemente era nell’intento del socio al momento dell’effettuazione dell’apporto[8]. Il problema può, comunque, essere risolto a monte tramite una manifestazione del consenso ad opera dei soggetti coinvolti che non crei dubbi sulle modalità di assegnazione delle nuove azioni.

Con riferimento all’utilizzo delle poste in esame a copertura di eventuali perdite sociali, l’opinione prevalente è nel senso di ritenere che tutte le riserve devono poter essere impiegate a copertura di perdite con la precisazione che la “targa” influisce sull’ordine di priorità nella ripartizione delle perdite, esponendo la riserva in esame ad eventuale erosione solo dopo che tutte le altre riserve di spettanza comune, inclusa la riserva legale, siano state interamente utilizzate[9]. Vi è semmai da domandarsi se, a seguito di erosione della riserva targata, sia previsto un qualche obbligo da parte degli amministratori di ricostituire la stessa con utili successivamente conseguiti, una volta ricostituita la riserva legale. E’ stato tuttavia sostenuto che un obbligo di procedere in tal senso, oltre a non avere alcun fondamento normativo, penalizzerebbe la futura redditività della società, senza apportare alcuna tutela alle ragioni dei creditori sociali[10].

Distinzione tra le diverse tipologie di apporti fuori capitale

Il principio contabile OIC 28, tra le riserve che sorgono in occasione di apporti dei soci, oltre ai “versamenti in conto capitale” e ai “versamenti a copertura perdite” (oggetto di analisi nel paragrafo precedente), individua anche i “versamenti in conto aumento di capitale” e i “versamenti in conto futuro aumento di capitale”[11].

I “versamenti in conto futuro aumento di capitale” sono quei versamenti effettuati prima che la delibera di aumento di capitale sia stata approvata, con l’espressa volontà di anticipare alla società gli importi da utilizzare per il futuro aumento di capitale, mentre ci si riferisce generalmente a “versamenti in conto aumento di capitale” laddove la delibera di aumento di capitale sia già stata presa, ma non vi sia ancora stata data esecuzione.

I versamenti in conto aumento (e futuro aumento di capitale) sarebbero da intendersi come apporti risolutivamente condizionati alla mancata esecuzione o deliberazione dell’operazione di aumento di capitale[12]. Diversamente dai generici apporti in conto capitale, saremmo pertanto di fronte a un preciso nesso causale tra il versamento e il successivo aumento di capitale, per il quale, da un punto di vista pratico, è consigliabile prevedere una data ultima ai fini della sua deliberazione o esecuzione.

La restituzione di quanto versato, in difetto di perfezionamento dell’operazione di aumento del capitale, porterebbe a ritenere che tali apporti, aventi la forma giuridica e la sostanza di un acconto sul prezzo di emissione delle future azioni, siano iscritti tra i debiti della società[13]. Tuttavia la posizione più recente della giurisprudenza di legittimità, confermata da alcuni illustri autori, è di ritenere che tali apporti diano luogo alla formazione di capitale di rischio e debbano, pertanto, essere iscritti tra le poste del netto, in quanto non sembra sussistente una funzione di credito analoga a quella presente nell’ipotesi di finanziamento soci o di mutuo[14].

In ogni caso, in aggiunta all’offerta di sottoscrivere un futuro aumento di capitale, il socio potrà altresì impegnarsi in maniera esplicita a non chiedere il rimborso del versamento e a consentire che tale apporto possa essere impiegato a copertura di perdite. In tal caso, il modo più corretto di rappresentare contabilmente tale apporto sarebbe quello di iscriverlo tra le poste del patrimonio netto, in quanto l’intento del soggetto erogante sarebbe non solo quello di anticipare delle somme in vista di un aumento di capitale, ma altresì quello di patrimonializzare fin da subito la società[15]. In aggiunta, se la riserva è specifica e “legata” nel suo utilizzo alla volontà del socio che ha effettuato il versamento non si ravvisano criticità a riconoscerne la “normale targatura”. L’aumento di capitale sarà pertanto a pagamento e soggetto alla disciplina di cui all’art. 2441 c.c., la quale prevede che le azioni di nuova emissione dovranno essere offerte in opzione anche agli altri soci in proporzione alle loro partecipazioni, salvo che sussistano le ragioni per escludere il diritto di opzione, da rappresentare nel relativo “pacchetto informativo” previsto dalla norma citata.

Criteri per stabilire la natura del versamento effettuato

Al fine di stabilire la natura dell’operazione, l’orientamento ormai consolidato a livello giurisprudenziale propende per dare rilevanza alla volontà negoziale delle parti e alle finalità perseguite con il versamento erogato. Non sarebbe quindi sufficiente il riferimento alle scritture contabili ma è necessario indagare gli interessi sottostanti l’operazione e la causa dell’apporto[16].

Le scritture contabili avrebbero quindi un valore probatorio residuale, da utilizzare laddove l’interprete non abbia a disposizione chiari indici rivelatori della volontà delle parti. Restando, ben inteso, che le stesse possono costituire un utile elemento a supporto dell’attività dell’interprete. Il bilancio, infatti, rappresenta pur sempre un documento contabile oggetto di approvazione da parte dei soci e, quindi, quanto meno può rilevare in termini di comportamento posteriore alla conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1362 c.c.[17]. Le risultanze del bilancio o del libro giornale non possono comunque assumere valenza decisiva, né valore confessorio[18]. Esse rimangono quindi liberamente valutabili dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento[19].

 

[1] Cass., 23 giugno 2022 (udienza 13 aprile 2022), n. 24313.

[2] Cfr., ex multis, Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, in Riv. Notariato, 2009, 4, 1058.

[3] Cfr., ex multis, Cass., 23 febbraio 2012, n. 2758, in Giur. comm., 2012, 6, II, 1213; Cass., 30 marzo 2007, n. 7980, in Notariato, 2007, 6, 617; Cass., 31 marzo 2006, n. 7692, in Impresa, 2006, 10, 1557.

[4] Termine utilizzato per la prima volta con successo da G.B. Portale, Appunti in tema di “Versamenti in conto futuri aumenti di capitaleeseguiti da un solo socio, in Banca borsa, 1995, I 96.

[5] L. Tronci, Le riserve “targate” tra diritto e ragioneria, in Rivista delle Società, 6, 2012, 1124 ss.

[6] Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, cit..

[7] Cfr. M. Maugeri, Versamenti dei soci, in Enc. giur. Sole 24 ore, XXVI, Milano, 2008.

[8] Cfr. M.S. Spolidoro, Riserve Targate, in Liber Amicorum di P. Abbadessa, Società, Banche e Crisi d’impresa, II, Torino, 2014, 1344-1345, il quale afferma che dovrà trattarsi di un aumento di capitale a pagamento, con offerta in opzione ai soci delle azioni di nuova emissione, a cui verrà data esecuzione tramite imputazione a capitale dei versamenti già effettuati da alcuni soci e mediante nuovi versamenti da parte di coloro che avranno diritto alla sottoscrizione dell’aumento di capitale. Sul punto, anche G.B. Portale, op. cit., 100.

[9] M.S. Spolidoro, op. cit., 1346; G.B. Portale, op. cit., 96; G.E. Colombo, Il bilancio di esercizio e consolidato, in Trattato Colombo-Portale, VII, Torino, 1994, 511, nota 80; L. Tronci, op. cit., 1158.

[10] M.S. Spolidoro, op. cit., 1347.

[11] E’ bene ricordare che tali denominazioni non sono presenti in alcuna disposizione normativa. Esse sono, infatti, il frutto di elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali che si trovano ora riflesse nel principio contabile OIC 28, il quale tuttavia si limita a darne una definizione succinta.

[12] Cfr. Cass., 19 marzo 1996, n. 2314, in Riv. dir. comm., 1996, II, 329.

[13] M.S. Spolidoro, I Conferimenti in denaro, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo – G.B. Portale, 1, 2, Torino, 2004, 403-410. Tra gli autori favorevoli all’appostazione di siffatti apporti tra i debiti della società, si veda L. Tronci, op. cit., 1141-1142, che rifiuta la nozione “nobile” di patrimonio netto (sostenuta da diversi autori che propendono per l’inserimento della posta tra le riserve del patrimonio netto) assecondando, invece, il rispetto del principio di prudenza nella redazione del bilancio; A. Busani, I versamenti e i finanziamenti dei soci, Le operazioni sul capitale, Paradigma, Milano, 26 giugno 2007, 18 ss.; N. Abriani, Versamenti effettuati da un singolo azionista per un futuro aumento di capitale e partecipazione alle perdite (parere pro-veritate), in Riv. dir. impr., 2006, 361 ss.; C.A. Busi, Versamenti e finanziamenti dei soci nelle operazioni notarili, in Notariato, 2000, 360.

[14] Cfr. Cass. Ord., 16 novembre 2021, n. 34503, in CED Cassazione, 2021, secondo cui i versamenti finalizzati a un aumento di capitale sono da iscrivere a riserva in quanto “una funzione oggettiva di credito è da escludere, visto che essi, ove l’aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre, ove l’aumento non intervenga, vanno si restituiti, ma non perché eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perché la fattispecie in effetti programmata – l’aumento di capitale – non si è perfezionata”; Cass., 3 dicembre 2018, n. 31186, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2019, 2, 269, la quale enfatizza la provvisorietà dell’apporto che dipende dalla realizzazione dell’operazione di aumento di capitale, distinguendosi in maniera netta dalla funzione di credito ravvisabile nella diversa ipotesi di finanziamento soci o mutuo; Cass. 13 agosto 2008, n. 21563, in Gius. civ. mass., 2008, 9, 1300.; si veda anche F. Magliulo, La natura dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, in Il nuovo diritto delle società, 2013, 20, 27 ss.; M. Bione, Note sparse in tema di finanziamento dei soci, in Il diritto delle società oggi, Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da P. Benazzo – M. Cera – S. Patriarca, Torino, 2011, 39.

[15] M.S. Spolidoro, Imputazione a capitale dei versamenti in conto futuro aumento di capitale, commento a Trib. Palermo, 10 agosto 2021, in Società, 2022, 5, 185 ss..

[16] Cfr., ex multis, Cass. Ord., 19 febbraio 2020, n. 4261, con nota di L. Palombo, Finanziamenti soci e versamenti in conto capitale – La rilevanza probatoria delle scritture contabili, in Giur. it., 2020, 11, 2489; Cass., 27 giugno 2017, n. 15950, in www.dejure.it; Cass., 3 dicembre 2014, n. 25585, con nota di D. Scano, La Cassazione ritorna sui criteri da adottare per la qualificazione dei versamenti dei soci, in Giur. comm., 2016, 3, 591; Cass., 23 febbraio 2012, n. 2758, con nota di D. Rufini, Finanziamenti dei soci a favore della società e mancati interventi del legislatore, in Giur. comm., 2012, 6, II, 1218.

[17] Cfr. Cass., 8 giugno 2018, n. 15035, in Giust. civ. mass., 2018; Cass., 23 marzo 2017, n. 7471, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2017, 4, 577; Cass., 31 marzo 2006, n. 7692, cit.; G.F. Campobasso, I finanziamenti dei soci, Torino, 2004, 119.

[18] Cass., 20 aprile 2020, n. 7919, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 2020, 3, 440.

[19] App. Milano, 29 luglio 2003, in Gius., 2004, 115.

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