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Giurisprudenza

Buoni Postali «Q/P»: la giurisprudenza di merito continua a opporsi alla Cassazione

29 Luglio 2022

Luca Serafino Lentini

Corte di Appello di Firenze, 21 giugno 2022, n. 1308 – Pres. Monti, Rel. Mori

Di cosa si parla in questo articolo

Il diritto vivente continua, compatto, ad avversare la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in relazione alla vicenda relativa ai buoni fruttiferi postali serie Q/P.

La Cassazione, con quattro decisioni «gemelle» del febbraio di quest’anno (nn. 4384, 4748, 4751, 4763), tutte redatte dal medesimo estensore, aveva dato ragione al comportamento tenuto da Poste Italiane (che nell’apporre i timbri della nuova serie trentennale “Q” sui documenti della precedente e più redditizia serie “P” aveva lasciato scoperti i rendimenti degli ultimi dieci anni, così ingenerando un affidamento nei sottoscrittori), in particolare ritenendo che «una mera imperfezione materiale nell’apposizione di timbri» non potesse essere considerata come espressiva di una «manifestazione di volontà concludente».

In aperto dissenso con questo orientamento si era d’altra parte già espresso l’ABF. L’adr per le controversie bancarie, infatti, ha riconosciuto il diritto dei sottoscrittori al (più elevato) rimborso derivante dalla combinazione delle due serie. Valorizzando diversi argomenti, tra cui la contrarietà del comportamento delle Poste allo standard di diligenza qualificata richiesto dalla natura professionale dell’attività svolta dalle Poste, il principio dell’interpretatio contra proferentem di cui all’art. 1370 c.c., le gravi conseguenze sistemiche, di disincentivo all’investimento postale, che deriverebbero dall’accoglimento della soluzione della Cassazione (le prime due decisioni sono riportare in questa rivista: Lentini, La partita sulla serie «Q/P»: ABF vs Cassazione).

È allora poco più che scontato osservare, come del resto testimonia pure la forte attenzione critica riservata alla vicenda dalla stampa (v. ad esempio Dolmetta, Buoni postali serie Q/P: l’ABF contro la Cassazione, Il sole 24 ore, marzo 2022) che il precedente della Cassazione non abbia certo messo un punto fermo al dibattito sulla serie «Q/P». Ma, al contrario, abbia semmai solo contribuito ad aprirlo e alimentarlo, anche secondo nuove prospettive.

E infatti, a testimoniare la condizione di inquietudine e insoddisfazione nei confronti della posizione assunta dalla Corte di legittimità si aggiunge ora (rispetto ad altre decisioni di merito già pubblicate) la decisione della Corte d’Appello di Firenze qui in rassegna.

Con un primo argomento, la Corte si richiama all’apparato argomentativo della nota sentenza delle Sezioni Unite n. 13979/2007 in tema di ius variandi. Per riscontrare l’affinità della problematica con quella oggetto della serie «Q/P» e quindi affermare che una modifica in peius del tasso di interesse rispetto a quanto indicato sul buono è possibile solo con riferimento ad ipotesi di «sopravvenienze ministeriali» successive al momento di emissione del buono stesso e non già anche nell’ipotesi in cui il decreto ministeriale indicante un tasso d’interesse divergente rispetto a quello scritto sul buono è precedente rispetto all’emissione (come nel caso di specie).

Il secondo argomento smentisce direttamente quanto affermato dalla quaterna di decisioni della Cassazione: la mancata indicazione del nuovo rendimento del buono nella stampigliatura degli ultimi dieci anni non costituisce certo una «mera imperfezione materiale», ma risulta, invece, una circostanza idonea a ingenerare il ragionevole affidamento del risparmiatore su quanto scritto sul titolo, che ha natura di titolo di legittimazione all’incasso (il che non vanifica integralmente la rilevanza delle diciture sul titolo, attesa la natura negoziale del rapporto instaurato fra Poste e sottoscrittore).

E ancora, la presenza di due diversi tassi d’interesse (quello della serie P per i primi 20 anni, della serie Q per gli ultimi dieci) che regolano il rendimento del buono non si pone in contrasto con l’art. 1342 c.c. secondo cui le clausole aggiunte prevalgono su quelle scritte precedentemente, atteso che la coesistenza di due diversi tassi ben può regolare il rendimento, senza che un tasso debba prevalere sull’altro.

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