Il contributo analizza l’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario avvenuta con la recente riforma della giustizia tributaria.
1. L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario
La riforma della giustizia tributaria rappresenta un evento di indubbia rilevanza storica.
Invero, molti sono stati, soprattutto negli ultimi anni, gli studi volti a individuare la strada più efficace per addivenire a una riforma del sistema processuale tributario italiano; tuttavia, nonostante gli innumerevoli sforzi compiuti in tal senso, contingenze di varia natura, non di rado di natura politica, hanno sempre impedito il raggiungimento di tale obiettivo.
L’occasione per accelerare il processo di riforma ha trovato terreno fertile nel c.d. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”)[1], che, in linea con le esigenze di matrice comunitaria e al fine di ridurre il numero di giudizi pendenti innanzi alla Corte di cassazione e migliorare la qualità delle pronunce di merito[2], ha previsto, inter alia, la riforma della giustizia tributaria.
È proprio in tale contesto che i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze, spinti dalla necessità di garantire il conseguimento dei benefici previsti dal PNRR, hanno dapprima istituito una Commissione interministeriale chiamata a proporre al Governo un disegno di riforma – che, al netto di non poche divergenze d’opinione tra i suoi componenti, ha presentato nei termini la Relazione finale sui lavori svolti e sulle proposte di riforma – e, successivamente, presentato al Senato il disegno di legge A.S. 2636”[3], poi approvato dalla Camera dei deputati, portando così a compimento la tortuosa stagione della riforma della giustizia tributaria italiana, finalmente giunta al capolinea con la L. 31 agosto 2022, n. 130[4].
La legge di riforma introduce, da un lato, un rinnovamento sul fronte dell’organizzazione degli uffici giudiziari tributari nella prospettiva di attribuire maggiore autonomia e indipendenza alla giurisdizione tributaria e, dall’altro lato, importanti modifiche nell’ambito delle norme che regolano la dinamica del processo[5]; fra queste, l’introduzione della prova testimoniale costituisce senza dubbio una delle principali novità delle nuove regole dell’istruttoria del contenzioso tributario.
2. La testimonianza nei diversi comparti del sistema processuale italiano
Tra i principali mezzi di prova previsti dal nostro ordinamento, la prova testimoniale assume un ruolo di particolare rilievo.
Si tratta, infatti, dello strumento cui viene fatto più frequentemente ricorso per l’accertamento della verità processuale e per la ricostruzione dei fatti oggetto del procedimento.
Nonostante l’indubbia valenza probatoria della testimonianza nei diversi comparti ordinamentali, tale fonte di prova è regolata e, soprattutto, assunta diversamente a seconda della specifica tipologia di procedimento in cui trova ingresso: mentre nell’ordinamento penale e civile la testimonianza è di regola resa in forma verbale in ossequio al principio di oralità che ne governa lo svolgimento[6], nel procedimento amministrativo l’assunzione della stessa, oltre a essere subordinata alla presentazione un’apposita istanza di parte, avviene esclusivamente in forma scritta.
Nel sistema processuale tributario, invece, l’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992 vigente ante riforma (e tutt’ora applicabile ai giudizi instaurati in data anteriore alla sua entrata in vigore), sanciva il divieto assoluto di testimonianza. Le ragioni di tale divieto andavano ricercate nella natura spiccatamente documentale della fase istruttoria che caratterizza il processo tributario e nelle esigenze di celerità e speditezza del relativo svolgersi, assicurate dalla sua forma sostanzialmente cartolare.
Era innegabile che l’esclusione della prova testimoniale dal novero delle prove ammesse in giudizio rappresentava non solo un concreto ostacolo all’accertamento dei fatti da parte del Giudice, ma altresì un evidente vulnus al diritto di difesa del contribuente e al principio del giusto processo[7].
È proprio per tale ragione che la portata assoluta del divieto di prova testimoniale è da sempre stata stemperata dalla giurisprudenza, anche costituzionale, la quale ha escluso che tale divieto comporti l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni scritte rese da terzi al di fuori e prima del processo[8]: esse, nel pieno rispetto del principio della parità delle armi e del giusto processo, possono entrare a far parte del corredo probatorio a disposizione non solo dell’Ente impositore, ma anche del cittadino privato[9].
Tali dichiarazioni, tuttavia, essendo assunte in sede extra-processuale e, dunque, senza le cautele e le garanzie del contraddittorio (che, all’inverso, caratterizzano l’assunzione della testimonianza nel rito civile) devono assurgere a rango di indizi. Necessario e inevitabile corollario di ciò è che le stesse, per essere idonee a concorrere a formare il convincimento del Giudice, necessitano di essere affiancate a ulteriori elementi di prova, previa verifica della relativa attendibilità.
Un significativo passo in avanti verso l’ammissione della prova testimoniale nel giudizio tributario è stato compiuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la nota sentenza n. 73053 del 23 novembre 2006 (Jussila c. Finland). In tale occasione, i Giudici di Strasburgo, rinnovando il proprio interesse e sensibilità verso le questioni di matrice fiscale, hanno riconosciuto l’incompatibilità del divieto di prova testimoniale con i principi del giusto processo in tutti quei casi in cui tale divieto comporti, sul piano probatorio, un grave pregiudizio della posizione processuale del contribuente[10].
Detto altrimenti, non vi era più alcuna logica giustificazione che tenesse ancora in piedi il divieto di testimonianza nel processo tributario.
3. La prova testimoniale nel processo tributario: criticità interpretative e iter procedurale
L’art. 2, comma 2, lett. b), della L. n. 130/2022 – pur mantenendo fermo il divieto di giuramento stante l’indisponibilità del tributo per la parte erariale – riscrive il comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, (finalmente) ammettendo la prova testimoniale nel processo tributario.
In particolare, viene stabilito che il Giudice tributario, ove lo ritenga necessario e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale ai fini della decisione secondo le modalità dettate dall’art. 257-bis c.p.c.: la possibilità di assumere la testimonianza nel rito tributario sarà dunque ancorata alla sussistenza di talune (rigide) condizioni.
In primis, la possibilità di avvalersi della testimonianza è rimessa a una preventiva e discrezionale valutazione da parte del Collegio giudicante circa la necessarietà di tale mezzo istruttorio ai fini decisori[11], sicché, per concorrere a formare il set probatorio a disposizione del Giudice, essa dovrà essere considerata indispensabile per dirimere la controversia.
È evidente che tale limitazione attribuisce natura spiccatamente straordinaria ed eccezionale alla neo-introdotta prova per testimoni, il che potrebbe limitarne drasticamente la concreta possibilità di utilizzo. Il rischio, in altri termini, è che essa rappresenti l’extrema ratio cui il Giudice adito potrà far ricorso in assenza di ulteriori e idonei mezzi di prova.
In secondo luogo, la deposizione del testimone potrà essere ammessa esclusivamente con le modalità di cui all’art. 257-bis c.p.c., ossia in forma scritta e anche in assenza di un accordo fra le parti. Il Collegio giudicante, quindi, potrà avvalersi di tale fonte di prova anche su richiesta di una sola parte processuale, senza il necessario e preventivo consenso dell’altra[12].
È quindi lecito domandarsi se l’Amministrazione finanziaria possa avvalersi di tale strumento probatorio per condurre e sviluppare la propria attività istruttoria anche nelle more del giudizio.
La risposta, a nostro avviso, non può che essere negativa: attribuire all’Ente impositore la facoltà di integrare in sede processuale le prove originariamente addotte a supporto della pretesa impositiva avanzata nei confronti del contribuente, oltre a ledere in concreto il diritto di difesa di quest’ultimo, si porrebbe in aperto e pieno contrasto con la regola, ormai consolidata, secondo cui l’Amministrazione finanziaria non può modificare le prove originariamente emergenti dal provvedimento impositivo, in cui si devono necessariamente “cristallizzare” gli esiti dell’attività investigativa condotta dall’Ente impositore[13].
Peraltro, il fatto che la testimonianza possa essere assunta anche in difetto di un accordo fra le parti porta inevitabilmente a ritenere che l’assunzione di tale mezzo di prova possa essere disposta anche d’ufficio dal Giudice adito[14]. Tale interpretazione, invero, troverebbe conferma nel disposto dell’art. 7 in commento, che, pur sancendo la natura dispositiva del giudizio tributario per quel che attiene alla ricerca dei fatti rilevanti per la decisione, ne riconosce il carattere inquisitorio sotto il profilo dei mezzi istruttori utilizzabili[15].
La norma in esame dispone poi che nei casi in cui la pretesa erariale sia fondata su verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso, la prova per testimoni potrà essere ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal Pubblico ufficiale.
Sul punto, pare indubitabile che gli atti redatti dai Pubblici ufficiali sono caratterizzati da fede privilegiata quanto ai dati oggettivi in essi riportati e non anche per ciò che concerne le valutazioni di ordine giuridico o speculativo in esso riportate. Logica conseguenza di ciò è che l’attestazione circa il rinvenimento, durante una verifica fiscale, di un dato documento fa piena prova della relativa acquisizione, ma non anche dell’esattezza del suo contenuto, la quale potrà formare oggetto di contestazione con qualsiasi mezzo di prova, ivi compresa la testimonianza[16].
Si pensi, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, all’ipotesi in cui nel corso di una verifica venga acquisita documentazione che potrebbe astrattamente dimostrare la permanenza in Italia del centro degli interessi vitali di un contribuente residente all’estero: in tale evenienza, il fatto che la suddetta documentazione sia stata menzionata nel verbale redatto dall’Amministrazione finanziaria non impedirebbe di acquisire la testimonianza – peraltro dirimente ai fini decisori – dei soggetti con cui il contribuente ha intrattenuto rilevanti e stabili rapporti all’estero (e.g.: il datore di lavoro estero, il proprietario della casa in affitto etc.).
Per quel che riguarda, invece, l’iter procedurale da seguire, la Corte adita, ammessa la prova, potrà assumere la deposizione del testimone chiedendogli di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato; ricevuto il modello di testimonianza, il teste sarà quindi chiamato a rispondere a ciascuno dei questi ivi recati, specificando a quali fra essi non è in grado di rispondere, illustrandone le motivazioni[17].
In caso di dichiarazione mendace, pare pacifica l’applicabilità dell’art. 372 c.p., che disciplina specificamente il reato di falsa testimonianza ex art. 372 c.p., come peraltro espressamente indicato nel modello di testimonianza ex art. 257-bis c.p.c. approvato con Decreto del 17 febbraio 2010, ove è previsto che il testimone deve dichiarare “di aver letto e compreso le avvertenze contenute nelle istruzioni allegate al presente modulo circa l’obbligo di dire la verità e le conseguenze penali previste dalle leggi vigenti nel caso di testimonianza falsa o reticente”).
L’espresso e generico richiamo operato dalla norma in commento all’art. 257-bis c.p.c. porta a ritenere che, in presenza di risposte ambigue, contraddittorie o incomplete ovvero di circostanze tali da far sorgere il dubbio circa l’attendibilità della testimonianza resa per iscritto, la Corte di Giustizia adita possa assumere, analogamente a quanto accade nel rito civile, la deposizione del testimone mediante l’audizione orale dello stesso[18].
In siffatta evenienza, è ragionevole ritenere che, in virtù del generale richiamo alle norme del Codice di procedura civile operato dall’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, il testimone chiamato a deporre oralmente sarà tenuto a prestare giuramento ai sensi dell’art. 251 c.p.c. circa la veridicità e completezza della propria deposizione, con l’ovvia conseguenza che, qualora affermi il falso ovvero neghi il vero, potrà dirsi integrato il reato di falsa testimonianza.
4. Conclusioni
L’introduzione della prova testimoniale nel processo tributario rappresenta senza dubbio una delle novità più significative e innovative della riforma in commento, che, se correttamente utilizzata, potrà fungere non solo da efficace strumento per rafforzare l’attività difensiva del contribuente, così bilanciando l’originaria asimmetria delle posizioni delle parti processuali sotto il profilo probatorio, ma soprattutto quale valido mezzo a disposizione dei Giudici per la ricerca della verità processuale e, conseguentemente, per il miglioramento della qualità delle sentenze di merito.
Tuttavia, sebbene il venir meno del precedente divieto di testimonianza sia in generale da accogliere con estremo favore, le molteplici limitazioni introdotte per l’ammissione di tale mezzo di prova potrebbero in futuro limitarne in modo significativo la concreta possibilità di utilizzo.
Resta ora alla nuova classe giudicante il compito di decidere quale portata attribuire a quella che, indubbiamente, rappresenta una novità legislativa epocale.
[1] Il PNRR, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 12 gennaio 2021, consiste in un insieme di piani di riforma e investimenti che l’Italia ha presentato alla Commissione Europea per accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione Europea con la c.d. Recovery and Resilience Facility, nell’ambito della strategia di rilancio post-pandemia finanziata dal programma Next Generation EU, istituito con regolamento (UE) 2020/2094.
[2] Nel PNRR, infatti, si legge che “il contenzioso tributario è una componente molto importante dell’arretrato che si è accumulato dinanzi alla Corte di Cassazione. Secondo stime recenti (…) alla fine del 2020 vi sono più di 50.000 ricorsi”; d’altra parte, “le decisioni adottate dalla Corte di Cassazione comportano molto spesso l’annullamento di quanto è stato deciso in appello dalle commissioni tributarie regionali: si è passati dal 52 per cento nel 2016 al 47 per cento nel 2020”. È stato poi osservato che “Sotto il profilo temporale, i tempi di giacenza dei ricorsi in Cassazione sono in alcuni casi lunghi, aggiungendosi alla durata dei giudizi svolti nei due precedenti gradi di giudizio”.
[3] Per una più approfondita disamina dell’iter parlamentare, sia consentito rinviare a I. Pellecchia e M. Pittori, Più opzioni al vaglio del legislatore per una riforma della giustizia tributaria, in Diritto Bancario del 7 luglio 2021; A. Giovanardi, La riforma della giustizia tributaria nel disegno di legge di iniziativa governativa AS/2636: decisivo passo avanti o disastrosa iattura?, in Riv. dir. trib., 8 luglio 2022; G. Melis, Il d.d.l. ‘Disposizioni in materia di giustizia e processo tributari’: una giustizia tributaria sull’orlo del precipizio, in Giustizia insieme del 30 giugno 2022.
[4] La L. n.133/2022 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 1° settembre 2022 ed entrata ufficialmente in vigore il 16 settembre 2022.
[5] Per una più approfondita analisi delle novità introdotte con la riforma, si veda C. Glendi, La novissima stagione della giustizia tributaria riformata, in Dir. e prat. trib., n. 4/2022, pagg. 1140 e ss.; A. Cipriani e M. Di Salvo, Giustizia e processo tributario: pro e contro della prossima riforma, in il Fisco, n. 25/2022, pagg. 2448 e ss..
[6] Nel procedimento civile l’assunzione della testimonianza in forma orale non è tuttavia regola tassativa. Infatti, l’art. 257-bis c.p.c., ammette la possibilità, seppur residuale, di raccogliere la testimonianza anche per iscritto al ricorrere di specifiche condizioni ivi previste, ossia (i) la presenza di un accordo delle parti e (ii) la necessità che la natura della controversia ovvero i suoi elementi costitutivi siano tali da consentire al Giudice di ammettere la testimonianza scritta. Per una più approfondita analisi della norma, si veda P. Della Vedova, Art. 257-bis – Testimonianza scritta, in AA.VVV. Commentario del codice di procedura civile, Tomo primo, Vol. III, Torino, 2014, pagg. 1094 e ss.
[7] Sul punto, A. Marcheselli, L’indefettibilità del contraddittorio tra principi interni e comunitari, in Corr. trib., n. 22/2010, pag. 1776; P. Russo, Il divieto della prova testimoniale nel processo tributario: un residuo storico che residua all’usura del tempo, in Rass. trib., n. 2/2000, pag. 568.
[8] Cfr. sentenza 21 gennaio 2000, n. 18, in cui la Corte Costituzionale, investita delle questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 1 e 4, del D.Lgs. n. 546/1992, pur dichiarandola infondata, ha espressamente ammesso che “La limitazione probatoria stabilita dall’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta (…) l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall’amministrazione nella fase procedimentale”.
[9] Cass., 2 ottobre 2019, n. 24531; Id., 23 settembre 2021, n. 25804; Id., 15 settembre 2021, n. 24971; Id., 29 luglio 2022, n. 23780.
[10] Per una più attenta disamina della pronuncia, M. Greggi, Giusto processo e diritto tributario europeo: la prova testimoniale nell’applicazione della CEDU (il caso Jussila), in Rass. trib., n. 1/2007, pagg. 228 e ss; A. Marcheselli, Giusto processo e oralità del diritto di difesa nel contenzioso tributario: note a margine di un recente pronunciamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Dir. e pratica trib. internaz., n. 1/2007, pagg. 3 e ss.
[11] In merito a tale aspetto, si segnala che nell’originario disegno di legge, la prova testimoniale poteva trovare ingresso nel rito tributario solo se “assolutamente” necessaria. Nella versione definitiva della legge di riforma, invece, tale (invero, poco condivisibile) inciso è stato eliminato, così evitando “le difficoltà interpretative che avrebbe suscitato ed elidendo altresì un palese e ingiustificato indice di ostilità nei riguardi di questa prova” (così, F. Pistolesi, La testimonianza scritta nel processo tributario riformato, in Giustizia insieme del 29 settembre 2022).
[12] La previsione in commento non pare pienamente rispettosa dei principi del contraddittorio e del giusto processo, dal momento che, essendo la testimonianza resa al di fuori del giudizio, la controparte verrebbe del tutto privata della possibilità di controinterrogare il testimone e, quindi, di esercitare il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito. Sul punto, si veda S. Mecca, Nel processo tributario entra la prova testimoniale scritta, in Quotidiano IPSOA del 21 giugno 2022, secondo cui “Se fosse confermata l’ammissione della prova testimoniale solo nella forma scritta, sarebbe opportuno prevedere una sorta di contraddittorio tra le parti, ancorché in forma cartolare”.
[13] Secondo l’orientamento maggioritario, infatti, “l’Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento” poiché “sarebbe lesa la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali vanno necessariamente rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto” (Cass., 26 febbraio 2020, n. 5160). Si può allora ritenere che l’Agenzia delle entrate possa avvalersi della prova in esame, inter alia, nei giudizi di rimborso (in cui, come noto, attore in senso sostanziale è il contribuente), sebbene a condizione che i “fatti impeditivi, estintivi o modificativi della domanda avanzata dal privato” non siano già stati “dedotti nell’eventuale provvedimento di diniego del rimborso, dovendo in tal caso aver previamente svolto la relativa attività istruttoria”. Così, F. Pistolesi, Le parti possono chiedere di ammettere la prova testimoniale, in Il Sole 24 Ore del 15 settembre 2022.
[14] Dello stesso avviso è anche C. Glendi, Prova testimoniale scritta nel processo tributario riformato: quali confini applicativi? in Quotidiano IPSOA del 14 ottobre 2022. In senso contrario, si veda F. Pistolesi, La testimonianza scritta nel processo tributario riformato, op. cit..
[15] In questi stessi termini, si veda M. Conigliaro, Cade il divieto di prova testimoniale nel rito tributario: un passo avanti verso il giusto processo, in Il Fisco, n. 40/2022, pagg. 3812 e ss.
[16] Sul punto, si veda anche M. Villani e L. Morciano, La prova testimoniale nel processo tributario: evoluzione normativa e giurisprudenziale, in Vaglio Magazine, 5 ottobre 2022.
[17] Una volto compilato e sottoscritto, il testimone dovrà spedire il modello di testimonianza in busta chiusa con plico raccomandato o con consegna alla segreteria della Corte adita. Ricevuta la documentazione, sarà onere della segreteria della Corte di Giustizia Tributaria caricare la stessa nel fascicolo processuale telematico. In caso di inadempienza, il testimone può essere condannato a una pena pecuniaria da Euro 100 a Euro 1.000 ai sensi dell’art. 255, comma 1, c.p.c..
[18] Nel senso dell’ammissibilità si sono espressi, inter alia, F. Pistolesi, Le parti possono chiedere di ammettere la prova testimoniale, op. cit.; A. Boano, Testimonianza scritta ammessa nel processo tributario, in Eutekne, 21 ottobre 2022.