Obiettivo di questa breve nota è di identificare alcuni punti problematici del recente Decreto del Ministero per lo sviluppo economico che detta il “Regolamento in materia di requisiti e criteri di idoneità allo svolgimento dell’incarico degli esponenti aziendali e di coloro che svolgono funzioni fondamentali ai sensi dell’articolo 76, del codice delle assicurazioni, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209” (D.M. n. 88 del 2/5/2022, d’ora in poi il “Decreto”).
1. Premessa
Il settore assicurativo attendeva da tempo un intervento sul tema, che era ancora regolato da un decreto ministeriale del 2011, che viene abrogato (ad eccezione di pochi articoli) dalla nuova disciplina.
Purtroppo, sin da una prima lettura del Decreto (emanato a seguito di consultazione pubblica ristretta) erano apparse alcune incoerenze nel testo nonché passaggi di difficile interpretazione, sia testuale che sistematica, peraltro in parte già presenti nell’analogo e per molti versi “gemello” decreto di natura bancaria (D. M. n.169 del 23/11/2019).
2. L’indipendenza all’interno dei c.d. “gruppi orizzontali”
Nel Codice delle Assicurazioni Private (D. Lgs. n. 209 del 7/9/2005, d’ora in poi il “CAP”) esiste una nozione di gruppo “contrattuale” (art. 1, comma 1, lett. r bis, n.2), che prescinde da legami partecipativi.
Questo gruppo (che può definirsi anche “orizzontale”) è costituito da società “sorelle”, controllate da un’entità che, per motivi regolamentari, non può assumere la veste di capogruppo assicurativa (ad esempio, una banca). Una di tali società “sorelle” assume quindi contrattualmente il ruolo di capogruppo, previa approvazione dell’IVASS.
Nel disciplinare i requisiti di indipendenza, il Decreto esclude che possa essere tale il consigliere che sia già membro indipendente di un Consiglio di altra società del gruppo, salvo che ricorrano tra le due entità “rapporti di controllo, diretto o indiretto, totalitario”.
L’aggettivo “totalitario” pone un problema.
Innanzi tutto, si deve ritenere che l’uso della specificazione serva a delimitare l’ambito della fattispecie, escludendone il controllo non totalitario, in caso contrario sarebbe inutile.
Se così è, essa pare avere senso solo se l’aggettivo è riferito al controllo “interno di diritto” tramite partecipazione ex art. 2359 c.c., comma 1, n.1, per il quale è facilmente ipotizzabile una tale distinzione.
Non è altrettanto chiaro se sia possibile utilizzare tale distinzione per forme di controllo diverse, come quella contrattuale che, dunque, non rientrerebbe nella fattispecie considerata dal Decreto.
Infatti, un controllo contrattuale non totalitario (ad esempio, esercitato da due società parti di un patto parasociale) appare difficilmente collocabile nel contesto in esame, che vede le società del gruppo collocate su una retta, sovrastate da un unico azionista. Le società del gruppo così costituito si assoggettano contrattualmente alla direzione e al coordinamento (che il CAP definisce “influenza dominante” e quindi controllo) della capogruppo: non vi è spazio per altri soggetti.
Inoltre, il gruppo “orizzontale” serve a identificare un solo soggetto che accentri compiti e responsabilità di vigilanza, a beneficio delle attività proprie dell’IVASS, qualora una capogruppo ai sensi del CAP non sia presente nella struttura societaria.
Se ne dovrebbe dedurre che, in questo ambito, l’aggettivo “totalitario” abbia senso solo se riferito al controllo esercitato tramite partecipazione azionaria.
Il Decreto sembra quindi far salvo il c.d. “consigliere indipendente di gruppo” solo per il gruppo “verticale”, ossia basato su partecipazioni (totalitarie) nel capitale sociale.
La conclusione appare irragionevolmente penalizzante a fronte della sostanziale equivalenza delle due fattispecie. A riprova, il Decreto consente ai sindaci del gruppo assicurativo di ricoprire più incarichi, a prescindere dal legame tra le società, senza pregiudizio per l’indipendenza (art. 13, comma 2).
A ciò si aggiunga che i gruppi “orizzontali” vengono costituiti, come detto, per agevolare le finalità di vigilanza assicurativa e sotto l’egida dell’IVASS, il che rende ancor meno comprensibile la disparità di trattamento. Qualora un intermediario presentasse una candidatura “inopportuna”, infatti, l’Istituto potrebbe sempre far valere proprie e diverse considerazioni, anche sotto forma di c.d. moral suasion.
L’unico modo di risolvere questa aporia è ipotizzare che l’aggettivo “totalitario” serva ad escludere la (peculiare) fattispecie nella quale una delle società “sorelle” del gruppo “orizzontale” abbia un azionista (presumibilmente di minoranza) diverso da quello che detiene la maggioranza del capitale delle società del gruppo.
In altri termini, la nozione di “gruppo” cui riferirsi (e che è richiamato nelle definizioni) sarebbe quello definito dal CAP (quindi, senza distinzioni tra gruppi “orizzontali” e “verticali”), con l’eccezione (nella pratica, trascurabile) sopra descritta.
A onor del vero, la lettera del Decreto sul punto è alquanto equivoca, oltre che incoerente dal punto di vista sistematico, e pare dire altro. Meglio sarebbe stato far ricorso alla nozione di controllo dettata dal CAP (art. 72) che avrebbe incluso quello per via contrattuale dei gruppi “orizzontali”.
La lettura proposta sembra sistematicamente coerente e farebbe giustizia di un’evidente ingiustizia.
3. Le imprese “minori”
Il Decreto definisce due tipi di impresa assicurativa, “di maggiori dimensioni” e “minore” (art. 1, comma 1, lett. f) e g)), categorie che coincidono (in parte) con la classificazione stabilita dall’IVASS con la sua Lettera al mercato del 5/7/2018 (pubblicata in connessione con il Regolamento n. 38/2018) contenente gli “Orientamenti IVASS sull’applicazione del principio di proporzionalità nel sistema di governo societario delle imprese di assicurazione e riassicurazione e dei gruppi”.
Ora, la Lettera al mercato prevede non due, ma tre categorie di imprese, in base a parametri dimensionali, con conseguenze sul sistema di governo societario da adottare (rafforzato per le imprese “maggiori”, semplificato per le imprese “minori” e… ordinario, per le imprese che si collocano tra i due estremi).
Dove sono le imprese a governance “ordinaria” nel Decreto? Si devono ritenere “assorbite” nella categoria superiore o in quella inferiore? In realtà la questione pare avere poco peso, dato che le definizioni vengono usate “per differenza” (es.: “tutte le imprese diverse dalle imprese maggiori”).
Tranne in un caso: il Decreto esclude che possa esistere un’impresa “minore” in un gruppo ai fini del Decreto (art. 1, comma 1, lett. g). Questo ha conseguenze, ad esempio, sul regime transitorio (art. 26, v. oltre).
Quindi, un’impresa può essere al contempo “minore” ai fini della scelta del suo sistema di governo societario, ma non quanto alle regole di accesso agli incarichi apicali, materia che appartiene certo alla corporate governance.
Qual è la ratio? Forse il legislatore ha ritenuto che l’appartenenza a un gruppo costituisca un elemento di complessità, non di vantaggio. Pare di poter sostenere con una qualche efficacia la tesi contraria: con le sue sinergie (ad esempio, mediante contratti di outsourcing che mettono a disposizione le risorse della capogruppo) il gruppo rappresenta un fattore di vantaggio per un’impresa “minore”, che non la rende certo “maggiore” di per sé.
4. Il cumulo di incarichi
Il Decreto detta la disciplina del c.d. cumulo di incarichi, prevedendo un’esenzione (definita “meccanismo di aggregazione” dall’art. 17) per le cariche detenute nel medesimo gruppo assicurativo, conteggiate come un solo incarico
Questo sembra valere solo per gli incarichi già ricoperti alla data della nomina perchè, nel disciplinare gli incarichi “aggiuntivi”, l’art. 18 esclude (comma 3) l’applicabilità dell’esenzione, anche se tale circostanza può/deve essere valutata dal Consiglio nell’integrazione della valutazione del “fit and proper” (art. 18, comma 2, lett. e).
Ergo, il Consiglio deve tener conto di tale circostanza, ma non può applicare l’esenzione, assumendosi l’intera responsabilità della valutazione.
Anche qui la ratio non pare chiarissima.
Un esempio: se a Piero vengono conferiti 10 incarichi nello stesso gruppo a decorrere da martedì e viene nominato consigliere in una compagnia assicurativa il mercoledì, nella sua dichiarazione “fit and proper” alla voce “incarichi” scriverà 2 (i 10 incarichi “aggregati” più quello da assumere). Se Piero viene nominato il lunedì, alla voce “incarichi” dovrà scrivere 11.
Il Consiglio, nel valutarne i requisiti, dovrà considerare gli 11 incarichi come se 10 di essi non fossero nello stesso gruppo, pur potendo\dovendo tener conto del fatto che sono nello stesso gruppo.
Qui la lettera della norma è inequivoca e non pare esserci interpretazione, anche contra litteram, che tenga. Anche la ratio, peraltro, pare non tenere. Per completezza, va detto che la norma è identica a quella contenuta nel decreto “bancario”.
5. Il regime transitorio e le “quote di genere”
Una delle norme transitorie (art. 26) concede alle imprese diverse dalle “maggiori” (ossia, le “ordinarie” e le “minori” ai sensi della citata Lettera IVASS al mercato) una facilitazione nella transizione alla diversità di genere, riducendo dal 33% al 20% la quota minima per il genere meno rappresentato.
Logica vuole che la deroga sia tanto più utile, quanto più ravvicinato è il rinnovo del Consiglio.
Il comma 2 dell’art. 26 contiene tuttavia un inciso che sovverte quella logica: “l’adeguamento alla quota di genere di cui all’articolo 10, comma 3, è assicurato nella misura di almeno il 20% dei componenti dell’organo non oltre il primo rinnovo integrale dell’organo, effettuato dopo sei mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, e comunque entro la scadenza del terzo anno successivo all’entrata in vigore del presente decreto”.
Si noti la concordanza del participio “effettuato” con il sostantivo “rinnovo”: i rinnovi effettuati nei primi sei mesi sarebbero esclusi. Quindi, letteralmente, la deroga si applica dall’1/5/2023 al 31/10/2025. Considerato che le assemblee di nomina cadono quasi tutte tra marzo e aprile, l’inciso appare in tutta la sua illogicità. Sarebbero proprio le imprese impattate per prime a non poter beneficiare della deroga.
Che l’inciso voglia forse dire che, se il rinnovo avviene nei primi sei mesi di vigenza del Decreto, non è dovuto alcun adeguamento alle quote di genere?
In tal caso (e parrebbe l’unico senso logico possibile), sarebbe bastato dire che alle imprese diverse dalle “maggiori” l’adeguamento si sarebbe applicato ai rinnovi a partire dal primo maggio 2023, in forma semplificata per tre anni.
Purtroppo, non è questo che dice la norma, che precisa (si fa per dire) che l’adeguamento di cui all’art. 10 “è assicurato nella misura del 20%” in quell’intorno di tempo e solo in quell’intorno di tempo.
Se ne deduce che, in ogni altro momento, è dovuto l’adeguamento ordinario al 33%, pena un vuoto normativo inspiegabile. Infatti, un regime transitorio serve ad accompagnare i destinatari della disciplina verso il nuovo contesto normativo. In mancanza di un tale regime, la norma ordinaria è applicabile sin dalla sua data di entrata in vigore.
6. Conclusioni
Come si è cercato di illustrare in estrema sintesi, il Decreto contiene alcuni passaggi di difficile interpretazione, oltre che di dubbia coerenza logica e sistematica, per i quali gli operatori dovranno attendere il consolidarsi di una prassi interpretativa di vigilanza, che tuttavia richiederà tempo. Nel mentre, sarà necessario un dialogo aperto e collaborativo con l’Autorità, al fine di limitare per quanto possibile l’incertezza nella prima applicazione. A tale proposito, è certamente auspicabile che l’IVASS produca un “questionario” sulla scorta di quello realizzato dalla Banca d’Italia, per consentire alle imprese soggette al Decreto di seguire un percorso standardizzato e uniforme nella sua applicazione.