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Attualità

Riporto dei tax assets a seguito di scissione: spunti critici

Riflessioni sulla posizione dell’Agenzia delle Entrate nella Circolare 31/2022

8 Settembre 2022

Christian Cisternino, Partner, Cisternino Desiderio & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con Circolare n. 31 del 1° agosto 2022, in materia di riporto delle posizioni fiscali (tax assets) nelle operazioni di scissione.


Premessa

Con la Circolare n. 31 del 1° agosto 2022, l’Agenzia ha affrontato la delicata tematica del riporto delle posizioni fiscali soggettive (i.e. perdite fiscali; interessi passivi ed eccedenze ACE) a seguito di operazioni di scissione, ritenendo “opportuno un superamento” dei propri precedenti sul punto.

Si tratta – come osservato da Assonime di “un cambiamento “epocale” di una disciplina applicata ed interpretata ormai da molti anni in tutt’altro modo” (cfr. Assonime, News 4 agosto 2022) che, come tale, merita alcune riflessioni critiche.

Le condizioni individuate dalla norma per il riporto dei tax asset

In base all’art. 173, comma 10, TUIR alle perdite fiscali, agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti e alle eccedenze ACE delle società che partecipano ad operazioni di scissione si applicano le disposizioni del comma 7 dell’art. 172, “riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante”.

La norma sulle scissioni, in sostanza, rinvia alle condizioni individuate dalla disposizione relativa alle fusioni.

A sua volta, l’art. 172, comma 7 subordina la possibilità di riportare in avanti le predette posizioni fiscali al superamento di due limiti collegati al patrimonio netto, da una parte, e ai ricavi e al costo del personale, dall’altra parte.

Con riferimento a quest’ultimo limite (al quale si riferisce la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 31 qui in commento), la norma prevede che il riporto delle perdite fiscali, degli interessi passivi e dell’eccedenza ACE è subordinato all’iscrizione nel conto economico relativo all’esercizio precedente della società (in capo alla quale sono maturate le predette posizioni fiscali) di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, per un ammontare superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media dei due esercizi anteriori (c.d. “test di vitalità”).

In sostanza, queste limitazioni (basate su un indice presuntivo delle prospettive reddituali della società titolare dei tax asset) si propongono di contrastare il c.d. commercio di “bare fiscali”, vale a dire le operazioni di integrazione societaria che non rispondono ad alcuna reale e apprezzabile esigenza di riorganizzazione, ma che sono finalizzate unicamente all’utilizzo intersoggettivo di tax asset altrimenti inutilizzabili.

In questo senso, l’Agenzia delle Entrate ha tradizionalmente chiarito che il test di vitalità è finalizzato ad evitare il riporto delle perdite in caso di operazioni con società prive di una capacità produttiva idonea allo svolgimento di un’attività imprenditoriale profittevole e poste in essere al fine di attuare la compensazione inter-soggettiva delle perdite fiscali di una società con i redditi imponibili dell’altra (cfr.; Andreani-Dodero-Ferranti, Testo Unico Imposte sui Redditi, 2020, pag. 2971, che richiama il Prot. 2013/38605 dell’Agenzia delle Entrate).

In altri termini, la finalità delle disposizioni in argomento, di chiara matrice antielusiva, è quella di contrastare il “travaso” di posizioni fiscali soggettive da società “decotte” (e quindi incapaci di assorbire i tax asset con propri redditi imponibili) in soggetti produttivi di redditi (cfr. Zanetti, Manuale delle operazioni straordinarie, Eutekne, IV edizione, pag. 731).

Proprio in ragione della predetta finalità, si è sempre ritenuto che il test di vitalità dovesse essere applicato considerando, nel suo complesso, la società in capo alla quale erano maturate le predette posizioni fiscali.

Ciò detto, si tratta ora di analizzare la posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 31 del 1 agosto 2022, per verificarne la coerenza rispetto ai menzionati consolidati orientamenti.

La posizione assunta nella Circolare 31/2022 sul riporto dei tax assets a seguito di scissione

La Circolare 31 – una volta riportato l’art. 173, comma 10 del TUIR e dopo aver ricordato che la ratio sottesa alla norma “è quella di contrastare il c.d. commercio di “bare fiscali” – ha escluso “che la vitalità economica o – di contro – la mancanza di vitalità economica della scissa, a seguito del test effettuato in capo a quest’ultima, debbano intendersi tout court “ereditate” dal compendio che costituisce oggetto di scissione, sia quando questo integri un ramo di azienda, sia quando questo sia composto da asset singoli o collettivi, comunque non integranti un’azienda o un suo ramo”.

Da questo assunto, l’Agenzia fa derivare che – in relazione alle posizioni fiscali della società scissa trasferite ad una beneficiaria non neo-costituita – il test relativo alla vitalità economica non si deve limitare alla società scissa nel suo complesso ma deve riferirsi al “compendio” scisso, sia esso un ramo d’azienda sia esso formato da singoli beni.

In particolare, secondo la Circolare 31/2022 (i) nel caso in cui per effetto della scissione sia trasferito alla beneficiaria un ramo d’azienda, “il test di vitalità andrà calcolato secondo i parametri espressamente previsti dagli articoli 172 e 173 del TUIR sopra richiamati, avendo riguardo ai dati contabili relativi al compendio scisso”; (ii) mentre nel caso in cui per effetto della scissione siano trasferiti alla beneficiaria beni non integranti un ramo d’azienda, occorre individuare “criteri alternativi (come, ad esempio, la presenza di plusvalori latenti nei beni trasferiti) che siano rappresentativi, nel contempo, sia della vitalità del compendio scisso e sia della sua capacità di riassorbire le posizioni fiscali soggettive trasferite alla società beneficiaria per effetto dell’applicazione del criterio di cui all’articolo 173, comma 4, del TUIR”.

Si tratta di una posizione che – oltre a porre considerevoli criticità gestionali – non appare sorretta né dalla norma, né dalla sua ratio.

Con riferimento all’aspetto gestionale, è sufficiente considerare che in caso di scissione di un compendio aziendale, in base alla nuova posizione dell’Agenzia il test di vitalità (che, ricordiamo, è riferito all’esercizio precedente a quello nel quale viene eseguita l’operazione e ai due precedenti[1]) richiederebbe di ricostruire (ex post, anche in assenza di una contabilità separata) i ricavi caratteristici e il costo del personale riferibili al compendio, con tutte le problematiche che questo può comportare (ad esempio in presenza di ricavi o costi del personale che si riferiscono indistintamente alla società nel suo complesso).

Nel caso di scissione di singoli beni, poi, la posizione dell’Agenzia risulta ancora più problematica, ritenendo necessario applicare non meglio precisati “criteri alternativi” volti a dimostrare la capacità dei beni scissi di assorbire le posizioni fiscali trasferite alla beneficiaria.

Ciò detto, anche al di là di queste evidenti complicazioni operative (che, come osservato da Assonime, involgono anche delicate questioni valutative), la posizione espressa con la Circolare 31 si presta ad un’analisi critica soprattutto perché non risulta supportata dalla lettera della norma ed appare allontanarsi dalla finalità con la quale quest’ultima è stata introdotta (e tradizionalmente interpretata).

Infatti, come visto sopra, l’art. 173, comma 10, TUIR riferisce il test di vitalità alla “società scissa” e alle “beneficiarie”, senza alcuna considerazione rispetto al compendio scisso.

D’altronde questo è perfettamente coerente con la natura stessa delle posizioni fiscali in relazione alla quali trovano applicazioni i limiti qui in commento (i.e. perdite, interessi ed eccedenze ACE). Si tratta, infatti, di posizioni soggettive che non sono specificamente connesse agli elementi del patrimonio scisso ma si riferiscono alla società nel suo complesso (cfr. Andreani-Dodero-Ferranti, Testo Unico Imposte sui redditi, II ed., p. 3015-3016) e, come tali, sono attribuite alle beneficiarie e alla stessa società scissa, in proporzione delle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite o rimaste (in base a quanto previsto dall’art. 173, comma 4, TUIR).

Inoltre, non è facile conciliare la posizione espressa nella Circolare 31 con la ratio sottesa alle limitazioni di cui all’art. 173, comma 10.

Infatti, se quest’ultima (come è pacifico) va individuata nella volontà di contrastare le operazioni di fusioni e scissioni finalizzate a trasferire le predette posizioni fiscali soggettive da una società che non li può utilizzare (per carenza di prospettive reddituali) ad una società che può invece assorbirli con i propri imponibili, non si vede come si possa sostenere che – a questo fine – non è sufficiente dimostrare che la società scissa (nella sua interezza) sia vitale e in grado quindi di utilizzare autonomamente i propri tax assets.

Non è un caso, infatti, che per disapplicare il limite qui in analisi, in diversi interpelli, l’Agenzia ha valorizzato la circostanza che la società sarebbe stata in grado autonomamente di assorbire le posizioni fiscali oggetto di istanza, anche in assenza dell’operazione di riorganizzazione (cfr. tra l’altro le Risposte dell’Agenzia delle Entrate 253/2022; 255/2022).

Questa, infatti, è la prova provata che l’operazione non è posta in essere “per” compensare posizioni fiscali altrimenti non utilizzabili.

In definitiva, dalla lettura della Circolare 31 non è dato comprendere quale sia il fenomeno elusivo che si intende contrastare con questo nuovo orientamento. Infatti, se vengono trasferite perdite (ovvero eccedenze di interessi passivi o ACE) da una società di per sé “vitale” che potrebbe utilizzarle anche stand alone, la scissione non può essere considerata come un’operazione posta in essere per il “travaso” di posizioni fiscali neanche se il compendio scisso non presenta prospettive reddituali.

Ciò detto, sarebbe auspicabile un’ulteriore riflessione da parte dell’Agenzia sul punto, considerato l’impatto che un “cambiamento epocale” come questo può avere sulla pianificazione delle operazioni di riorganizzazione e più in generale sull’esigenza di certezza del diritto.

 

[1] Senza considerare che, in base ai chiarimenti dell’Agenzie delle Entrate, il test di vitalità deve essere effettuato anche con riguardo alla frazione dell’esercizio che precede il perfezionamento dell’operazione (cfr. tra l’altro, Ris. 24 ottobre 2006, n. 116/E; 10 aprile 2008, n. 143/E; Risposte 124/2022; 127/2022; 128/2022; 136/2022)

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