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La fiscalità nella reportistica di sostenibilità

27 Luglio 2022

Marco Lio, Tax Partner, PwC TLS

Di cosa si parla in questo articolo

Un’estesa e compiuta rappresentazione della propria fiscalità, nella reportistica di sostenibilità, rappresenta per le imprese non tanto l’adempimento ad un articolato quadro normativo, in cui sembrano oggi affastellarsi sempre nuovi tasselli: dichiarare quale sia il proprio modello di governance della variabile fiscale e dettagliare il contributo fornito, in termini di imposte, nei Paesi dove si opera, è un’opportunità necessaria per le imprese che vogliano dimostrare al mercato, agli investitori e alle banche di essere un’impresa sostenibile. Sottrarsi alla pubblicazione dei dati fiscali – soluzione di corto raggio forse oggi ancora percorribile – può rivelarsi una miopia nella strategia di comunicazione di sostenibilità.

Nowadays, an extensive and comprehensive representation of taxation, in the sustainability reporting, today is for companies an opportunity that goes beyond the merely compliance with a complex regulatory framework, where new rules seem to be introduced all the time: declaring tax governance model and specifying in detail the contribution made, in terms of taxes, to the countries in which the company operates, is a crucial step for companies that wish to illustrate their sustainability to the market, investors and banks. Avoiding the publication of tax data – a short-range solution that is perhaps still viable today – can be a stumbling block in the communication path of sustainability.


1. Jeff Bezos e il Principe di Condè

Non sappiamo se, come il principe di Condè prima della battaglia di Rocroi, anche Jeff Bezos e il suo entourage abbiano dormito profondamente, nella notte che precedeva l’assemblea dei soci di Amazon del 25 maggio 2022: probabilmente come il principe francese – e a differenza di don Abbondio dopo la visita dei bravi – i vertici del gigante a stelle e strisce avevano anch’essi già date tutte le disposizioni necessarie per la mattina dopo.

A dicembre 2021, i Missionari Oblati di Maria Immacolata avevano bussato alla porta di Amazon. La congregazione è un piccolo azionista del colosso americano e chiedeva trasparenza a riguardo di (se e) dove la più grande società di commercio elettronico paghi le imposte nel mondo: l’investitore presentava così al Consiglio di Amministrazione di Amazon istanza per inserire all’ordine del giorno dell’assemblea annuale, un apposito punto per portare alla decisione dei soci la pubblicazione di un tax transparency report, in cui rappresentare le informazioni sulle imposte dovute dal gruppo e ripartite Paese per Paese, in conformità alle indicazioni dello standard GRI 207.

Ne è nata una battaglia legale, che ha portato sino all’autorità di vigilanza del mercato borsistico americano (Securities and Exchange Commission – SEC): il Consiglio di Amministrazione di Amazon riteneva, infatti, la richiesta del piccolo azionista un tema di gestione ordinaria, riservato al Board e dunque sottratto all’ingerenza di soci. La SEC non è stata della stessa opinione e ha prescritto che il punto fosse trattato nell’assemblea soci[1].

L’esito della vicenda è scontato: su raccomandazione del Consiglio di Amministrazione di votare contro la proposta dei Missionari[2], l’assemblea dei soci non ha approvato la richiesta di trasparenza[3].

Mentre altre multinazionali come Microsoft e Cisco stanno ricevendo analoghe richieste da parte degli azionisti di pubblicare le informazioni sulle imposte pagate[4], è dubbio che l’importanza di questo scontro vinto da Amazon possa essere comparata alle sorti della battaglia che, a Rocroi, mise fine alla Guerra dei Trent’anni: i manager del gruppo americano e altri loro pari dovranno, a breve, fare i conti non con la piccola Congregazione che ha fatto poco più che il solletico al colosso statunitense, ma con altre istanze di trasparenza che nasceranno dagli ulteriori sviluppi normativi a riguardo dell’informativa sulla fiscalità e, più in generale, dalla necessità di confrontarsi con i rating di sostenibilità delle imprese che, tra gli altri indicatori, hanno messo nel mirino anche la gestione delle tasse.

2. Dal quadro normativo europeo attuale alle nuove frontiere della disclosure fiscale

2.1 La Non Financial Reporting Directive e lo standard GRI 207

Nel contesto europeo, la Non Financial Reporting Directive (NFRD)[5], per gli esercizi finanziari che hanno inizio dal 1° gennaio 2017, ha introdotto l’obbligo di predisporre una comunicazione di informazioni di carattere non finanziario.

La normativa si applica alle imprese di grandi dimensioni (secondo il lessico del legislatore europeo)[6] che costituiscono enti di interesse pubblico – ovvero banche, assicurazioni e società quotate[7] – e che presentino un numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio pari a 500.

L’obbligo di informativa riguarda, quantomeno, i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva: nella declinazione dei contenuti della reportistica, la normativa europea non ha definito regole di dettaglio, consentendo alle imprese di adottare gli standard di rendicontazione emanati da autorevoli organismi sovranazionali, internazionali o nazionali, di natura pubblica o privata, specificando lo standard seguito, salvo poter anche sviluppare una metodologia autonoma di rendicontazione[8].

Lo standard setter più seguito dalle imprese europee tenute agli obblighi di non financial reporting è il Global Reporting Initiative (GRI)[9]. I Missionari soci di Amazon chiedevano alla società americana la pubblicazione di un tax transparency report in linea con il GRI 207: si tratta di uno specifico standard che, dalle comunicazioni per l’esercizio 2020, prescrive alle imprese la pubblicazione di informazioni sulla fiscalità[10].

Oltre alla rappresentazione dell’approccio adottato nella gestione della fiscalità (GRI 207-1), della governance e del modello di controllo dei rischi fiscali (GRI 207-2) e della modalità di relazione con gli stakeholders aziendali, tra i quali l’autorità fiscale (GRI 207-3), lo standard GRI 207 richiede – per quanto di particolare interesse della Congregazione degli Oblati – la rendicontazione delle informazioni fiscalmente rilevanti, Paese per Paese, per ogni giurisdizione dove l’impresa opera (GRI 207-4)[11].

Con la reportistica da GRI 207-4, l’impresa fornisce, distintamente per ogni giurisdizione fiscale in cui le entità incluse nel bilancio consolidato sono residenti ai fini fiscali, una serie di dati, tra cui in particolare:

  • Ricavi (distinguendo quelli verso terze parti e quelli infragruppo);
  • Utile (perdita) ante imposte;
  • Imposte sul reddito versate sulla base del principio di cassa;
  • Imposte sul reddito maturate sull’utile (perdita);
  • Attività materiali;
  • Numero dei dipendenti.

2.2 La proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive

Nel dare seguito agli obiettivi di crescita sostenibile fissati nell’Agenda 2030 condivisa in ambito Nazioni Unite[12], la Commissione europea ha dotato l’Unione di un Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile[13]. Garantire la trasparenza delle imprese sulle questioni di sostenibilità è una delle direttrici del piano, nella ferma convinzione di chi l’ha promosso che le informazioni al mercato siano fondamentali per assicurare le altre due linee di azione: orientare i flussi finanziari verso gli investimenti sostenibili e gestire i rischi sottesi alla sostenibilità. In altri termini, gli investitori convergeranno su imprese sostenibili, se saranno messi in condizione di comprendere i rischi e le opportunità delle tematiche di sostenibilità a riguardo dei loro investimenti e gli effetti di questi ultimi sugli obiettivi di sostenibilità promossi.

In questo quadro, l’azione 9 del Piano d’azione mira a rafforzare la comunicazione in materia di sostenibilità, pervenendo a un quadro maggiormente standardizzato di reporting non finanziario[14]. In attuazione del mandato contenuto nell’azione 9, il 21 aprile 2021 la Commissione europea ha presentato la proposta di Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)[15].

Due sono le principali linee di intervento della proposta di CSRD sul quadro normativo comunitario del reporting non finanziario: i) ampliare significativamente il relativo perimetro di applicazione; ii) adottare uno standard europeo di comunicazione. Sotto il primo profilo: secondo le stime della Commissione, si passerebbe da 11.700 imprese obbligate a 49.000[16], andando a includere, dal 2025, tutte le imprese di grandi dimensioni, anche non quotate, e, a decorrere dal 1° gennaio 2026, le imprese di medie e piccole dimensioni, solo se quotate[17]. Con l’ambizione di definire uno standard unionale, la proposta di CSRD intende pervenire ad un set di princìpi in materia di informativa sulla sostenibilità per imporne l’uso, a decorrere dal 2023, da parte della platea di imprese soggette agli obblighi di non financial reporting, come peraltro ampliata dalla stessa CSRD.

In particolare, quanto al secondo aspetto, la proposta di CSRD delega la Commissione europea a definire le informazioni che le imprese devono comunicare a riguardo dei fattori ambientali, sociali e di governance: il trifoglio ESG dovrà quindi essere integralmente coperto dalle indicazioni del framework europeo[18].

Al Gruppo consultivo europeo sull’informativa finanziaria (European Financial Reporting Advisory GroupEFRAG) – che nell’attuale quadro normativo fornisce consulenza alla Commissione europea a riguardo dell’omologazione dei principi internazionali d’informativa finanziaria, elaborati dall’International Accounting Standards Board (IASB) – è stato assegnato il compito di definire gli standard europei di comunicazione di sostenibilità[19]. Il 30 aprile 2022, il gruppo di lavoro dell’EFRAG ha messo in pubblica consultazione, aperta sino all’8 agosto 2022, le prime bozze per la successiva definizione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS)[20].

A riguardo, nella CSRD un mandato ben preciso è stato assegnato alla Commissione ed all’EFRAG: coordinare gli standard unionali con iniziative di normazione a livello internazionale in materia di informativa di sostenibilità e con principi e quadri esistenti[21]. L’esigenza sentita dalle imprese (aspiranti target di investimenti sostenibili) e degli investitori (in cerca di target sostenibili in cui investire) – ed emersa con evidenza nei lavori preparatori che hanno preceduto la proposta di CSRD[22] – è di avere un quadro quanto più possibile armonizzato di principi di informativa[23].

Agendo nella direzione della convergenza con quelli che la stessa CSRD definisce come i più diffusi standard globali di reportistica non finanziaria, il gruppo di lavoro costituito dall’EFRAG per la predisposizione della bozza di standard europei di informativa di sostenibilità ha siglato, l’8 luglio 2021, un accordo di collaborazione proprio con il GRI[24]. L’aspettativa – e l’ambizione dell’iniziativa nomofilattica europea – è quella di avere un corpus di principi di comunicazione di sostenibilità che faccia propri i punti di approdo assicurati dalle best practice internazionali, prime fra tutte quelle del GRI e tra queste anche il set informativo che alcuni soci stanno chiedendo ad Amazon, Microsoft e Cisco di applicare in un apposito tax transparency report: la ripartizione, Paese per Paese, di imposte pagate, imposte maturate, profitti (o perdite) ante imposte, ricavi, asset materiali e dipendenti, secondo le linee definite dal GRI 207-4.

Se verrà recepita all’interno dello standard europeo previsto dalla CSRD, la rendicontazione Paese per Paese della fiscalità avrà uno spettro di applicazione molto più ampio dell’attuale GRI 207-4. Come si è visto, la proposta di direttiva allarga significativamente il perimetro degli obblighi di comunicazione non finanziaria, includendo tutte le imprese di grandi dimensioni, ovvero quelle che superino due tra i tre indicatori: 40 milioni di euro di ricavi, 20 milioni di euro di attivi, 250 dipendenti. E dal 2026, se quotate, anche le imprese di minori dimensioni. A ciò si aggiunga che, mentre il GRI è uno standard volontario – e ve ne sono altri, che ad oggi non prevedono la rendicontazione della fiscalità, tipo GRI 207-4 – quello previsto dalla CSRD sarà obbligatorio.

2.3 Gli IFRS Sustainability Disclosure Standards

Tra le iniziative internazionali, cui la redazione degli standard europei intende guardare, si distingue la costituzione, annunciata dalla Fondazione IFRS alla COP 26[25] di ottobre 2021, di un nuovo organismo di normazione in materia di sostenibilità: l’International Sustainability Standards Board (ISSB). Al set degli IFRS Accounting Standards, elaborati dall’International Accounting Standards Board (IASB), si aggiungeranno dunque gli IFRS Sustainability Disclosure Standards predisposti dall’ISSB. Il 31 marzo 2022, l’ISSB ha rilasciato per una consultazione pubblica che si chiuderà il 29 luglio prossimo, la bozza dei primi due standard[26].

Con la già richiamata ambizione di garantire un processo di convergenza globale nella scrittura delle regole di reporting di sostenibilità, a beneficio delle imprese e degli investitori, nella CSRD si trova espressamente annunciato l’auspicio che i princìpi dell’Unione europea tengano conto anche dei princìpi di informativa sulla sostenibilità elaborati sotto l’egida della Fondazione IFRS[27]. La volontà del legislatore europeo di tenere conto dei lavori del ISSB, oltre che già inserita nella proposta di CSRD, è riscontrata anche dalle prime bozze di standard europei, messe in consultazione pubblica dall’EFRAG ad aprile 2022, tra cui trova posto, tra l’altro, una specifica tabella di raccordo tra i primi draft di IFRS Sustainability Disclosure Standards e gli European Sustainability Reporting Standards[28].

Come l’EFRAG, anche la Fondazione IFRS ha sottoscritto un accordo di collaborazione con il GRI, il 24 marzo 2022, con l’obiettivo di allineare e coordinare le regole di rendicontazione che saranno elaborate dallo ISSB con le best practice internazionali rappresentate dai GRI standard[29].

Secondo quanto già riscontrato nel processo di definizione degli standard europei da parte dell’EFRAG, così anche per gli standard globali che saranno adottati dall’ISSB il quadro di riferimento, per le imprese, potrà portare a convergere verso la necessità di una rappresentazione della fiscalità, Paese per Paese, oggi inclusa nel contesto del GRI 207-4, nonché della modalità di gestione della fiscalità, secondo lo standard GRI 207 nelle parti 1-3.

3. Il reporting di sostenibilità nel quadro dei concorrenti obblighi e delle opportunità della tax transparency

La rendicontazione Paese per Paese prescritta dal GRI 207-4 presenta punti di contatto, ma anche di differenza, rispetto agli obblighi di disclosure previsti verso le Amministrazioni finanziarie, per i gruppi multinazionali che superano la soglia di 750 milioni di euro di ricavi da bilancio consolidato: il riferimento è al Country by Country reporting (CbCr), che ha tratto origine dai lavori dell’azione 13 del progetto BEPS dell’OCSE ed è stato rifuso nel diritto unionale dalla Direttiva n. 2016/881/UE, del 25 maggio 2016 (DAC 4)[30].

La reportistica CbCr è uno dei pilastri della documentazione a supporto della corretta applicazione della normativa transfer pricing: le informazioni richieste ai contribuenti, all’interno del CbCr, forniscono una rappresentazione, per le singole giurisdizioni in cui un gruppo multinazionale opera, della relativa fiscalità. I principali dati sono i medesimi fotografati nella reportistica GRI 207-4: ricavi (verso terzi e intercompany), profitto o perdita, imposte pagate e maturate, asset e personale.

Rispetto a quanto riportato dalle imprese nel non financial reporting a fini sostenibilità, si registrano un tendenziale disallineamento temporale delle informazioni, posto che l’obbligo di invio del CbCr è fissato a 12 mesi dalla data di chiusura del periodo di imposta, ed alcuni elementi differenziali nella rappresentazione stessa dei dati. Ad esempio: nel computo dei ricavi infragruppo, che nello standard GRI 207 vanno indicati solo se con entità localizzate in altre giurisdizioni, o nella necessità prevista dal GRI e non dal CbCr di riconciliare il carico delle imposte maturate e di riconciliare più in generale i principali dati con il Bilancio Consolidato. Non è escluso, tuttavia, che il CbCr possa rappresentare un framework di riferimento per una rappresentazione GRI compliant[31].

L’elemento distintivo del CbCr di origine OCSE rispetto alla reportistica di sostenibilità è tuttavia dato dal fatto che la comunicazione dei dati del CbCr non è destinata alla pubblicazione, essendo diretta alle sole Autorità fiscali. Su questo aspetto, che sembrava un punto fermo, è stato impresso un prospettico cambio di paradigma, sempre a livello europeo. Dopo un non breve ed accidentato iter, il 24 novembre 2021 è stata approvata la Direttiva n. 2021/2101/UE, che introduce, per i soggetti di maggiori dimensioni, l’obbligo di pubblicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito, in linea con quanto già trasmesso alle Amministrazioni finanziarie per effetto della DAC 4[32].

Il nuovo obbligo si applica sempre alle imprese che, a livello di bilancio consolidato, registrino un volume di ricavi superiore a 750 milioni di euro. Il primo esercizio di applicazione sarà quello avente inizio il 22 giugno 2024 o dopo tale data, dunque per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare il 2025. Le informazioni, sostanzialmente aderenti ai contenuti del CbCr di origine OCSE, andranno pubblicate, su sito web dell’impresa, entro dodici mesi dalla data di chiusura del bilancio dell’esercizio per il quale la comunicazione è redatta.

Un terzo e diverso obbligo di pubblicazione dei dati relativi alla fiscalità incombe pertanto sulle imprese di matrice europea[33].

In un contesto di crescenti e variegati obblighi di trasparenza rispetto alla gestione della fiscalità, l’atteggiamento che sembra premiare è quello di sostituire la logica della compliance, che si limiti a rincorrere gli adempimenti, con una pianificata strategia di disclosure puntuale ed anzi allargata rispetto ai requisiti normativi: trasformando una minaccia (come pare sia stata vissuta la richiesta dei Missionari Oblati di Maria Immacolata), in una straordinaria opportunità di comunicazione al mercato del ruolo e della responsabilità dell’impresa nella contribuzione ai bisogni dei Paesi ove opera e al benessere delle nostre società.

Accade così che, nell’affastellarsi di normative che impongono obblighi di trasparenza sulla gestione della variabile fiscale, la pubblicazione di un dettagliato report dedicato alla fiscalità – il Tax Transparency Report che i Missionari chiedevano ad Amazon – eventualmente inserito nell’informativa non finanziaria o pubblicato come documento a parte, è la strada scelta dalle imprese più evolute, anche in Italia, per fare sintesi delle informazioni fiscali richieste dal framework normativo della sostenibilità ed anticipare al tempo stesso le prossime frontiere verso cui si stanno spostando gli obblighi di tax transparency.

Nella realizzazione di questa forma di comunicazione, la metodologia maggiormente utilizzata è la Total Tax Contribution che mette in perimetro un più ampio spettro di imposte, rispetto alla sola imposta sul reddito – comprendendo, a titolo esemplificativo, anche le imposte sui consumi, sul lavoro, sui beni – e d’altro canto consente di valorizzare a tutto tondo il ruolo dell’impresa come soggetto che contribuisce, con le imposte, ai bisogni della collettività. Non vengono infatti solo misurate le imposte che rappresentano un costo per l’impresa (c.d. taxes borne, nella tassonomia della Total Tax Contribution), bensì anche quelle che vengono raccolte per conto dell’erario (c.d. taxes collected): si pensi, a titolo di esempio, alle ritenute ed ai contributi sociali sui salari corrisposti dall’impresa, al saldo dell’IVA a debito versata sui beni ceduti e sui servizi prestati al netto di quella a credito sugli acquisti impiegati nella produzione di valore aggiunto, o ancora, entrando nelle specificità dei singoli modelli di business, alle imposte raccolte dagli intermediari finanziari sui rendimenti dei prodotti collocati presso la clientela o agli oneri pubblici accollati agli utenti nelle bollette energetiche[34].

Nel passare da un approccio passivo di mero adempimento ad uno proattivo, è opportuno valorizzare quegli aspetti della gestione della fiscalità che sono entrati o che stanno per entrare nel giudizio di sostenibilità dell’impresa, reso dal mercato e dagli investitori. La rappresentazione quantitativa delle imposte (pagate e raccolte) e della (good) governance della fiscalità – prescritta anch’essa dallo standard GRI 207 e che rifluirà ragionevolmente anch’essa nei principi unionali di reporting di sostenibilità[35] – ben trova infatti radici nell’humus ESG in cui anche la variabile fiscale si sta accreditando come uno dei fattori di sostenibilità del fare impresa.

In questa direzione sta operando sempre la Commissione sulla scia del Piano d’azione europeo per la finanza sostenibile, la cui azione n. 1 è volta a istituire un sistema unificato di classificazione delle attività economiche sostenibili[36]: la Tassonomia europea.

I lavori sulla Tassonomia sono stati avviati preliminarmente avendo riguardo agli obiettivi ambientali del trinomio ESG ed hanno condotto a definire quando un’attività economica possa dirsi ecosostenibile: oltre a contribuire in maniera sostanziale al raggiungimento di uno o più degli obiettivi ambientali fissati come strategici – senza arrecare un danno significativo agli altri – deve rispettare determinate garanzie minime di salvaguardia da adottarsi nella governance dell’impresa (minimum safeguards)[37].

Con lo sviluppo in corso sulla tassonomia, volto a includere gli obiettivi del fattore sociale, l’attenzione si è concentrata proprio sui minimum safeguards previsti già con riguardo alla ecosostenibilità. L’approccio alla fiscalità e la trasparenza nella rappresentazione della stessa sono stati infatti identificati tra le garanzie minime di salvaguardia che un’impresa deve rispettare per essere considerata sostenibile[38]. Sotto il primo profilo, diventa chiave, in logica sostenibilità, fornire informazioni al mercato su come l’impresa intenda garantire la compliance alla normativa fiscale, su quale sia la strategia fiscale che adotta e quale il grado di rischio che intenda accettare, che propensione abbia per il tax planning e quale approccio intenda tenere nella relazione con l’Autorità fiscale. Per la trasparenza, la strada segnata è quella della reportistica dei dati fiscalmente rilevanti Paese per Paese, su modello GRI 207-4.

La Tassonomia europea è destinata a incidere in modo profondo sulla capacità delle imprese di essere lette dal mercato e dagli investitori come sostenibili[39]: i criteri di definizione dei fattori ESG e di come un’impresa li integri nella propria attività economica, declinati nella Tassonomia, entrano a pieno titolo sia nel reporting non finanziario in cui le imprese attestano il proprio essere sostenibili[40], sia nelle regole di identificazione dei prodotti finanziari che dichiarano di avere un sottostante investimento sostenibile[41], sia infine nelle attività di risk management che le Banche saranno chiamate a svolgere nel misurare il rischio di controparte nei processi di investimento e di erogazione di crediti[42]. La rilevanza della variabile fiscale, nelle metriche ESG, è evidente se solo si pensi che nella definizione data dal diritto unionale è sostenibile un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, a condizione che l’impresa rispetti una prassi di buona governance in particolare anche per quanto riguarda il rispetto degli obblighi fiscali[43].

Muovendosi su questo stesso terreno, le agenzie di rating misurano già oggi gli aspetti di sostenibilità dell’impresa e tra questi anche i fattori legati alla fiscalità: nei questionari sulle metriche ESG inviati alle imprese, la strategia fiscale, gli aspetti di gestione del rischio fiscale, la compiuta rappresentazione delle imposte pagate nelle diverse giurisdizioni in cui l’impresa opera, sono letti dalle agenzie per valutare il rating di sostenibilità dell’impresa.

Tornando alla notte che precedeva l’assemblea dei soci di Amazon: forse Jeff Bezos e i suoi hanno potuto dormire serenamente, immaginando di aver approntato tutto ciò che serviva per respingere la richiesta impudica di trasparenza fiscale, avanzata da un piccolo socio del gigante globale dell’e-commerce. Non pare tuttavia che quella battaglia vinta – né quelle che potranno vincere Microsoft e Cisco nel breve – possa essere così decisiva per il futuro, come lo è stata quella del Principe di Condè a Rocroi: anzi, è ragionevole aspettarsi che una piena trasparenza rispetto alla gestione della fiscalità sia un passaggio necessitato per tutte le imprese, non tanto per adempiere a meri obblighi di compliance esistenti ed incombenti, quanto piuttosto per poter accedere a pieno titolo al mercato ed essere, in quel contesto, opportunamente lette e valorizzate come un investimento sostenibile anche sotto il profilo della gestione della fiscalità.

 

[1] La nota della SEC, del 5 aprile 2022, conclude affermando: “We are unable to concur in your view that the Company may exclude the Proposal (omissis). In our view, the Proposal transcends ordinary business matters”. Il documento è pubblicamente disponibile sul sito SEC all’indirizzo https://www.sec.gov/divisions/corpfin/cf-noaction/14a-8/2022/omiusaamazon040522-14a8.pdf [accesso 11 giugno 2022].

[2] Nel documento Notice of 2022 Annual Meeting of Shareholders & Proxy Statement, predisposto dal Board di Amazon, si legge che “The Board of Directors recommends a vote “AGAINST” this proposal requesting alternative tax reporting”.

Si veda: https://s2.q4cdn.com/299287126/files/doc_financials/2022/ar/Amazon-2022-Proxy-Statement.pdf [accesso 11 giugno 2022].

[3] L’esito del voto dell’assemblea dei soci di Amazon sulla richiesta di pubblicare il tax transparency report modello GRI 207 ha fatto registrare un ampio, seppur non completo, consenso nel respingerla. A favore (numero azioni): 64.702.796; contro: 305.060.237; astenuti: 3.107.496. Si pensi che il rinnovo della carica di Bezos ha registrato 355.354.719 voti a favore e solo 17.063.820 contro. I dati sono pubblicati nel Form 8-K, reperibile sul sito del motore di ricerca Edgar della SEC: https://www.sec.gov/ix?doc=/Archives/edgar/data/1018724/000110465922065872/tm2215904d1_8k.htm [accesso 11 giugno 2022].

[4] È comparsa sul Tax Notes del 29 giugno 2022, a firma di Nana Ama Sarfo, la notizia della richiesta pervenuta a Microsoft e Cisco di pubblicare i dati fiscali, secondo quanto previsto dallo standard GRI 207.

[5] Direttiva n. 2014/95/UE, del 22 ottobre 2014, che ha novellato, introducendo tra l’altro gli articoli 19-bis e 29-bis, la Direttiva 2013/34/UE, del 26 giugno 2013, che reca la disciplina di bilanci di esercizio, bilanci consolidati e relative relazioni (Direttiva contabile). L’attuazione della NFRD nel diritto italiano è avvenuta con il decreto legislativo 30 dicembre 2016, n. 254.

[6] Per tali si intendono, in base all’art. 3 par. 4 della Direttiva contabile, gli enti che soddisfano almeno due di tre requisiti dimensionali: 20 milioni di euro di attivo, 40 milioni di euro di ricavi, 250 dipendenti.

[7] La definizione di enti di interesse pubblico è contenuta nell’art. 2 punto 1) della Direttiva contabile. Si noti che il riferimento alle quotate è da intendersi a entità regolate dal diritto di uno Stato membro e i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro: Amazon, Microsoft e Cisco, per tornare a quanto sopra, non sono soggette agli obblighi della NFRD.

[8] Sul rinvio agli standard di rendicontazione, si veda il Considerando 9 della NFRD e l’art. 1, co. 1, lett. f), del decreto legislativo n. 254 del 2016.

[9] Oltre ad essere espressamente citati nel Considerando 9 della NFRD, i GRI Standards sono adottati dal 64 per cento delle imprese che sono soggette alla normativa europea sul non financial reporting (cfr. SWD(2021) 150 final, annex 13, pag. 178).

[10] Il GRI 207 è stato pubblicato il 5 dicembre 2019. Sul tema, si veda: Assonime, Caso 1/2021, Gli obblighi di trasparenza in materia di tassazione nelle dichiarazioni non finanziarie secondo lo standard GRI 207; F. Holle, M. Kockrow, A. Schnitger, Tax and Transparency: Reporting in Accordance with the Global Reporting Initiative, in Intertax, 8/9, 2021, pp. 702-712; A. Valsecchi, What corporate tax policy has to do with sustainability (and how companies should deal with it), 2021, SSRN: https://ssrn.com/abstract=3854974 [accesso 11 giugno 2022].

[11] Sulla rappresentazione prescritta dal GRI 207-1/3, sia consentito rinviare a M. Lio, ESG e fiscalità: il fattore di sostenibilità della governance, letto attraverso il Tax Control Framework, in Diritto Bancario, 2021: https://www.dirittobancario.it/art/esg-e-fiscalita-il-fattore-di-sostenibilita-della-governance-letto-attraverso-il-tax-control-framework/ [accesso 11 giugno 2022].

[12] La risoluzione adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU, il 25 settembre 2015, ha delineato la 2030 Agenda for Sustainable Development Goals, incentrata su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). Il documento è reperibile sul sito:

https://sdgs.un.org/2030agenda [accesso 11.6.22].

[13] Comunicazione COM(2018)97 final, del 8 marzo 2018.

[14] Nell’analisi contenuta nel Piano d’azione, a riguardo della NFRD, “La direttiva permette alle società di comunicare le informazioni sulla sostenibilità in maniera flessibile. Per il futuro occorre raggiungere un giusto compromesso tra la flessibilità e la standardizzazione della comunicazione delle informazioni necessaria per generare i dati che informano le decisioni d’investimento” (COM(2018)97 final, cit., par. 4.1).

[15] Comunicazione COM(2021)189 final, accompagnata dallo Staff Working Document – Impact Assessment SWD(2021)150 final. La Proposta di CSRD modifica la Direttiva contabile, per la parte relativa alla dichiarazione di carattere non finanziario (art. 19-bis e 29-bis), introdotta dalla NFRD, oltre ad inserire nuove previsioni normative a riguardo. Con comunicato stampa del 21 giugno 2022, è stato annunciato l’avvenuto raggiungimento dell’accordo politico, in seno al Consiglio ed al Parlamento europeo, sull’adozione della CSRD: https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2022/06/21/new-rules-on-sustainability-disclosure-provisional-agreement-between-council-and-european-parliament/ [accesso 22.6.22]. Il testo di compromesso è pubblicato al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CONSIL:ST_10835_2022_INIT&from=IT [accesso 6.7.22].

[16] Cfr. SWD(2021)150 final, Table 8, pag. 49; le analisi di dettaglio sono riportate a pag. 210, dove si può osservare che, nell’attuale quadro normativo, la maggior parte delle imprese è oggi obbligata al reporting non finanziario per effetto di una trasposizione domestica più ampia delle prescrizioni della NFRD: 9.700 imprese circa, rispetto al totale di 11.700 di cui si è detto. Nelle stime della Commissione a riguardo dei nuovi soggetti obbligati sotto la CSRD, gli enti in perimetro delle norme domestiche attualmente in vigore sono considerati come già inclusi, per evitare un possibile double counting (“It is notable that by adding the different scope options to the current NFRD scope, some companies which are currently covered due to national transposition will also be covered by the new NFRD scope (An implicit assumption here was that the new scope options are added ceteris paribus, i.e. existing national transposition rules remain the same as they currently are)”).

[17] Sono obbligate al reporting non finanziario secondo le nuove prescrizioni della CSRD: i) dal 1° gennaio 2024, i soggetti già obbligati al non-financial reporting in base alla NFRD; ii) dal 1° gennaio 2025, tutte le imprese di grandi dimensioni, ovvero che soddisfino almeno due dei tre fattori richiamati supra: attivi 20 milioni di euro, ricavi 40 milioni di euro, numero medio di dipendenti annuo 250 (art. 3, co. 4, Direttiva contabile), indipendentemente dal fatto di essere enti di interesse pubblico; iii) dal 1° gennaio 2026, le piccole e medie imprese (sempre secondo la Direttiva contabile), i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato membro, gli intermediari finanziari di piccole dimensioni e le captive insurance. Quanto riportato nel testo è la rimodulazione della trasposizione della Direttiva, secondo quanto previsto all’art. 5 del testo di compromesso condiviso in sede comunitaria il 21 giugno 2022, come riportato sopra.

[18] Art. 19-ter, par. 2, della Direttiva contabile, come introdotto dall’art. 1, par. 4 della CSRD.

[19] L’art. 1, par. 11, della CSRD modifica l’art. 49 della Direttiva contabile, stabilendo le condizioni alle quali è conferito alla Commissione il potere di adottare gli atti delegati relativi ai principi di informativa sulla sostenibilità: nella preparazione di tali atti, la Commissione tiene conto del parere tecnico dell’EFRAG.

[20] Il gruppo di lavoro è la Project Task Force on European sustainability reporting standards (PTF-ESRS), che ha pubblicato ad aprile 2022 gli Exposure Draft sugli argomenti del trifoglio ESG, riportati nell’art. 19-ter della Direttiva contabile, citata supra. Oltre a 2 standard cross cutting, ovvero relativi ai principi generali del reporting di sostenibilità, sono presenti: 5 standard sul fattore Environmental (Climate Change; Pollution; Water and marine resources; Biodiversity and ecosystems; Resource use and circular economy); 4 standard sul fattore Social (Own workforce; Wokers in the value chain; Affected communities; Consumers and end-users); 2 standard su Governance (Governance, risk management and internal control; Business conduct).

Tutti i documenti in pubblica consultazione sono reperibili sul sito dell’EFRAG: https://www.efrag.org/lab3 [accesso 11 giugno 2022].

[21] La CSRD precisa il quadro entro il quale la Commissione dovrà svolgere la propria attività di normazione delegata sugli standard europei di reportistica di sostenibilità. L’art. 19-ter, par. 3, lett. a), della Direttiva contabile, come introdotto dall’art. 1, par. 4 della CSRD, prescrive il riferimento, riportato nel testo, alle iniziative di normazione internazionale ed agli standard oggi già in essere.

[22] Cfr. SWD(2021)150 final, Table 8, pag. 23.

[23] Il Considerando 37 della proposta di CSRD chiarisce questo obiettivo affermando che “Per evitare un’eccessiva frammentazione normativa che potrebbe avere conseguenze negative per le imprese che operano a livello mondiale, i principi europei dovrebbero contribuire al processo di convergenza dei principi di informativa sulla sostenibilità a livello globale”.

[24] Lo Statement of cooperation del PTF-ESRS con il GRI è datato 8 luglio 2021 ed è pubblicato sul sito istituzionale dell’EFRAG:

https://www.efrag.org/Assets/Download?assetUrl=%2Fsites%2Fwebpublishing%2FSiteAssets%2FEFRAG%2520GRI%2520COOPERATION%2520PR.pdf [accesso 11 giugno 2022].

[25] La XXVI Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26) si è tenuta a Glasgow, dal 31 ottobre al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito.

[26] In dettaglio, si tratta delle bozze del IFRS S1, rubricato General Requirements for Disclosure of Sustainability-related Financial Information, sui requisiti generali della rendicontazione di sostenibilità, che peraltro tratteggia il superamento della distinzione tra reporting finanziario e reporting non finanziario, e del IFRS S2, rubricato Climate-related Disclosures e dedicato agli obiettivi ambientali. L’ISSB ha in animo di chiudere i documenti entro la fine del corrente anno, come riportato nella pagina dedicata alla consultazione pubblica. “[ISSB] will review feedback on the proposals in the second half of 2022 and aims to issue the new Standards by the end of the year, subject to the feedback” (https://www.ifrs.org/news-and-events/news/2022/03/issb-delivers-proposals-that-create-comprehensive-global-baseline-of-sustainability-disclosures/ [accesso 11 giugno 2022]).

[27] Considerando 37 della proposta di CSRD.

[28] Si veda l’appendice V della Cover Note rilasciata dall’EFRAG in sede di consultazione pubblica.

[29] Il Memorandum of Understanding tra GRI e IFRS Foundation è riportato sul sito istituzionale di quest’ultima:

https://www.ifrs.org/news-and-events/news/2022/03/ifrs-foundation-signs-agreement-with-gri/ [accesso 11 giugno 2022].

[30] La DAC 4 è stata attuata in Italia con l’art. 1, commi 145 e 146, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e con i decreti del Ministro dell’economia e delle finanze del 23 febbraio 2017 e del 8 agosto 2019.

[31] Il tema del disallineamento temporale può essere risolto, posto che lo stesso GRI prevede che, se i dati richiesti non sono disponibili, si possano utilizzare le informazioni derivanti dal bilancio consolidato o dalle informazioni finanziarie depositate nei registri pubblici riferite al periodo immediatamente precedente. In questo senso, si veda anche Assonime, Caso 1/2021, cit., pag. 8.

[32] La Direttiva n. 2021/2101/UE ha modificato la Direttiva contabile, introducendo il Capo 10-bis, rubricato Comunicazione delle informazioni sull’imposta sul reddito.

[33] Si precisa che, per le Banche, l’art. 89 della Direttiva n. 2013/36/UE del 26 giugno 2013 e successive modifiche (Capital Requirements Directive – CRD) prevede, dal 2015, la pubblicazione dei dati Paese per Paese, riferiti, tra l’altro, alle imposte, ai ricavi e ai profitti o perdite. Il Considerando 12 della Direttiva sul CbCr pubblico prevede pertanto l’esenzione delle Banche rispetto ai nuovi obblighi: “Allo scopo di evitare la doppia comunicazione nel settore bancario, è opportuno esentare dall’obbligo di comunicazione di cui alla presente direttiva le imprese capogruppo e le imprese autonome soggette alla direttiva 2013/36/UE che inseriscono nella comunicazione redatta in conformità dell’articolo 89 di tale direttiva tutte le loro attività e, se del caso, tutte le attività delle loro imprese partecipate incluse nel loro bilancio consolidato, comprese le attività non soggette alle disposizioni della parte tre, titolo I, capo 2, del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio”.

[34] In Italia, quanto all’adozione del modello di reporting dato dalla Total Tax Contribution, si veda quanto pubblicato, per l’esercizio finanziario 2021, da Atlantia, Enel e Generali, attraverso un tax transparency report a sé stante, reso pubblicamente disponibile nel sito corporate dei rispettivi Gruppi, o da Cattolica e Prysmian, all’interno della Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario predisposta in conformità agli obblighi della NFRD ed anch’essa pubblicata sui relativi siti corporate.

[35] Questo percorso appare tracciato, già dalla lettura dei primi documenti rilasciati dall’EFRAG nella elaborazione degli European Sustainability Reporting Standards. Nell’Exposure Draft del principio ESRS S3 che, relativamente al fattore Social, si occupa di Affected communities, è previsto che le imprese, nel dare disclosure dell’impatto e dell’interazione della propria strategia e del proprio modello di business sulle comunità locali, come prescritto dall’Exposure Draft del principio ESRS 2 (SBM 3), debbano, tra l’altro, dare conto di eventuali aggressive strategies to minimise taxation. Più in generale, gli Exposure Draft degli standard Governance e Social fanno riferimento alla Tassonomia europea ed ai minimum safeguards di cui si dirà qui di seguito.

[36] Comunicazione COM(2018)97 final, citata.

[37] I criteri per stabilire se un’attività economica possa essere considerata ecosostenibile sono stati delineati nel Regolamento n. 2020/852 del 18 giugno 2020 (c.d. Regolamento Tassonomia), che all’art. 3 ne ha introdotto la relativa definizione, che fa perno sugli obiettivi ambientali (con la duplice previsione: contribuire sostanzialmente a raggiungerne uno o più, senza arrecare un danno significativo agli altri) e sul rispetto delle garanzie minime di salvaguardia (minimum safeguards). Gli obiettivi ambientali, previsti dall’art. 9, sono: la mitigazione dei cambiamenti climatici; l’adattamento ai cambiamenti climatici; l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. La capacità di un’attività economica di contribuire in maniera sostanziale al raggiungimento di uno o più di questi obiettivi, senza arrecare danni significativi agli altri, è sancita da specifici criteri di vaglio tecnico, definiti dalla regolamentazione delegata (ad oggi sono stati rilasciati i criteri riferiti ai primi due obiettivi ambientali, con il Regolamento n. 2021/2139 del 4 giugno 2021 – c.d. Atto Clima).

Sul punto, si veda: Assonime, Circolare 1/2022, Il Regolamento europeo sulla tassonomia delle attività ecosostenibili: gli obblighi pubblicitari per le società; CNDCEC, Finanza sostenibile e fattori “ESG”: stato dell’arte, sviluppi futuri e opportunità, 3 febbraio 2022.

[38] Il riferimento è ai lavori condotti dalla Piattaforma sulla finanza sostenibile, istituita ai sensi dell’art. 20 del Regolamento Tassonomia, per fornire consulenza alla Commissione europea nello sviluppo dei criteri di tassonomia legati agli altri obiettivi, tra i quali quelli sociali. In particolare, si veda il Final Report by Subgroup 4: Social Taxonomy, del 28 febbraio 2022 (par. 6.3 e 6.4), da cui sono tratti i riferimenti riportati nel testo al tax approach e alla tax transparency quali fattori di sostenibilità delle imprese.

[39] Il Regolamento Tassonomia non introduce di per sé obblighi specifici, piuttosto definisce il framework di riferimento per le normative che introducano obblighi specifici.

[40] In base all’art. 8 del Regolamento Tassonomia, le imprese soggette agli obblighi di reporting non finanziario, previsti dalla NFRD, devono includere in tale documento anche informazioni su come e in che misura le attività dell’impresa sono associate ad attività economiche ecosostenibili. Le regole di dettaglio del reporting, quanto ai primi due obiettivi ambientali legati al cambiamento climatico, sono state di seguito adottate con il Regolamento 2021/2178 del 6 luglio 2021 (c.d. Regolamento disclosure), che ha tradotto i criteri di vaglio tecnico definiti per questi obiettivi dall’Atto Clima in indicatori quantitativi di prestazione economica da rappresentare nell’informativa non finanziaria (i.e., fatturato, CapEx, OpEx).

[41] Gli artt. 5-7 del Regolamento Tassonomia precipitano l’impianto definitorio della Tassonomia europea nella normativa unionale che impone ai partecipanti ai mercati finanziari e ai consulenti finanziari obblighi di trasparenza in merito alle modalità di integrazione dei fattori ESG nelle attività e nei prodotti di investimento e nei processi interni: ne deriva una chiara identificazione delle caratteristiche ambientali o sociali promosse dai prodotti finanziari che dichiarano di avere come obiettivo investimenti sostenibili. Il riferimento è al Regolamento 2019/2088 del 27 novembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sustainable Finance Disclosure Regulation – SFDR).

Sul tema, si veda M. Driessen, Sustainable Finance: An Overview of ESG in the Financial Markets, in AA.VV., Sustainable Finance in Europe, Springer International Publishing, 2021, pag. 342 e segg.; D. Busch, Sustainability Disclosure in the EU Financial Sector, ibidem, pag. 404.

[42] In linea con il mandato contenuto nella vigente disciplina europea (art. 98 par. 8 della CRD), la European Banking Authority (EBA) ha delineato le regole del c.d. secondo pilastro di vigilanza, al fine di includere la valutazione dei rischi di sostenibilità di controparte, nei processi di investimento e di credito delle Banche: si veda a riguardo: EBA, Report on management and supervision of ESG risks for credit institutions and investment firms, 06-2021 (EBA/REP/2021/18).

[43] Art. 2(17) della SFDR.

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